Per pianoforte e (minima) orchestra (ma i danni sono stati massimi, secondo il sottoscritto!). Così recitava il titolo del concerto gratuito (per fortuna, altrimenti avrei preteso a grandissima voce il rimborso!), tenutosi martedì 8 maggio 2012 alle ore 21, nell'aula absidale di Santa Lucia, in Bologna (ahimè!), con il "sommo" Leone Magiera al pianoforte (più forte che piano, però!), accompagnato dall'Harmonicus (ma piuttosto dis-harmonicus!) Concentus (tormentus!). Il programma comprendeva l'adagio e fuga in do min. KV546 di Mozart e il quartetto in mi bem. magg. D87 op.125 n.1 di Schubert, nella prima parte, mentre la seconda era occupata dal concerto n.1 in mi min. op.11 per pianoforte e orchestra di Chopin, nella versione cameristica per pianoforte e quintetto d'archi, edita da Kistner nel 1830. Mi corre l'obbligo di riportare i singoli nomi dei componenti del complesso strumentale, stante l'esito (s)travolgente della serata, degni senz'altro di una "minzione d'onore": GABRIELE RASPANTI, (nomen omen, altrochè se raspava!) e MANUEL VIGNOLI ai violini; NICOLA CALZOLARI (anche qui nomen omen, avente l'animo più di un ciabattino che di un musicista!) alla viola; MARTA PRODI (e infatti fra il pubblico era presente Flavia Franzoni, cuore di mammà!) al violoncello; LUIGI PARISI, al contrabbasso. Insomma la tipica accozzaglia italica di cognomi celebri raccomandati, il che è la norma, stante il fatto che, anche prescindendo da ciò, il livello esecutivo è stato veramente basso! Leggendo le note del programma di sala, si apprende anche che gli sciagurati hanno anche inciso un disco dal vivo, comprendente i Vespri di Pergolesi, allegato a suo tempo alla rivista 'Amadeus' in occasione del terzo centenario dalla morte del compositore (e così gli avranno rifatto i funerali, per giunta d'infima classe!), per tacere di partecipazioni a festival più o meno illustri (sic!), ecc. ecc. Poi non lamentiamoci ipocritamente di come vanno le cose in ambito musicale qui da noi! Tornando al concerto dell'8 maggio 2012, fin dal brano di esordio ho ravvisato in costoro una gelidità d'approccio, una freddezza, in aggiunta a una scarsa fusione d'insieme, a una precarietà d'intonazione, a una disomogeneità generale, che dava la netta sensazione che ognuno andasse per i cavoli propri, impressione confermata anche dal brano successivo, caratterizzato da un'eccessiva legnosità d'approccio, per cui ho applaudito debolmente e più per riflesso condizionato che per altro. Ma il peggio doveva arrivare nella seconda parte, con l'ingresso del "sommo solone (nel senso di grande 'sòla')", Leone Magiera, che evidentemente non pago degli sfracelli combinati come accompagnatore di cantanti lirici, cerca di riciclarsi come improbabile e improponibile camerista (io uno così non lo metterei nemmeno nel cesso, figuriamoci!). Tanto per fare 2 esempi della sua somma arte direttoriale, ricordo di averlo visto dirigere in tempi remoti in tv, l'orchestra filarmonica di New York, in una ouverture dalla "Luisa Miller" piattissima e piallatissima, senza alcuna variazione agogica e dinamica purchessia, con un gesto che era quanto di più metronomico si potesse immaginare. In un altro concerto, sempre in tv, scaraventava con malgarbo dal suo podio, tonnellate di suono al 'povero' Pavarotti, costringendolo a forzare, durante l'esecuzione di 'Pourquoi me réveiller' dal 'Werther' di Massenet; e potrei continuare ancora, ma rischio di dilungarmi troppo. Per cui torniamo a parlare della seconda parte di quel "memorabile" concerto, in cui il nostro ineffabile musicista ha dato veramente il meglio (o il peggio?) di sè (continua).......
Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
venerdì 3 maggio 2013
Sul concerto giovanile di Respighi, con riferimento al tassametro.
