Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
mercoledì 6 aprile 2011
Contemporaneità e teatro lirico.
Innanzitutto una breve spiegazione sul titolo che ho voluto dare a questo blog: sono un vecchio melomane appassionato di musica soprattutto colta, con la voglia di condividere idee ed opinioni al riguardo con altri miei simili, ma avrei anche ambizioni divulgative e informative, semprechè ci siano almeno 4 gatti disposti a sorbirsi i miei sproloqui e a discuterli ovviamente, trattando di musica e dintorni con estrema libertà ; purtroppo al momento la mia scarsa dimestichezza con internet mi rende un pò difficoltoso procedere, per cui abbiate un pò di pazienza. Ieri sera ho ascoltato la diretta radiofonica su Radiotre dal Teatro Comunale di Bologna del dittico costituito dalle opere "Risorgimento!" di Lorenzo Ferrero e "Il prigioniero" di Luigi Dallapiccola. Il primo è un nuovo lavoro commissionato nel 2010 dal Comunale in vista dei 150 anni dell'unità d'Italia, il secondo è uno dei capisaldi del novecento storico italiano, rappresentato se non sbaglio in prima assoluta al Maggio Fiorentino nel 1950. La prima osservazione che mi viene da fare è di ordine extramusicale: perchè scegliere come orario d'inizio dello spettacolo le 20, stante la brevità dei 2 atti unici (ho personalmente cronometrato circa 49 minuti per il primo lavoro e circa 42 per il secondo). Penso che un simile orario balordo possa anche mettere in difficoltà chiunque abbia un'attività lavorativa e commerciale e voglia accedere in orario al teatro! Forse sarà anche per questo che, a giudicare dagli applausi captati dai microfoni della radio, il pubblico in sala sembrava invero scarsino e ancora più ridotto mi sembrava nella seconda parte della serata, con buona pace dei commentatori di Radiotre! Però mi viene anche da chiedermi quanto ancora la contemporaneità e persino il novecento storico che in quanto tale dovrebbe essere ampiamente e abbondantemente assimilato, tengano alla larga i melomani nostrani in generale dai teatri lirici e dalle sale da concerto. Persino quando, come nel caso del lavoro di Ferrero, trattasi di contemporaneità niente affatto ostica e sgradevole, in pratica più cronologica che effettiva, per ragioni che dirò oltre. Il problema è che, secondo la mia opinione, soprattutto in campo musicale, l'Italia è caratterizzata da quello che io definisco trogloditismo culturale, ossia estrema arretratezza culturale e provincialismo dilagante in ogni dove. Insomma il tipico appassionato musicale è sostanzialmente un retrogrado conservatore che desidera ascoltare all'infinito la solita solfa, ossia il repertorio più arcinoto, battuto e ribattuto fino alla nausea, a causa della sua incommensurabile pigrizia mentale, almeno questa è la mia impressione. Qui bisognerebbe chiamare in causa anche le istituzioni musicali e quant'altro, ma il discorso si farebbe troppo lungo e complesso, per cui mi riservo di affrontarlo in seguito. Adesso vorrei innanzitutto parlare dell'opera "Risorgimento!" di Lorenzo Ferrero e riferire delle mie prime impressioni suscitate dall'ascolto radiofonico, per cui per ovvi motivi non mi pronuncierò sulla parte visiva. Innanzitutto una perplessità legata al dipanarsi cronologico della vicenda oggetto di questo lavoro: per chi non lo sapesse la storia è incentrata sulle prove della messa in scena del "Nabucco" di Giuseppe Verdi, nel 1842. Senonchè verso la fine dell'opera compare in scena Giuseppe Verdi (recitato da un attore) nelle vesti di un anziano senatore, che a 50 anni dall'avvenuta unità d'Italia, rievoca con nostalgia le speranze di allora e riflette amaramente sulle delusioni successive, con relativo salto cronologico