Perbacco, direi persino un autentico orgasmo uditivo! Singolare il fatto che molte delle composizioni di Ottorino Respighi, al semplice ascolto, evochino dappresso, in maniera prepotente, un'immaginario cinematografico, pur non essendo mai stato il nostro, mai minimamente tentato di comporre colonne sonore, nè tantomeno che l'ambiente cinematografico abbia mai provato ad approcciarlo, almeno a quanto mi risulta, eppure, dicevo, la sua musica possiede una potenza immaginifica debordante, una sorta di cinematicità innata. Queste considerazioni mi sono ritornate spontanee ultimamente, dovute al reperimento di un dvd, comprendente una versione integrale del suo balletto "Belkis, regina di Saba", da me acquistato il mese scorso. E' probabilmente la partitura per balletto più folle, ipertrofica, originale che mi sia capitato di ascoltare, un qualcosa che mi ha lasciato veramente stupefatto, pur conoscendo parecchie delle sue composizioni, dandomi l'ennesima dimostrazione della fantasia veramente sconfinata del suo autore che qui non sembra veramente conoscere limiti. Fino ad ora, di questo balletto, composto nel periodo 1930-31, erano reperibili soltanto 3 eccellenti edizioni discografiche della relativa suite da concerto, realizzata nel 1934, alla quale, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto farne seguito una seconda, purtroppo mai concretizzata, in seguito a una grave malattia che lo portò alla morte, ma dichiaro subito che, per quanto splendida sia la suite da concerto, sbiadisce di fronte all'ascolto della composizione integrale, di una eloquenza fluviale e immaginifica, dalla quale si evince che l'autore ha veramente superato sè stesso, non solo in materia di risorse timbrico-dinamiche (da andare anche oltre la più fervida delle immaginazioni) e ritmiche, nel trattamento dell'organico impiegato, ma anche riguardo a un'intensità espressiva sovente portata al calor bianco. Altrochè, come spesso gli viene ingiustamente accusato, di comporre una musica effettistica ma vuota, questa musica qualcuno la potrà anche trovare ridondante, io direi persino sfacciatamente ridondante, ma è realizzata in una maniera trascinante come poche, un qualcosa che ti prende dall'inizio per non mollarti più fino alla fine, di una perizia tecnica trascendentale, che fonde elementi etnici e occidentali in un modo da lasciare increduli, per l'epoca in cui venne realizzata. Chi conosce soltanto i 3 arcinoti poemi sinfonici 'romani' di Respighi, non può che avere una visuale limitata e parziale dello stile del compositore, qui si arriva parecchio oltre, persino oltre rispetto a quello che ritenevo il suo lavoro forse più pirotecnico ed 'estremo' nel trattamento dell'organico orchestrale, ovvero le "Vetrate di Chiesa", non pensavo proprio che potesse aver superato quel limite e invece è proprio così! Pensate che frammenti di questa musica da balletto, mi stanno 'tormentando' piacevolmente il cervello da giorni, non credo che 'riuscirò a liberarmene' per almeno un bel pezzo! Questo balletto ebbe la prima al Teatro alla Scala di Milano, il 23 gennaio del 1932, prima a cui seguirono una decina di repliche (le coreografie erano di Leonide Massine, con scenografie e costumi di Nicola Benois, figlio di Alexander Benois, il celebre scenografo di Sergei Diaghilev, ballerini principali la valente danzatrice persiana Leila Bederkhan, autentica principessa caucasica, nel ruolo di Belkis, l'allora giovane e promettente David Lichtenstein o Lichine, ebreo russo del Baltico, nel ruolo di Salomone e una giovane esordiente della scuola di danza scaligera, Attilia Radice, nel ruolo dell'Araba Fenice; la direzione d'orchestra era affidata a Franco Ghione), dopodichè non venne mai più riesumato fino al 17 giugno del 2012 (nonostante il successo travolgente della prima assoluta scaligera, con recensioni entusiastiche in tutta Europa e negli Stati Uniti), ovvero