Ieri sera ho ascoltato la diretta radiofonica dell' 'Olandese Volante' dal San Carlo di Napoli, nell'allestimento importato direttamente dal Comunale di Bologna e quindi con la stessa regia e con lo stesso direttore d'orchestra, Stefan Anton Reck. Di diverso rispetto a Bologna, a parte ovviamente i complessi corali e orchestrali, c'erano solo i cantanti impiegati per la rappresentazione, ma purtroppo, come temevo, questo non ha mutato in meglio le cose, almeno dal punto di vista musicale, anzi tutt'altro! Se sostanzialmente identico è il discorso che si può fare per la direzione orchestrale, forse un pò meno erratica che al Comunale, ma sostanzialmente confinata sempre nell'ambito di una solida ed impersonale routine, per contro l'orchestra, anche se tutt'altro che impeccabile, mi è parsa leggermente migliore, mentre il coro, soprattutto nel settore femminile, l'ho trovato un poco confusionario. Ma il peggio, anche stavolta, viene proprio dai cantanti, a cominciare dal protagonista, impersonato dal cantante finlandese Juha Kuusisto, un autentico strazio dell'anima, una catastrofe totale che si è rivelata fin dal monologo iniziale, veramente pietoso. A fronte di questa autentica calamità poco potevano un Daland, un Erik, non più che discreti, una passabile Senta, una Mary alquanto greve e affaticata di Elena Zilio ed un timoniere mediocre, anche se un pò meno disastroso di quello ascoltato da Bologna. E se in un'opera come questa, viene a mancare il protagonista, come in questo caso, facendo apparire stratosferico, al confronto, il non più che decoroso omologo bolognese, non c'è che da concludere: povero Wagner! Ma da quale clinica per malattie mentali l'hanno tirato fuori, un simile scherzo di natura? Poi non si incolpi la crisi e i tagli alla cultura, se le cose non vanno! Anche se non sono un esperto di vocalità, nè tantomeno un vociomane, quello che ho ascoltato ieri sera, per me gridava decisamente vendetta! Per contro direi che note più liete le ho riscontrate, almeno sul piano musicale, con la diretta scaligera dell'Oberto verdiano, in cui l'orchestra e il coro, veramente frizzavano, mi si passi il gioco di parole e i cantanti, pur non essendo tutti irreprensibili, mi sembravano più convinti e impegnati. A differenza dei sedicenti verdiani oltranzisti, che mi sembrano l'equivalente dei famigerati bidelli del Walhalla, concordo con l'autorevole opinione di Chailly, che afferma che in Verdi non ci sia alcunchè che non sia quantomeno degno di interesse. E in effetti, sotto la direzione di Riccardo Frizza, pur tra evidenti debiti donizettiani ed acerbità giovanili varie, mi sembra che, anche in questo lavoro, la zampata della forte personalità emerga in più punti, a cominciare dall'ouverture. Inoltre c'era un ulteriore motivo d'interesse, costituito dal ripescaggio di un duetto inedito delle 2 protagoniste femminili all'interno del 2^ atto, da Verdi stesso espunto prima che l'opera fosse rappresentata, su consiglio dell'impresario Sperelli, al fine di non affaticare troppo le cantanti, poichè a questo faceva seguito un quartetto con i 2 protagonisti maschili. Dai commenti del conduttore radiofonico e dei suoi ospiti, si evinceva che la regia teatrale di Mario Martone fosse modernamente astrusa come d'abitudine, del resto se penso al suo brutto allestimento scaligero di Pagliacci e Cavalleria con la direzione di Harding, non me ne meraviglio affatto, ma tant'è! Per fortuna che la parte musicale era degna di nota!
Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
sabato 20 aprile 2013
Ci risiamo!
