lunedì 16 maggio 2011

La banda bassotti.

Ritornando sulla questione spinosa del diritto d'autore, voglio fare l'esempio del defunto compositore nostrano Luciano Berio. La famosa sigla di Radiotre è costituita da una porzione di "Rendering", ossia una rielaborazione al computer da parte del noto compositore di frammenti di un'incompiuta decima sinfonia di Franz Schubert (1797-1828), per cui in virtù delle storture connesse alla legislazione del diritto d'autore, ogni volta che Radiotre mandava in onda quel pezzo del tutto o in parte, per il compositore tutto ciò significava l'arrivo di un bel pò di soldi; e adesso, essendo lui già morto, lo è anche per i suoi eredi, tenuto conto che, con la legislazione vigente, il diritto d'autore è esigibile, qui in Italia e in buona parte dell'Europa, per ulteriori 75 anni dalla morte dell'artista, anche se stanno già pensando ahimè di estenderlo come negli Stati Uniti a 95 anni. Tra le varie altre rielaborazioni di musiche del passato di Luciano Berio, vi è anche quella, arcinota e peraltro riuscita delle 4 versioni sovrapposte e trascritte per orchestra, della "Ritirata notturna di Madrid" di Luigi Boccherini, compositore italiano del '700. Inoltre Berio è stato autore di un ulteriore finale per l'opera incompiuta di Giacomo Puccini "Turandot"(1924, rappresentata postuma nel 1926 alla Scala con la direzione di Toscanini), non brutto ma superfluo, se si tiene conto che all'epoca il compositore Franco Alfano vi aveva già provveduto su incarico dello stesso Toscanini, il quale non contento della prima stesura, costrinse Alfano a realizzarne una seconda più fedele agli appunti manoscritti di Puccini, ma più manchevole dal punto di vista dello svolgimento teatrale; tra l'altro parrebbe che la prima stesura di Alfano, che purtroppo non conosco, sia notevolmente più moderna e ardita, a parte la trionfalata finale, di quella usualmente adoperata in sede esecutiva, ossia la seconda stesura che è più abbreviata rispetto alla precedente. Solo che alla casa editrice delle partiture di Puccini, ossia la Ricordi, finita nel frattempo nelle grinfie del gruppo multinazionale BMG, stavano per scadere i diritti d'autore, che all'epoca erano ancora fissati a 50 anni (essendo Alfano morto negli anni '50), per cui bisognava a tutti i costi trovare uno stratagemma per mungere altri soldi da un'opera che stava per diventare di dominio pubblico; e quale sistema poteva essere migliore di quello di commissionare un nuovo finale a un compositore vivente? Detto fatto si affida il tutto nelle abili mani di Luciano Berio, il quale è decisamente avvezzo a operazioni del genere, musicalmente spesso inutili o quantomeno discutibili, ma utili sia alla casa editrice che al diretto interessato, che con simili stratagemmi e poco sforzo ci ha fatto vagonate di quattrini, oltrechè apportare benefici ai suoi attuali eredi. Anzi, la maggior parte delle opere di Berio constano di rielaborazioni di musiche del passato, in gran parte di dominio pubblico! Un bel furbacchione, non c'è che dire! Tra gli altri ha anche riorchestrato alcuni canti originariamente per voce e pianoforte di Gustav Mahler e Manuel De Falla, oltrechè trascrivere per orchestra da camera, alcune canzoni dei Beatles, tra cui "Yesterday" e "A ticket to ride". Inoltre la sua composizione intitolata "Sinfonia", in 5 movimenti, per gruppo vocale e orchestra, nel terzo movimento è caratterizzata da un gran numero di citazioni musicali (oltre a quelle ricorrenti in più punti dal terzo movimento dalla seconda sinfonia di Mahler, sono presenti anche citazioni da "La valse" di Ravel, da "Le sacre du printemps" di Stravinski, oltrechè da "Der Rosenkavalier" di Richard Strauss, solo per menzionarne alcune) inserite abilmente nel tessuto musicale di quello che è comunque uno dei suoi capolavori assoluti. Si tenga conto che quelli da me fatti sono solo una minima parte degli esempi di tal fatta presenti nel complesso dei lavori di Luciano Berio. Per chi comunque volesse farsi un'idea in proprio del finale di Luciano Berio per la "Turandot" di Puccini, esiste un cd della Decca di rarità pucciniane diretto da Riccardo Chailly, comprendente anche questo finale, uscito anni addietro e quindi non so se sia ancora in catalogo, mentre dovrebbe esserlo un'edizione in video dell'intera opera col finale di Berio diretta da Valery Gergiev in un dvd della TDK. Purtroppo della prima versione del finale di Alfano per la stessa opera esisteva una incisione dal vivo del coro e dell'orchestra del Festival di Charleston diretti da Christopher Keane da tempo irreperibile e poi pare fosse incluso in un cd sempre della Decca all'interno di un recital del tenore Lando Bartolini, ma anche questo titolo credo che sia attualmente irreperibile. Ma vista la disinvoltura di queste riappropriazioni di musiche del remoto passato di dominio pubblico, per farle rientrare nel campo del diritto d'autore, da parte di avide case editrici e di altrettanto avidi musicisti, mi fanno proprio pensare a una colossale banda bassotti di malfattori da strapazzo! Proprio adesso mi viene in mente che, qualche tempo fa, anche un compositore vivente cinese di cui non ricordo il nome, ha realizzato anche lui un ulteriore finale per la  "Turandot" che ha beneficiato di almeno una rappresentazione pubblica in loco, casomai se ne sentisse ancora la necessità! Qui siamo ben oltre la soglia della decenza, peccato non poterglielo dire in faccia a questi manigoldi che vampirizzano i capolavori del passato per la propria fame smisurata di quattrini! Ma per il momento sospendiamo il discorso e ci risentiamo alla prossima occasione.