quasi ottant'anni e mezzo dopo e soltanto in forma di concerto, in quel di Stoccarda e il dvd costituisce la ripresa video di tale evento. Peraltro il motivo di questa prolungata assenza dai palcoscenici dei teatri, così come dalle sale da concerto, si spiega almeno in buona parte, col fatto che richiede un organico complessivo davvero smisurato, colossale. Credo che, all'epoca, ci sia voluto il concorso di un migliaio di persone fra danzatori, strumentisti e compagnia bella, per poterlo allestire (vennero realizzati più di 600 costumi di scena), per cui, attualmente richiederebbe un cospicuo esborso economico oltrechè la disponibilità di uno spazio adeguato a qualunque ente musicale che volesse accingersi a una tale intrapresa, la qual cosa diventa praticamente impossibile nei tempi attuali di crisi. Già lo sforzo fatto in quel di Stoccarda per realizzarlo sia pure soltanto in forma di concerto, s'intuisce essere stato non indifferente, guardando il video. L'organico degli esecutori essendo già in sè cospicuo, poichè integra un'orchestra di 120 elementi, un coro misto di circa 80, con l'aggiunta di una voce recitante e un mezzosoprano sul palco, un tenore e gruppi strumentali di ottoni e percussioni fuori scena e, ciliegina sulla torta, anche un'organo, per un totale di oltre 200 musicisti e scusate se è poco, per quasi un'ora e tre quarti di musica, decisamente un lavoro ambizioso, che a suo tempo richiese frotte di danzatori in scena, al fine di rappresentare, oltre ai personaggi principali, l'avvicendarsi di folle di persone, carovane ed eserciti. Deve essersi trattato di uno spettacolo veramente fuori dall'ordinario, per chi ebbe la ventura di assistervi. Dopo che a suo tempo avevo ascoltato la suite da concerto, speravo proprio che, prima o poi, qualcuno si prendesse la briga di farci conoscere la partitura intera, meno male che ci hanno pensato in Germania, perchè qui da noi si poteva veramente attendere invano, per la serie "nemo profeta in patria"! Ringrazio il cielo di avermi dato modo di conoscere pressochè integralmente una tale meraviglia, della quale auspicherei anche una incisione discografica in studio, al fine di poterne godere in maniera ottimale, stante le innumerevoli preziosità strumentali di cui è costellata, difficilmente rendibili in toto nell'ambito di una ripresa dal vivo, sia pure di ottima qualità. Questo balletto in 2 parti e 7 quadri, la cui stesura della trama, del testo della parte recitata e delle didascalie apposte in partitura ai singoli quadri, si deve alla mano di Claudio Guastalla (che riciclò, per l'occasione, un suo precedente abbozzo di libretto operistico, basato sul medesimo soggetto e rimasto inutilizzato), librettista abituale per quel che concerne i lavori destinati al teatro di Respighi (suoi i 'suggerimenti' anche per i titoli apposti a ciascuna delle 4 "Vetrate di chiesa" del compositore bolognese), salvo che per la "Marie Victoire" recante invece un libretto in francese del drammaturgo Edmond Guiraud (oltrechè i 2 lavori teatrali giovanili, "Re Enzo", su libretto di Alberto Donini e "Semirama", su libretto di Alessandro Ceré e a parte la fiaba musicale "La bella dormente nel bosco", su libretto di Gian Bistolfi), non è soltanto gravido di sorprese sul piano timbrico e ritmico, ma vi alterna anche rapinose folate melodiche veramente singolari, affidate soprattutto agli archi, con dei momenti 'rumoristici' nei quali si fa ovviamente ampio impiego di percussioni (penso soprattutto alla descrizione di una tempesta di sabbia, poco dopo l'inizio della 2^ parte, con il singolare intervento dell'organo) non indegni di un Varèse, un uso suggestivo del coro (misto nella 1^ parte, solo femminile a contrappuntare la sortita del mezzosoprano nella 2^, in quest'ultimo caso, dopo una prima sezione gregorianeggiante, successivamente adotta un andamento cullante che mi ha fatto pensare