giovedì 2 maggio 2013

La dittatura del cronometro (segue).

Del malevolo comportamento di coloro che definisco volgarmente ragionieri della musica, posso fornirvi un ulteriore esempio. La sera dell'11 luglio 2012, mi trovavo in piazza Verdi, sempre a Bologna, ad assistere a un concerto all'aperto con l'orchestra del Comunale. Avendo smarrito il programma originale, non ricordo chi fosse il direttore d'orchestra, se non sbaglio però, il breve concerto principiava con un'ouverture di Rossini, 'L'Italiana in Algeri', a cui seguiva un lavoro giovanile di Respighi, ossia il concerto in la min. per pianoforte e orchestra, mentre la conclusione veniva affidata alla quarta sinfonia 'L'Italiana' di Mendelssohn-Bartholdy. Il solista al pianoforte era un certo Almerindo d'Amato, che sinceramente, confesso la mia ignoranza, non avevo mai sentito nominare prima d'ora ed obiettivamente, dopo averlo ascoltato in loco, non me ne meraviglio affatto! Ho per fortuna rintracciato un foglietto, distribuito la sera stessa prima dell'inizio dello spettacolo, recante le note di commento di mano dello stesso pianista, inerenti il brano di Respighi, che veniva eseguito nuovamente a Bologna, per la prima volta, a poco più di 110 anni dalla sua prima esecuzione assoluta, avvenuta proprio a Bologna, l'8 giugno 1902. Il mese prima, ossia nel giugno del 2012, questo stesso brano, con altri interpreti, figurava nel programma di un concerto tenutosi in quel di Brescia. Dico questo per puntualizzare il fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe supporre leggendo il foglietto summenzionato, la riscoperta di questo brano non si deve affatto ad Almerindo d'Amato, tanto più che già a metà degli anni '90 ne sono uscite ben 2 edizioni discografiche, una (quella in mio possesso) per la Naxos, col solista Konstantin Sherbakov accompagnato dall'orchestra filarmonica slovacca diretta da Howard Griffits, l'altra per la Chandos, col pianista Geoffrey Tozer e la BBC Philarmonic diretta da Sir Edward Downes. Ecco che il motivo principale di interesse della serata, veniva costituito dal brano di Respighi, in cui però a parte la piacevolezza dell'ascolto, erano ancora scarsamente presenti i tratti tipici personali del suo stile, mentre risultavano evidenti gli innumerevoli debiti stilistici, in primis quelli liztiani. Pur con questi limiti, in ogni caso il brano è in sè più che degno di riproposta, anche se per coloro che non conoscono l'autore ( e sono tantissimi anche qui a Bologna), non dà un'idea precisa della personalità dell'autore. Peccato poi che, quella sera, l'esecuzione proposta, fosse ben lungi dall'essere ottimale, soprattutto per demerito del pianista, che rivelava evidentissimi limiti virtuosistici. Questo forse spiegava in parte gli sfacciati aggiustamenti agogici che il suddetto vistosamente si concedeva nella prima parte, quella più lenta del brano, rischiando in più punti di sfilacciarne la struttura complessiva, cosa che mi ha confermato il riascolto del disco in mio possesso, una volta tornato a casa. Innanzitutto, la durata complessiva del brano, quella sera risultò di 30 minuti, contro i circa 20 del disco in mio possesso e i 22 dell'edizione Chandos, tant'è che mi era sorto il dubbio che al mio disco mancasse qualcosa. E invece no, una volta che l'ho riascoltato mi sono accorto che non mancava un bel niente, solo che nel concerto bolognese, avevano letteralmente stiracchiato la prima parte del brano, facendola durare all'incirca il doppio rispetto al disco, ossia 20 minuti anzichè 10, mentre nella seconda (quella più veloce) i tempi risultavano pressochè coincidenti, rimanendo contenuti in ambo i casi, nell'arco della decina di minuti. Ma guarda caso, operando in maniera così disinvolta, il minutaggio complessivo del lavoro di Respighi nel concerto bolognese (30 minuti), risultava pressochè coincidente con quello del brano seguente, ovvero la sinfonia di Mendelssohn (27 minuti), una casualità? Tanto il pubblico ignorante mica se n ne accorge! Anche all'estero il malvezzo dilaga: ricordo un concerto ascoltato alla radio, in cui il direttore Lorin Maazel faceva durare la sinfonia n.38 di Mozart e la sinfonia n.2 di Schumann, esattamente 36 minuti cadauna, semplicemente eseguendo tutti i ritornelli nella prima ed omettendone alcuni nella seconda. O tempora, o mores! 

Concerti col tassametro!

