venerdì 5 aprile 2013

Senza sole.

Proprio come il titolo di un ciclo vocale mussorgskiano, questo è veramente un paese senza sole, a cominciare dal punto di vista climatico. L'atmosfera generale è veramente di un grigiore insopportabilmente infinito, nelle cose come nelle persone; sembrerebbe non esserci alcuna via d'uscita da questo vicolo cieco in cui siamo pesantemente sprofondati. Il bello è che ci sono ancora in circolazione parecchi idioti col paraocchi, che si fanno miserevolmente scudo della retorica del bel paese, culla della civiltà, degli italiani brava gente, del paese del sole e via di questo passo, così irritantemente ottusi nel rifiutarsi di vedere il cumulo di macerie che gli sta intorno, ma ovviamente tutto questo rientra tranquillamente nella norma (non quella di Bellini, purtroppo!), stupido è chi, come il sottoscritto, continua a meravigliarsene e a dolersene. Siamo decisamente una massa di pagliacci (non quelli di Leoncavallo, sfortunatamente), rimbambiti dall'eccesso di benessere (ma non ancora per molto, temo), almeno per coloro che godono ancora di una certa agiatezza, in un contesto sociale che ha reso la vita stessa un lusso per pochissimi privilegiati. Quanto vorrei voltairrianamente avere un giardino da coltivare, lasciando che il resto del mondo continui ad andarsene allegramente a rotoli per i fatti suoi, come è ovviamente la norma (sic!), ma avendo come tanti miei simili già un piede nella fossa (almeno fosse quella dell'orchestra!), me lo posso serenamente scordare. E' scontato come in un simile contesto, anche l'arte e la cultura, non possano non seguire la deriva retrograda che attanaglia l'intera nazione. L'ho già ribadito nei miei precedenti scritti, come l'adagiarsi sulla consuetudine, per comodità e opportunismo, costituisca un freno all'evoluzione della società in generale, sclerotizzandola in una degenerazione involutiva, di cui abbiamo costantemente sotto gli occhi, le infinite conseguenze nefaste. Specchio di ciò lo abbiamo appunto nei cartelloni musicali e teatrali, all'insegna sovente, della più sfacciata scontatezza di scelte, ovvero della personalmente vituperata riproposta della "solita minestra". Ennesimo piatto di minestra riscaldata mi è parso, tanto per cambiare, l'ennesimo "Olandese volante" di Wagner, questa volta proveniente proprio dal Comunale di Bologna (anche se mi verrebbe voglia di ribattezzarlo l'Orinale, stante il caratteristico olezzo che gli gravita attorno), visto un paio di domeniche fa, in differita televisiva su Rai 5, con una tipica regia teatrale modernamente astrusa, perfettamente nella norma (!) e una direzione d'orchestra alquanto erratica, tutta strappi e cincischiamenti, almeno così mi è parso ad una prima impressione; aspetto di ascoltarne anche la differita radiofonica che, se non sbaglio dovrebbe essere trasmessa da Radiotre prossimamente, per vedere se questa mia impressione sarà confermata o meno. Devo dire, però, che anche un precedente allestimento dell'opera dallo stesso teatro, trasmesso in diretta radiofonica, non mi aveva entusiasmato per la direzione d'orchestra, allora sotto la bacchetta di Daniele Gatti. Mi permetto un ingenuo suggerimento, anzichè allestire l'ennesimo inutile "Olandese", perchè non seguire il remoto esempio del teatro di Cagliari, che ripescò la prima opera composta da Wagner, ossia "Die feen" (Le fate), tratta da una fiaba del nostro Carlo Gozzi, che pur rigettata in seguito dallo stesso compositore, è in realtà un lavoro assai bello, più del "Rienzi" per intenderci, come sottolineato da Elvio Giudici nella sua arcinota "Guida all'opera lirica in disco e in video", col quale concordo pienamente al riguardo, pur non condividendone il giudizio troppo drastico nei confronti del "Rienzi". E' veramente questa opera, un lavoro più che meritevole di essere conosciuto e apprezzato dal pubblico e il riproporlo, in questo caso, avrebbe dato un senso diverso, a un altrimenti banalissimo anniversario celebrativo, senza tener conto dello stimolo rinfrescante e positivo che ne avrebbero tratto i musicisti medesimi, a cominciare dai complessi dello stesso, nell'avventurarsi in una partitura praticamente sconosciuta a loro, cosa che probabilmente si sarebbe riflettuta sugli esiti interpretativi, tonificati come sarebbero da una simile riscoperta. Ma purtroppo tutto questo non rientra affatto nella norma (!!!), per cui teniamoci il paese che ci meritiamo, non lamentandoci ipocritamente qualora ci dovessimo accorgere che si è ridotto a una tristissima landa desolata. Passando a faccende discografiche, purtroppo è da qualche mese, che stante il fallimento della Jupiter, l'etichetta svedese Bis è ancora priva di un nuovo distributore nostrano; mi è stato detto che, se si vogliono ottenerne i titoli tramite distributori esteri, il prezzo sarebbe di 25 euro per cd! Strano, una volta ordinando all'estero, si spuntavano prezzi più bassi, si vede proprio che i tempi cambiano, ovviamente in peggio, il che rientra decisamente nella norma (!!!!). Aggiungiamo il fatto che le novità della Naxos arrivano a rilento e abbiamo di che tirarci su il morale. Poveri noi!