vagamente alla "Lakmè" di Délibes), la sequela di brevi ma suggestivi vocalizzi intonati dal tenore fuori scena, poco prima del finale del balletto, il canto dal sapore arcaicizzante che costituisce l'intervento del mezzosoprano (le cronache del periodo, parlerebbero, per la verità, di diversi solisti vocali presenti in origine, anzichè il paio qui utilizzati), le numerose sortite solistiche di singoli strumenti come il sassofono soprano, con un assolo dal carattere vagamente blues, o del flauto (il cui assolo iniziale apre la prima parte del balletto, comprendente i primi 3 ampi quadri), dell'ottavino, del violino, della viola (l'assolo della quale apre la seconda parte della composizione, con i restanti e più sintetici 4 quadri) e del violoncello, soprattutto quest'ultimo coi suoi melismi, mi ha fatto avvertire nettamente l'impronta di Rimski-Korsakov (in modo particolare, guarda caso, proprio quello della celeberrima "Sheherazade", ma anche, come rilevato da altre fonti, quello della 2^ sinfonia "Antar", ed inoltre pure quello della suite da "Il gallo d'oro"), del quale Respighi è stato notoriamente allievo, un'impronta che non lo abbandonerà mai, anche se in questo caso mi verrebbe voglia di dire che l'allievo in questa partitura ha superato il maestro, se possibile (ma così come nell'operato di Alfredo Casella, altro esponente come il nostro della cosiddetta 'generazione dell'80', permanentemente influenzato dallo stile di Mahler da lui ammirato, la personalità di questi compositori è talmente forte, da non correre il rischio di confonderli coi loro idoli, nonostante gli evidentissimi rimandi stilistici), per contro negli assoli dell'oboe, avverto nettissima la lezione del Ravel del balletto "Ma mére l'oye", che credo sia stato realizzato nel 1927, ovvero pochi anni prima (ma altre assonanze raveliane nel corso della composizione, mi fanno pensare, guardacaso anche alla sua "Shéhérazade", ouverture de féerie, per orchestra, ascoltata di recente in radio; ma ci sarebbe anche da aggiungere che la "danza guerresca" inserita nel 2° atto di "Belkis", appare evidentemente modellata sull'omologa raveliana contenuta nella 2° parte del balletto, o sinfonia coreografica secondo la definizione del compositore medesimo, "Daphnis et Chloé", del 1912). Inoltre, nel lavoro respighiano è particolarmente rilevante la pletora di diversi tipi di sordine impiegate per le trombe e i tromboni, con delle sonorità veramente inusitate, caratterizzate da singolarissimi glissandi. Ma ho notato anche, nel video, vicino al timpanista, uno strano supporto con diverse coppie di bacchette di vario tipo, a riprova della vasta gamma di sonorità richieste dalla partitura anche a questi strumenti, mentre la grancassa grande, disposta singolarmente in orizzontale anzichè in verticale come di consueto, adopera ovviamente mazze ben più corpose, la presenza di una batteria di 3 bonghi, oltre che tamburo militare, tam-tam, piatti, piatti sospesi, triangolo, xilofono, celesta, campanelli, tamburello basco, eliofono o macchina del vento, pianoforte in orchestra, tacendo degli strumenti fuori scena, ovvero trombe, tromboni, un altro tam-tam, campana e una ulteriore macchina del vento. In orchestra i legni e gli ottoni sono a 3, con la presenza di 2 arpe (le cronache del tempo parlano anche della presenza di alcuni sitar e di altri strumenti etnici in organico, non presenti nel video in questione, la qual cosa mi fa presumere che si sia ricorso, in questo caso, a qualche compromesso, riducendo il numero complessivo degli esecutori, vocali e strumentali, rispetto a quelli originariamente previsti in partitura). Originalissime anche certe sonorità ruvide e raschianti, ottenute dalla massa degli archi, almeno queste le mie impressioni in ordine sparso. C'è persino uno dei motivi che circolano all'interno del lavoro, che mi ricorderebbe vagamente il celebre tema