Altrochè se gli anni passano, esternamente puoi anche dimostrarne di meno, ma ciò non toglie che la faccenda abbia le sue conseguenze inesorabili e inevitabili. Me ne sono per l'ennesima volta reso conto l'altra sera, quando ogni volta che dovevo posizionare la puntina all'inizio della facciata del disco, mi ci voleva una buona mezz'ora per trovare la posizione giusta e sì che il mio giradischi è dotato di lampada periscopica, così come lo stabilizzatore dinamico della mia testina reca incisa una tacca per il posizionamento della puntina. Ma quando, col passare del tempo, ti si acuiscono i problemi di vista, tipo miopia, astigmatismo, congiuntivite cronica con inizio di cataratta, tanto per non farsi mancare alcunchè, che già ti creano difficoltà anche solo nel poggiare il disco sul piatto, ecco che ringrazi il cielo che sia stato inventato anche il cd, con la sua maggiore comodità operativa. Il giradischi, insomma, è un oggetto per audiofili in perfetta salute, il chè col passare degli anni diventa sempre più difficile. In linea teorica la presenza di eventuali automatismi, potrebbe attenuare il problema, senonchè questi ultimi, per mia esperienza, oltre a degradare sensibilmente il suono, non sono mai del tutto precisi ed affidabili, per cui è comunque giocoforza, nel trascorrere dell'esistenza, ricorrere sempre più alla comodità operativa del dischetto digitale, tantopiù che il suo complessivamente maggiore minutaggio totale, consente di salvaguardare maggiormente la continuità musicale delle composizioni più estese, soprattutto nelle sue evoluzioni tecnologiche da cd a dvd e a bd. Questi sono aspetti non secondari da tenere in considerazione nell'eterna diatriba fra supporti analogici e digitali. Questi ultimi mi sembra anche che 'digeriscano' meglio anche le composizioni per organici vastissimi, mentre mi sembra che, a volte l'analogico manifesti, in questi casi, dei limiti di 'contenimento fisico'. / Le cosiddette stampe speciali su vinile vergine, se vogliamo dirla tutta, celano in sè una mistificazione, poichè in realtà dovrebbero rappresentare la norma per tutte le stampe commerciali. Il fatto è che così operando, si trova il sistema per giustificarne il prezzo più elevato in commercio. I primi dischi microsolco in vinile, introdotti nel 1948 dalla Columbia/CBS in America, avevano un peso di 180 grammi, equivalente alla metà del peso, 360 grammi, dei coevi 78 giri, quindi quello inizialmente era il peso corrente delle stampe dell'epoca. Il concetto di stampa speciale è stato introdotto, mano a mano che, col passare del tempo, le case discografiche assottigliavano sempre più, per motivi biecamente commerciali, le stampe dei loro titoli (come per esempio, nel caso dei famigerati 'Dynaflex' introdotti dalla Rca americana nei primi anni '70, flessibilissimi, sottilissimi come un'ostia, rumorosissimi, ma spacciati come un'innovazione migliorativa!). Ecco che si sono avute ristampe speciali da 210, 200, 180, 150, 125, 90 grammi, di conserva al progressivo alleggerimento e assottigliamento delle stampe commerciali. Inoltre la grammatura, ossia il peso e lo spessore del vinile, non è l'unico fattore a determinarne la qualità, ma anche il fatto che il vinile utilizzato sia interamente vergine, ossia non riciclato da precedenti scarti di lavorazione. Va da sè che, nelle stampe commerciali, col tempo, la percentuale di vinile riciclato fosse progressivamente sempre più superiore a quella di vinile vergine, se a ciò aggiungiamo pure il passaggio dai controlli di qualità manuali a quelli automatici (ovvero disastrosi!), le volute trascuratezze in materia di immagazzinamento, stoccaggio e confezionamento, ci rendiamo conto di quanto siamo stati (e veniamo presi tutt'ora) per i fondelli! E non diamo sempre la colpa alla crisi, anche in questo caso! / Ho rinvenuto degli lp Dg 'italiani', recanti la sigla D.R. con sotto la sigla SIAE, nel riquadro a sinistra, sull'etichetta; inoltre, ho individuato dei Dg, dalla nazionalità di stampa non identificabile sull'etichetta, recanti in basso la scritta "Polydor International", mah!.....
Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
mercoledì 8 maggio 2013
Bazzecole e pinzillacchere.
