giovedì 4 aprile 2013

Campane a morto?

L'altra sera, all'inizio della trasmissione Radiotresuite, si parlava per l'ennesima volta della situazione estremamente critica in cui versa il Maggio Musicale Fiorentino, notoriamente commissariato com'è prassi in simili casi, con tanto di interviste telefoniche sia all'attuale commissario straordinario, sia al presidente dell'associazione dei critici musicali italiani, Angelo Foletto. In linea di massima si facevano osservazioni condivisibili, soprattutto quando Foletto ha messo il dito nella piaga, affermando giustamente che le nostre istituzioni musicali, hanno peccato soprattutto di assistenzialismo, ovvero illudendosi che, bene o male, lo stato avrebbe comunque provveduto di sua tasca, per ripianare eventuali deficit di bilancio, un malvezzo tipicamente nostrano, che non riguarda, ahimè, soltanto l'ambito musicale. Ma, come sempre succede in simili occasioni, nè loro, nè tantomeno il conduttore della trasmissione, hanno rilevato un altro aspetto della faccenda, essendo la situazione del Maggio specchio fedele della situazione generale degli enti lirici in Italia (tra l'altro invocare un ipotetico intervento risolutore del sindaco di Firenze, Renzi, da parte di un radioascoltatore tramite sms, mi sembra proprio un'enorme ingenuità, vista la ben nota sordità dei politici nostrani in tal senso). Ovvero, come ripeto fino alla nausea, che imbastire cartelloni composti prevalentemente da titoli di sicuro richiamo, per il timore di perdere pubblico, soprattutto se accompagnato da una cattiva gestione, alla fine non preserva dalla catastrofe. Questa gente, crede di essere coraggiosa e innovativa, semplicemente proponendo titoli arcinoti con nuove regie modernamente astruse e/o con interpreti esordienti, giovani e acerbi, il che mi sa tanto di piatto di (solita) minestra riscaldata. La colpa principale che addebito alle nostre asfittiche istituzioni musicali è quella di non aver saputo o voluto, salvo rare eccezioni, stimolare la curiosità del pubblico, la sua apertura verso nuovi orizzonti culturali, ma al contrario, per propria comodità, di averne assecondato la naturale pigrizia mentale, creando un pubblico di melomani muffo, stantio, mummificato, sclerotizzato nelle proprie propensioni culturali, vecchio fino al midollo e non solo in senso anagrafico. Da noi tutto è stato ridotto a un museo delle cere, ed è ipocrita, con simili presupposti, dolersi del fatto che non ci sia stato un autentico ricambio generazionale del pubblico, tacendo dei prezzi dei biglietti solitamente elevati. Quest'anno si aggiunge anche la doppia sciagura del bicentenario verdiano e wagneriano, che serve solo come scusante flebile, per riproporre ai pubblici, titoli famosi di compositori arcinoti, in edizioni perlopiù mediocri, compositori che, lo ribadisco, non hanno certo bisogno di simili evenienze per essere commemorati, stante la loro regolare e copiosa presenza nei cartelloni lirico-sinfonici del globo terracqueo. Odio gli anniversari, non so se si è capito, proprio perchè si risolvono in un tripudio di banalità e incultura. Anzi, a costo di rendermi ancora più antipatico, affermo che, se anche tutte le istituzioni musicali nostrane, dovessero sparire dalla faccia della terra, non ci verserei sopra manco una lacrima, visto il loro modo di procedere. Se si pensa che, proprio ai tempi di Verdi, il pubblico esigeva giustamente, la presenza di nuovi lavori ogni anno, nei cartelloni dei teatri lirici, non si può non constatare quanti passi indietro si siano fatti in tal senso. Una volta una signora melomane bolognese, frequentatrice sia del Comunale che del Manzoni, mi disse che per lei andava benissimo così, tanto a detta sua, non ci si stanca mai di riascoltare i capolavori più famosi e che, perciò, non sentiva affatto il bisogno di fare nuove scoperte! A parte il fatto che mi verrebbe da obiettare che allora, tutti gli altri musicisti che hanno composto lavori meno noti, dovevano essere come minimo degli idioti perditempo, ma ci si dimentica del fatto che, anche per i capolavori acclarati e i loro autori, c'è stato il momento dell'esordio, in cui erano perfettamente sconosciuti e tali sarebbero rimasti, se nessuno si fosse preso la briga di farli conoscere in pubblico, continuando pedissequamente a riproporre i capolavori preesistenti, ed impedendo di fatto, un'evoluzione della storia della musica. Se poi si tiene conto del fatto che alcuni capolavori oggi assodati, ebbero un esordio addirittura disastroso, come proprio "La traviata" di Verdi, fischiata alla Fenice di Venezia, non posso esimermi dal trovare inaccettabili certi discorsi gretti e provinciali. Sapete che c'è stato un periodo in cui anche la musica di Bach era caduta nel dimenticatoio, per cui se non ci avesse pensato, nella prima metà dell'800, un certo Felix Mendelssohn-Bartholdy, direttore d'orchestra oltre che compositore, a riesumarlo proponendone in pubblico , tra le altre cose, la Passione secondo Matteo, chissà per quanto tempo le opere del sommo musicista, oggi eseguito fino alla nausea, sarebbero rimaste sepolte nell'oblio? Quanti lavori di Schubert sono stati eseguiti per la prima volta postumi? Anche la musica di un certo Vivaldi era una rarità, soprattutto una settantina di anni fa; in effetti la riscoperta della civiltà strumentale di quel periodo, si deve almeno in parte, agli esponenti della cosiddetta "generazione dell'80", ovvero Casella, Pizzetti, Malipiero, Respighi. In particolare Malipiero curò una prima edizione critica a stampa dei lavori vivaldiani. 50/60 anni fa le sinfonie di Bruckner e di Mahler, oggi eseguite e incise a livelli di sovradosaggio, erano praticamente ignote, soprattutto dalle nostre parti. E gli esempi potrebbero continuare. Ma il mio probabilmente è un discorso vano, vista la landa desolata popolata da zombie, in cui ho avuto la sfortuna di capitare. Questo discorso si potrebbe benissimo allargare al teatro di prosa, al cinema, a tutte le forme di arte e spettacolo, ma per il momento mi fermo qui.