dell'adagio dal 'Concierto de Aranjuez' di Rodrigo, se non fosse che quest'ultimo è stato creato successivamente, ovvero nel 1939, così come a tratti la musica di "Belkis" mi ha fatto pensare al Rota cinematografico, che più o meno in quel periodo, esordiva proprio come compositore di musica da film, anche se in maniera circoscritta e limitata, non potendo quindi dispiegare appieno la sua personalità, cosa che avverrà ben più tardi, poichè riguardo al primo titolo da lui musicato, ovvero "Treno popolare" di Raffaello Matarazzo, in pratica il suo apporto venne limitato sostanzialmente al solo riarrangiamento di alcune note canzoncine dell'epoca, inserite nel corso del film, venendogli così negata in partenza, l'espressione della sua peculiare cifra stilistica, da lui già posseduta all'epoca. Tornando al balletto respighiano, certo dinamismo ed esuberanza ritmici di momenti come la 'danza guerresca' nella 2^ parte, sembrerebbero rimandare anche al compositore americano Copland, la qual cosa non mi sembrerebbe poi così improbabile, visto che Respighi aveva rapporti con gli Stati Uniti ("Feste Romane" venne eseguita in prima assoluta nel 1928, dalla Philarmonic Symphony Orchestra of New York, diretta da Arturo Toscanini, "Vetrate di chiesa" e "Metamorphoseon-Modi XII, tema e variazioni", gli vennero commissionate dalla Boston Symphony Orchestra, diretta da Sergei Koussevitski, il secondo dei 2 brani, se non sbaglio, per il 50° anniversario della compagine bostoniana), ed era amico del compositore e direttore d'orchestra statunitense, anche se di origini svedesi, Howard Hanson, che tra l'altro in quegli anni vinse il "Prix de Rome", per la sua seconda sinfonia "Romantica", il cui stile, oltre a essere debitore di Mussorgski, Grieg e Sibelius, è parzialmente influenzato anche da quello del compositore bolognese. Sicuramente, riguardo a quest'ultimo, la musica di "Belkis", nella sua enfasi e magniloquenza persino sfacciata, risente senz'altro dell'atmosfera dell'epoca, analogamente al mistero in un atto "Il deserto tentato" di Alfredo Casella (l'ultimo dei 3 unici contributi al repertorio del teatro lirico, assieme a "La donna serpente", lavoro in 3 atti e all'opera da camera, anch'essa in un atto, "La favola di Orfeo", del compositore torinese), composto proprio in quegli anni, dopotutto era il periodo delle campagne di Etiopia e dell'Abissinia, durante il regime mussoliniano (dico questo non certo per cadere nel luogo comune di voler assimilare Respighi in toto al fascismo, al quale, come altri, aderì in realtà in maniera, a dir poco, decisamente relativa e forzata, non certo per intima convinzione, nè tantomeno per opportunismo, stante il prestigio internazionale di cui godeva, al contrario era il fascismo che, caso mai, se ne serviva per portare acqua al suo mulino, voglio solo rilevare come anche il compositore bolognese non fosse certamente del tutto impermeabile al clima generale di quel periodo, all'atmosfera dell'epoca) e a voler essere proprio ipercritici, questo balletto, analogamente ad altri lavori del musicista felsineo, sembra più un immenso poema sinfonico per voci e orchestra, più una sinfonia coreografica alla maniera di un "Daphnis et Chloé" di Maurice Ravel, che un lavoro prettamente destinato alla danza (in effetti, lo rileva anche il direttore d'orchestra tedesco, nel breve documentario in appendice, quando dichiara che la musica, eminentemente sinfonica nel suo trattamento vocale e strumentale, è caratterizzata da un'estrema mutevolezza agogica, oltrechè cambiare di atmosfera nel volgere di pochi istanti, rendendo certamente le cose non facili ai danzatori), anzi secondo una dichiarazione del regista del video, musicista jazz lui medesimo, contenuta in un breve 'dietro le quinte', unico contenuto aggiuntivo del dvd, questa musica sarebbe costantemente in bilico fra kitsch e sublime, osservazione molto