Rileggendomi le note di commento del pianista Almerindo d'Amato inerenti il lavoro giovanile di Respighi, di cui ho parlato in precedenza, ritengo utile soffermarmi ancora. Contrariamente a quanto affermato dallo stesso nel suo commento, ho già rilevato il fatto che, questa composizione poco ci dica dell'autentica personalità del suo autore, a malapena ravvisabile in certi tratti orchestrali e molto ci dica dei suoi iniziali influssi, quello liztiano essendo il più evidente. Non sono per niente d'accordo quando d'Amato afferma testualmente: "Con una fisionomia propria, marcata e del tutto originale, l'opera appare in naturale sintonia con il ricco strumentalismo rachmaninoviano ed il sinuoso lirismo pucciniano." Potrei essere in accordo tutt'al più riguardo all'influenza di Rachmaninov, avvertibile qui e là, così come si possono trovare labili tracce di influenze scriabiniane e chopiniane, ma sinceramente il sinuoso lirismo pucciniano non l'ho proprio avvertito. Nelle note di commento del disco in mio possesso si accenna anche a Grieg e Schumann, ma questo credo si debba soprattutto al fatto che la tonalità d'impianto del lavoro di Respighi, 'La minore', è la stessa dei 2 analoghi lavori dei summenzionati compositori. Sull'originalità della struttura che, sempre secondo d'Amato sarebbe in: "11 cambi di tempo inglobati in 3 parti fondamentali: 1) un fantasioso Allegro moderato, ... , introdotto in modo originale ed anticonformistico da una spericolata cadenza pianistica; 2) un ... Adagio molto, ......... 3) un ... Presto, includente un ...... Andante ......... ecc. ecc." avrei per l'appunto qualcosa da obiettare, in quanto all'ascolto la sua struttura complessiva non risulta dissimile dagli analoghi lavori liztiani, che pur con diversi cambi d'agogica al loro interno, sono sostanzialmente concepiti come un blocco unico, intervallato al massimo da brevissime pause. Anche Rimski-Korsakov, da cui il giovane Respighi prese lezioni d'orchestrazione, compose un lavoro similare, anch'esso di chiara ascendenza liztiana. Nel caso della composizione di Respighi, prendendo per buona la suddivisione suggerita da d'Amato, l'allegro moderato e l'adagio molto si susseguono senza soluzione di continuità e solo una brevissima pausa precede l'avvio del presto-andante conclusivo. Insomma, qui sostanzialmente Respighi ci fa la figura di un buon epigono e nulla più, pur riconoscendo l'estrema piacevolezza di questa musica, per cui se si fosse fermato a questi livelli, non penso che il suo nome sarebbe assurto a rilevanza internazionale, assicurandogli un posto d'onore nell'ambito della storia della musica, se il suo linguaggio non avesse poi assunto quelle caratteristiche personali che ne tratteggiano l'unicità. Tra l'altro anche il suo contemporaneo Ildebrando Pizzetti, scrisse successivamente un suo concerto per pianoforte e orchestra, classicamente strutturato in 3 movimenti separati, dove i tratti liztiani sono meno preponderanti, per contro quelli personali più evidenti, un lavoro più esteso e di livello superiore del giovanile concerto respighiano, purtroppo immeritatamente pochissimo conosciuto anch'esso. Trattasi dei "Canti dell'alta stagione", per pianoforte e orchestra, di cui per fortuna ne esistono almeno 4 edizioni discografiche. Tornando al lavoro di Respighi, nelle sue note d'Amato indica una durata complessiva di 27 minuti circa, contro i 20-22 delle 2 edizioni discografiche attualmente reperibili e i circa 30 da me rilevati proprio quella fatidica sera dell'11 luglio 2012. Oltretutto proprio quell'arbitrario allargamento di tempi operato nella suddetta esecuzione, oltre a sfilacciare l'architettura complessiva del brano, ne faceva avvertire assai poco i tanti mutamenti di agogica rilevati dallo stesso d'Amato nelle sue note di commento, non rendendogli alla fine adeguata giustizia. Ma guarda caso, a esso seguiva l'Italiana di Mendelssohn, che finiva così per avere, pressappoco, lo stesso minutaggio del brano di Respighi. Magari sarò anche pedante e poi aggiungiamoci gli evidenti limiti tecnici e virtuosistici del solista, più volte in affanno nel corso dell'esecuzione, ma non direi proprio che Bologna renda adeguato merito al suo illustre concittadino. E' anche vero che, conoscendo altri lavori per pianoforte e orchestra di Respighi di epoca più tarda, direi che questi non assurgano mai però agli stessi livelli di originalità toccati nei suoi lavori per violino e orchestra, strumento quest'ultimo di cui, guarda caso, il musicista era virtuoso provetto.
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