Stessa spiaggia, stesso mare.

Ho voluto giocare col verso di una nota canzonetta degli anni '60, per riferirmi all'opera di Fabio Vacchi, compositore bolognese (classe 1949) andata in scena in prima assoluta al Teatro Petruzzelli di Bari e radiotrasmessa in differita su Radiotre domenica 15 maggio, registrata dal vivo il 28 aprile scorso. E' un lavoro di concezione piuttosto ampia, strutturato in 3 atti della durata complessiva di circa 2 ore e 40 minuti, intitolato per l'appunto "Lo stesso mare", per 3 voci recitanti, cantanti, grande orchestra ed effetti elettronici di spazializzazione del suono, su libretto di Amos Oz, commissionato dallo stesso teatro, dove è stato diretto da Alberto Veronesi. Spiace constatare che, almeno giudicando dalla ripresa sonora, il pubblico sembrasse un pò scarso, anche se partecipe, poichè almeno sulla base del solo ascolto, il lavoro faceva una notevole impressione, merito anche della bella prova di tutti gli interpreti, compresa la sorprendete orchestra del teatro, in una partitura così multiforme stilisticamente e non certo facilissima. Come alla Scala con "Quartett" di Luca Francesconi, anche stavolta la commissione dell'opera non era legata ad alcuna ricorrenza patriottarda e come in quel caso l'esito complessivo, almeno dal punto di vista musicale, risulta notevole, lontano anni luce da quello ben più misero di opere come "Risorgimento!" di Ferrero, sarà forse una coincidenza? Se tutte le opere contemporanee nostrane fossero come queste di Francesconi e di Vacchi, avremmo ragione di essere ben più ottimisti sul futuro del teatro lirico contemporaneo qui dalle nostre parti.  Questa è la contemporaneità che vorrei sentire sempre! Tanto più che anche in questo caso il linguaggio adottato da Vacchi in "Lo stesso mare", risultava fortemente suggestivo e di forte presa emotiva, per cui anche le inserzioni "etniche" e le citazioni a incastro operistiche, essendo uno dei personaggi dell'opera un'appassionato di lirica ( tra l'altro erano riconoscibili citazioni da "Bella figlia dell'amor" dal "Rigoletto" di Verdi oltrechè dalla serenata dal "Don Giovanni" di Mozart), si incastonavano nel tessuto musicale con estrema fluidità e naturalezza, così come i rimandi stilistici a certo minimalismo di stampo statunitense, per cui non si aveva mai la sensazione di un qualche cosa di manierato, o di qualche furbesco ammiccamento alla logica del facile ascolto, ma il tutto risultava in una notevole sincerità espressiva. Il titolo "Lo stesso mare" si riferiva anche al fatto che i diversi personaggi dell'opera, pur essendo di diversa estrazione sociale e di diversa nazionalità e vivendo situazioni personali differenti, avevano tutti in comune lo stesso ambiente sociale, ossia "Lo stesso mare". L'opera era priva di una trama in senso tradizionale essendo costituita da una giustapposizione di diverse situazioni sceniche, introdotte di volta in volta dalle 3 voci recitanti, quindi non aveva una struttura convenzionale.  Non per niente lo stesso Vacchi, in un'intervista radiofonica, faceva notare come le forme musicali e quindi l'opera lirica, si evolvano ossia mutino nel tempo, come lo era per esempio la sinfonia ai tempi di Bach (invenzioni a 3 voci) e ai tempi di Mahler (dilatata all'estremo in strutture ampie e colossali), per cui anche il suo lavoro, pur essendo per certi versi anticonvenzionale, può ascriversi a pieno diritto nella categoria del teatro lirico contemporaneo. Detto per la cronaca che la regia teatrale era di Federico Tiezzi e le scene di Gae Aulenti, mi astengo per ovvie ragioni di ascolto radiofonico dal parlare della parte scenica, auspicando quanto meno che fosse sullo stesso livello della partitura musicale. Trovo comunque piacevolmente incredibile che anche qui da noi, nella prima metà di quest'anno, si siano già rappresentate almeno 2 notevoli novità operistiche di tale fatta (ossia "Quartett" di Francesconi e quest'ultima "Lo stesso mare" di Vacchi), semprechè magari non ce ne siano anche altre a me ignote, tenendo conto dei tempi bui che attraversiamo non solo dal punto di vista culturale, per cui prendiamo tutto ciò come un segnale positivo per uscire da questa cappa opprimente di tetraggine che attanaglia l'intera nazione. Ad maiora!