E' da parecchio tempo che rilevo un singolare malvezzo fra i musicisti, sia per quel che concerne le loro esibizioni a cui ho assistito di persona, sia attraverso quelle che ho ascoltato tramite la radio, faccenda che mi sembra sfugga ai più, ma che considero sommamente deleteria, ovvero il proliferare di quelli che io definisco concerti col tassametro, in cui i criteri interpretativi in fatto di scelte agogiche e di eventuali tagli in sede esecutiva, sembrerebbero essere subordinati a una sorta di bilancino da ragionieri della musica anzichè da esigenze artistiche, le quali, in questi casi, se ne vanno bellamente a farsi benedire. Innanzitutto, in tali casi, sembra che l'esigenza primaria sia quella, a tutti i costi, di far durare la prima parte del concerto, esattamente al minuto spaccato o quasi, quanto la seconda, ovvero allargando o stringendo i tempi e magari anche tagliando interi passaggi, al fine di fare in modo che il minutaggio complessivo di ciascuna delle 2 parti che usualmente compongono un'esibizione pubblica, sia pressochè identico. Insomma le scelte in fatto di agogica e di tagli, non sono per nulla dettate da sia pur discutibili criteri interpretativi, ma unicamente dal cronometro! Ho rilevato questa cosa troppe volte, nel corso degli anni, ritenendola decisamente grave e deleteria, in barba anche alla deontologia professionale, che mi sembra manchi sempre più ai musicisti. Vi faccio un esempio inerente proprio Bologna. L'anno scorso rammento che Radiotre trasmise in differita un concerto dal Manzoni con l'orchestra e il coro del Comunale diretti da Arturo Tamayo. Il programma comprendeva 'Intègrales' di Varèse, 'Les nuits d'été' di Berlioz, nella prima parte; la seconda era interamente occupata dal balletto 'Daphnis et Chloè' di Ravel (e questo spiega la presenza del coro). Sottolineo che in questo caso trattavasi del balletto integrale (o meglio avrebbe dovuto) e non delle 2 suites generalmente eseguite in concerto nella maggior parte dei casi. Fin dal brano d'avvio, notai che il direttore staccava dei tempi larghi; il brano di Varèse, che normalmente dura 6-7 minuti qui ne durava 10, il ciclo di Berlioz che usualmente non supera la mezz'ora, in questa occasione raggiungeva i 33 minuti. E quindi il minutaggio complessivo della prima parte (10'+33') era di 43 minuti. Per cui, quando il conduttore radiofonico annunciò l'esecuzione integrale del balletto di Ravel, indicando una durata totale di 44 minuti, pensai avesse preso un abbaglio, poichè la durata media di questo lavoro si aggira sui 53-54 minuti (per la cronaca, le edizioni discografiche variano dai circa 51' dell'incisione Dg diretta da Ozawa ai 60 della registrazione Adès diretta da Rosenthal). Tanto più che fin dall'inizio, anche in questo caso, il direttore adottava dei tempi decisamente larghi. Purtroppo l'annunciatore non si sbagliava affatto, il minutaggio complessivo era effettivamente di 44' e tale risultato veniva ottenuto tagliando 2 sezioni della prima delle 3 parti di cui si compone il balletto e una sezione anche nella seconda parte. Peccato però che il brano in questione sia stato spacciato, anche al pubblico presente in sala, come un'esecuzione integrale, il che grida vendetta, stante anche l'illogicità di tale scempio, spiegabile solo come un'assurda esigenza cronometrica, visto che alla fine i minutaggi delle 2 parti risultavano per l'appunto di 43 e 44 minuti rispettivamente. Peraltro di tale incongruenza se ne accorse anche il conduttore radiofonico al termine della trasmissione. Tagliare 10-15 minuti di musica senza alcuna ragione logica, contando sull'ignoranza del pubblico, non è mica roba da ridere! Se fossi stato presente in loco, avrei inveito pesantemente contro il direttore, innanzitutto, in questi casi la serietà va a farsi benedire. Si poteva evitare un simile scempio, optando per l'esecuzione soltanto delle ultime 2 parti come fecero al Maggio, oppure eseguire le 2 suites tratte dallo stesso lavoro, od anche scegliere un altro lavoro, come per esempio 'Bacchus et Ariane" di Roussel, rimanendo in area francese, che dura circa 37', oppure l'intero 'Uccello di fuoco' di Stravinski, che dura circa fra i 41 e i 46 minuti, a seconda delle esecuzioni. Insomma, la maniera di conciliare l'integrità della musica con le esigenze del cronometro c'era, fermo restando che si tratta comunque di un criterio esecrabile, poichè se anche la seconda parte di quel concerto fosse durata 10-15 minuti più della prima, non vedo una ragione plausibile perchè ciò non sia avvenuto. Se non bastasse, ho un altro esempio al riguardo, tanto più che in questo caso, vi ho assistito di persona (continua).