in avanti della vicenda narrata in questo lavoro. Ma forse mi sarò rimbambito ma a questo punto c'è un qualcosa che non mi torna: l'unità d'Italia si è avuta nel 1861, quindi il cinquantenario si è celebrato nel 1911; ma Verdi non è morto il 17 gennaio 1901? Non poteva certo essere resuscitato dieci anni dopo, tanto più che il personaggio in questione, in questo monologo, ad un certo punto, parla testualmente di "novecento alle porte"! Boh! Ma venendo alla sostanza musicale, ho trovato il lavoro di Ferrero non disprezzabile nel suo complesso, ma nemmeno particolarmente esaltante. Per dare una vaga idea delle caratteristiche del suo stile, rientra fra i compositori classificati come neotonali o neoromantici che dir si voglia, stante il valore relativo delle suddette classificazioni, da prendere quindi con le molle. Quel che è certo che i suoi lavori sono caratterizzati da una franca orecchiabilità, per non dire ruffianeria, che costituisce spesso il limite di questi compositori, oltrechè dall'assenza di una personalità particolarmente spiccata, che renda il suo stile immediatamente riconoscibile. Non siamo certo al livello di un John Adams, per intenderci! Quello che nuoceva a questo lavoro era senz'altro l'eccesso di citazioni verdiane e i troppi insistiti ricalchi stilistici. Come ha giustamente osservato un radioascoltatore, nelle 2 scene oniriche, in cui tra l'altro il compositore ha dichiarato in radio di avere fatto uso dell'atonalità, il richiamo alla "Turandot" di Puccini, risultava evidentissimo, persino sfacciato, per non parlare quasi di plagio, tant'è che alcuni radioascoltatori che hanno acceso l'apparecchio ad opera già iniziata, faticavano a dargli una collocazione cronologica precisa! Aggiungiamoci qualche vaga influenza da musical qui e là, oltrechè il fatto che ad un certo punto persino Adams mi sembrava che facesse capolino, ed il quadro è completo! Per quello che si capiva dalla ripresa radiofonica, il pubblico in sala sembrava apprezzare il tutto, con 2 o 3 applausi a scena aperta. Essendo un lavoro nuovo e mancando quindi altri termini di riferimento, l'esecuzione musicale mi è parsa più che adeguata, tenendo conto che trattasi di impressioni parziali, dovute a un unico ascolto radiofonico. Solo che quando nella seconda parte si è avuto "Il prigioniero" di Dallapiccola, lo scarto qualitativo fra i 2 lavori appariva evidente nella sua bruciante immediatezza, ovviamente a tutto vantaggio di quest'ultimo, autentico capolavoro del teatro musicale nostrano, nonostante un'esecuzione musicale a mio avviso poco convincente. Innanzitutto la direzione d'orchestra del sopravvalutatissimo Michele Mariotti, troppo spedita, esagitata e carente d'atmosfera e di preziosità strumentali, direzione che sembrerebbe aver influito negativamente anche sui cantanti, inducendoli a emissioni veristicheggianti nel senso più deteriore del termine, caratterizzati oltretutto da pronuncia ostrogota e senz'altro assai poco idiomatica, almeno attraverso l'ascolto radiofonico. Gli applausi del poco pubblico che doveva essere rimasto, mi sono sembrati tiepidi. In ambedue i lavori la resa corale e orchestrale mi è sembrata complessivamente adeguata. Resta da considerare il fatto che per vedere nei cartelloni dei nostri teatri, generalmente banali e stantii, una manciata di lavori nuovi, si sia dovuto aspettare il 150° dell'unità d'Italia (penso anche all'opera "Senso" di Marco Tutino, andata in scena al Massimo di Palermo lo scorso 28 gennaio). Ma essendomi dilungato troppo, rimando la continuazione del discorso sulla contemporaneità nel teatro lirico ad altra occasione. GABRIELE EVANGELISTA
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