Una delle eterne diatribe in ambito musicale, ma anche specificatamente audiofilo, riguarda la superiorità (presunta) dell'ascolto dal vivo, rispetto a quello mediato dai mezzi di riproduzione. Come credo di aver già fatto capire in precedenza, io propendo più per quest'ultimo, stante la mia modesta esperienza in merito. Mi ero comunque ripromesso di tornare sull'argomento alla prima occasione, cosa che mi accingo a fare ora, poichè ieri, navigando sul sito di AS-Extra, ho letto quella lunga intervista di Pierre Bolduc, in cui anche lui ribadisce l'intrinseca superiorità dell'ascolto dal vivo. Oramai non mi arrabbio più per simili dichiarazioni, venendomi al contrario da sorridere, pensando a quanto coloro che fanno simili asserzioni, vivano in un altro mondo, rispetto a noi comuni mortali. Come dimostrato anche dalle asserzioni fatte dallo stesso Bolduc in questa come in altre occasioni, salta sempre fuori che i fautori di simili tesi, non si rendono conto di essere enormemente privilegiati rispetto alla massa, avendo frequentato le sale da concerto e i teatri lirici più rinomati nel mondo, avendo assistito alle esibizioni dei più grandi artisti, dei migliori complessi strumentali e corali ed avendo avuto l'opportunità, grazie a provvidenziali relazioni, di sedere in mezzo agli orchestrali, di assistere alle prove, di avvicinare in prima persona i sommi artisti oltrechè gli addetti ai lavori, anche grazie alle loro notevoli possibilità economiche: difatti, quasi sempre, queste persone, dispongono anche di diversi impianti di riproduzione da mille e una notte, in barba agli audiofili-Cipputi a cui fa riferimento Stefano Rama nel suo libro! E' chiaro che, se uno ha avuto la possibilità di andarsi ad ascoltare alla Philarmonie, i filarmonici di Berlino diretti da Karajan, solo per fare un esempio, può trovare l'esperienza dal vivo superiore, grazie al porco! Ma la realtà di noi comuni mortali, stretti fra problemi economici che certo non ci consentono di girovagare per il mondo e spesso condizionati dal luogo di residenza, è che il più delle volte, ci dobbiamo accontentare letteralmente di quel che passa il convento, sia per quello che concerne l'acustica dei luoghi, che per quello che riguarda il livello interpretativo. Soltanto in condizioni veramente ottimali, l'ascolto dal vivo può superare quello riprodotto, ma queste condizioni sono più teoriche che reali, assai rare a verificarsi all'atto pratico. Quando risiedevo a Cesena, ho frequentato per diversi anni il Teatro Bonci, ben prima che venisse restaurato riducendone la capienza complessiva, che era effettivamente caratterizzato da un'ottima acustica, peccato però che il livello artistico dei cartelloni proposti, fosse estremamente discontinuo, ovvero non sempre esaltante. Per tacere dell'acustica non certo esaltante di alcune chiese e dei disastri che succedevano a volte durante i concerti all'aperto nel cortile della Rocca Malatestiana; ne ricordo uno in particolare, ventoso, in cui volava di tutto, spartiti compresi. Qui a Bologna, non ho trovato malvagia l'acustica del Comunale, così come quella del Manzoni, anche se un pò troppo secca e debole sui registri gravi, ma per contro ho trovato frustrante l'acustica dispersiva e riverberante di luoghi come la Basilica dei Servi, mentre per contro una ripresa in differita di una Missa Solemnis di Beethoven, effettuata nello stesso luogo dai tecnici di Radiotre, aveva compiuto il miracolo di farmi ascoltare questa musica con una qualità sonora talmente notevole, che di sicuro me la sarei sognata, qualora mi fossi trovato in loco! Sono stato in diversi altri luoghi come Santa Cristina, SS. Annunziata, Aula absidale di Santa Lucia, San Martino, Cappella Farnese, Cortile dell'Archiginnasio, sala Bossi, Oratorio di Santa Cecilia, San Petronio e compagnia bella, arrivando alla conclusione inesorabile che spesso le condizioni di ascolto erano in prevalenza troppo deficitarie e quelle interpretative troppo discontinue, per pervenire a una fruizione ottimale della musica proposta, sorvolando poi sulle scelte repertoriali. Secondo un articolista di Fedeltà del Suono, la capacità di distinguere un suono naturale da uno riprodotto, è istintiva nel genere umano, anche prescindendo da eventuali esperienze d'ascolto. Non so se le cose stiano proprio così, però quel che è certo è il fatto che, nell'esperienza dal vivo, esiste un elemento tutt'altro che trascurabile, in grado di rovinare in partenza una situazione di per sè ottimale, ossia il pubblico stesso, rumoroso, caciarone e indisciplinato, nella stragrande maggioranza dei casi, una delle ragioni che mi hanno indotto a stare alla larga dalle sale da concerto. Nel mio piccolo, avendo anche frequentato il teatro di prosa, ho visto e sentito veramente di tutto e di più. Mi hanno anche raccontato di un concerto ravennate con l'orchestra di Chicago diretta da Muti, in cui il pubblico ne ha fatte veramente di tutti i colori, guadagnandosi delle occhiatacce furibonde da parte del maestro, cadute purtroppo nel vuoto, come è nella norma ovviamente. Inoltre, mi sono accorto che, alcune piccole distorsioni del suono che attribuivo ingiustamente al mio impianto di riproduzione, le riscontravo pari pari nell'ascolto dal vivo. Se a ciò aggiungo un paio di esperienze deprimenti all'Arena di Verona, il quadro direi che sia completo, almeno per il momento.
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