Questo mese ricorrono almeno 2 anniversari importanti, almeno sulla carta: il 14 maggio 1763, con la prima rappresentazione assoluta de "Il trionfo di Clelia", dramma per musica in 3 atti di Christoph Willibald Gluck su libretto di Pietro Metastasio, con scene e costumi di Antonio Galli Bibiena, si inaugurava proprio 250 anni fa il Teatro Comunale di Bologna, progettato proprio dallo stesso architetto Bibiena. Dopo di allora, quest'opera sembra non sia mai più stata rappresentata e quindi proprio martedì 14 alle ore 20, dovrebbe avere, in una nuova edizione critica appositamente realizzata per l'occasione, la sua seconda rappresentazione assoluta, oltretutto nello stesso luogo per cui venne realizzata originariamente. Speriamo bene che si tratti di una riesumazione degna di nota, che vada ben al di là dell'occasione contingente così come spero, prima o poi, almeno tramite Radiotre, di poterlo verificare almeno con le mie orecchie, una volta tanto che non si va a pescare nella solita minestra. L'unica cosa che, al momento, mi mette un poco in apprensione, è quanto si legge riguardo ai criteri registici adottati, stando all'opuscolo ufficiale dell'attuale stagione del Comunale. A pag.6, nelle note del consulente artistico Nicola Sani si legge testualmente: "Occasione preziosa per la riscoperta di un titolo di rarissima esecuzione, presentato in una veste semplice e innovativa (sic!) dal giovane regista inglese Nigel Lowery." Più oltre a pag.19, nelle note anonime a fianco della locandina degli interpreti si aggiunge: "In questa nuova produzione, che ambienta l'azione in un parallelismo tra il mondo classico e i moti rivoluzionari dei primi decenni del ventesimo secolo (sic!), la regia e le scene sono affidate al giovane regista inglese Nigel Lowery......" Insomma il rischio di doversi sciroppare l'ennesima regia teatrale modernamente astrusa come da norma, mi sembra dietro l'angolo, per cui speriamo che l'occasione preziosa non si riveli, alla fine, come l'ennesima occasione sprecata. Purtroppo, se penso a quello che ho visto e sentito sia attraverso Radiotre che Rai5, degli spettacoli più recenti del Comunale (Trovatore, Macbeth, Olandese Volante, mentre sorvolo sulla Norma, non avendola ancora ascoltata), stante il livello complessivamente non esaltante, questo non m'induce a essere ottimista, anzi direi proprio che i 250 anni, il Comunale, li porta decisamente malissimo, salvo smentite. Vedremo e soprattutto, sentiremo! Ma il fatto è che la resa artistica dei complessi corali e orchestrali del teatro, risente moltissimo del livello di chi li dirige, essendo stata massima come testimoniato anche dalle incisioni discografiche, quando a dirigerli c'era un certo Riccardo Chailly, mentre già con Daniele Gatti, si andava più a corrente alternata, ovvero a buone riuscite si affiancavano anche serate mediocri, in cui il nostro, mi si passi il bisticcio, dirigeva da cani! L'attuale direttore stabile, figlio guarda caso del sovrintendente del Festival Rossini di Pesaro, non è secondo me la guida ideale per questi complessi, in quanto interpretativamente ancora acerbo, anche se riconosco che la sua direzione della bellissima "Matilde di Shabran" proprio al Festival Rossini, mi è sembrata una delle rare volte in cui desse un'interpretazione più convincente. Tra l'altro proprio quest'anno dovrebbe affrontare la sfida enorme rappresentata dal "Guillaume Tell" nella stessa sede, in agosto, per cui incrociamo le dita! Il secondo anniversario a cui volevo accennare, riguarda la prima rappresentazione assoluta di quello che è il capolavoro simbolo di tutto il '900 musicale, ovvero la tumultuosa prima de "Le sacre du printemps" di Stravinski, avvenuta il 26 maggio 1913, ovvero 100 anni fa. Pensare che una musica del genere stia per tagliare il traguardo del secolo di vita, produce un singolare effetto. Aspettiamoci anche, come trita consuetudine in questi casi, che le varie istituzioni musicali, approfittino dell'occasione, per riproporci questo brano arcinoto e strainciso, fino alla nausea, intanto già venerdì scorso si è riascoltato nella seconda parte del concerto dell'orchestra sinfonica della Rai, in più ne sono già uscite recentissimamente altre 2 ennesime edizioni discografiche ma, faccenda curiosa, in video, ossia in dvd, non è reperibile alcuna edizione in forma di balletto, ossia con tanto di danzatori e coreografia, trovandosi esclusivamente poche riprese di esecuzioni in forma concertistica, cosa abbastanza singolare se raffrontata alla pletora di edizioni discografiche. Sempre tutto nella norma!
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