acuta e condivisibile, eppure, nonostante ciò, la forza rapinosa di questa composizione, ti fa passare tranquillamente sopra a questi rilievi, è decisamente grande musica, dall'andamento ritmico estremamente flessibile, come giustamente rilevato dal direttore d'orchestra, sempre durante il breve 'dietro le quinte' summenzionato, veramente e supremamente "cinema per le orecchie", come del resto viene definito anche all'interno del fascicoletto che accompagna il disco. Proprio "cinema per le orecchie" e per giunta su grande schermo panoramico! A proposito sempre di questo lavoro, ricordo che, anni fa, trovandomi all'interno di un tendone dove si vendevano libri usati e a metà prezzo, qui a Bologna, in piazza Verdi, casualmente occhieggiai un vecchio titolo il cui autore era un critico musicale nostrano del quale non rammento il nome, ma che attirò la mia attenzione in quanto si trattava di una pubblicazione che ambiva a tracciare un panorama complessivo delle nuove generazioni di compositori italiani dell'epoca, essendo stato pubblicato verso la fine degli anni '30. Orbene, in questo tomo, abbastanza interessante pur essendo chiaramente datato e del quale non ricordo nè il titolo, nè l'editore, sfogliandolo, mi accorsi che, a parte alcuni giudizi decisamente sommari, come, per esempio,quello relativo a Victor De Sabata compositore, sbrigativamente inserito fra gli epigoni straussiani, mentre invece basterebbe ascoltarne proprio il suo stupefacente balletto "Le mille e una notte", putacaso anch'esso definito recentemente da un recensore nostrano, come una partitura superficialmente hollywoodiana, tanto per cambiare (segnalo, per gli eventuali interessati, che di questa partitura ne esitono un paio di edizioni discografiche, di cui una integrale e l'altra riguardante la sola suite da concerto), guardacaso composto più o meno negli stessi anni del lavoro di Respighi, per rilevarne, al contrario, pur fra vari rimandi stilistici, l'assoluta originalità di linguaggio, ecco proprio che, nel trafiletto dedicato a Respighi, si parla, ma guarda un pò, del suo "Belkis", dopotutto andato in scena pochi anni prima. L'autore del saggio, dopo aver rilevato la presenza di strumenti etnici in seno all'orchestra e aver riferito sinteticamente dei pareri estasiati degli stessi orchestrali, riguardo alle sonorità inusitate ottenute dal compositore, alla fine, ne traccia un giudizio come al solito, nel caso di Respighi, decisamente negativo, ovvero di una musica di grande effetto e nessuna sostanza, tanto per cambiare, l'unica cosa che simili detrattori non gli potevano, loro malgrado negare, era la strepitosa perizia tecnica nel trattamento dell'orchestra, tale ne era l'evidenza; il sottoscritto, assai più modestamente, asserisce semplicemente che Respighi fosse in tutti i sensi, un autentico mostro di bravura, troppo bravo in un paese di cialtroni invidiosi quale è sempre stato l'Italia, per giunta capace di scrivere musica orecchiabilissima, tonalissima, ma rimanendo moderno e originale, in barba ad Adorno e soci! Ma essendomi già dilungato più che a sufficienza su "Belkis, regina di Saba", lavoro che fonde in modo singolare, nella sua scrittura, elementi ebraici, africani e arabici, con modalismi gregoriani, ne rimando la disamina critica del relativo video, allo scritto seguente, nel quale disquisirò anche riguardo alla parte affidata alla voce recitante, originariamente prevista per voce maschile e inizialmente limitata a 2 soli interventi (in verità l'autore aveva pensato anche ad un terzo intervento a cavallo degli ultimi 2 quadri del balletto, ovvero fra il 6° ed il 7°, ma venne dissuaso in ciò dall'editore Tito Ricordi, il quale temeva che il pubblico potesse spazientirsi), cioè all'inizio e a circa metà del balletto, stante il fatto che, per questa versione da concerto oggetto del video, si sono adoperati criteri differenti (continua).