Così definì la propria poetica, ad un certo punto del suo percorso stilistico, il misconosciuto compositore danese Rued Langgaard (1893-1952), coniando questo termine, veramente singolare come la musica bizzarra che scriveva. Anche questa costituisce una mia piccola scoperta recente. Langgaard è stato uno dei musicisti più originalmente irritanti, spiazzanti e sorprendenti, nei quali mi sia imbattuto, poco considerato ai suoi tempi anche in patria, ingiustamente offuscato dall'ombra di Carl Nielsen, rispetto al quale, non gli è affatto inferiore quanto a statura artistica, almeno secondo il mio modestissimo parere di 'non addetto ai lavori'. Non saprei meglio definirlo che una sorta di strambo passatista, con tormenti modernisti, o forse un anomalo modernista, con fantasmi passatisti, o magari niente di tutto ciò, certo è che la personalità di questo musicista, resta enigmatica e problematica come la sua musica, di un'originalità stilistica e di una unicità assoluta, nell'intero panorama musicale del '900, tanto che sembra composta da un pazzo visionario scatenato, anche quando, apparentemente, assume uno stile accademico, ribadisco trattarsi di un genio follemente, spudoratamente irritante e al contempo straordinariamente affascinante, come pochi. Un vero eccentrico, insomma. Ne ho incidentalmente conosciuto la musica, imbattendomi, tempo addietro, in un cofanetto di 7 sacd della Dacapo, comprendente la prima integrale sinfonica realizzata secondo la nuova edizione critica, con l'aggiunta di 5 brevi pezzi separati, reperito nel reparto dischi usati (ma praticamente intonso) da "Il libraccio outlet" in via Oberdan, qui a Bologna, ad un prezzo stracciatissimo. In effetti la sua evoluzione stilistica è ben lungi dall'essere lineare, costituendo un bizzarro tira e molla fra spinte avanguardistiche e percorsi a ritroso nel tempo, poichè fra i suoi termini di raffronto, non vi è soltanto la corrente simbolista, ma anche il tardo romanticismo e il primo romanticismo (ascoltandolo, direi persino che si spinga indietro financo al classicismo di un Haydn o di un Mozart, così come a tratti la sua musica acquisisca persino un sapore bachiano). Un compositore che, dopo aver realizzato una prima sinfonia (1908-11) ampia e magniloquente, in 5 movimenti, dall'impianto sfacciatamente tardo romantico che più non si può (con Grieg, Wagner e Richard Strauss, come riferimenti stilistici più evidenti), ti compone quella successiva, per soprano e orchestra, in uno stile che sembra guardare decisamente a Brahms, almeno fin verso la fine del secondo movimento, quando all'improvviso il discorso si frantuma e si polverizza, disintegrandosi in una maniera non indegna di un Luciano Berio, per poi ritornare nuovamente su toni brahmsiani in seguito, ma successivamente assumendo toni straussiani in concomitanza con l'intervento della voce solista, nelle altre sinfonie che seguono a volte sembra richiamarsi anche a Dvòrak o persino a Mendelssohnn-Bartholdy o a Beethoven, questo solo per dare alcuni piccoli esempi, fra gli innumerevoli che si possono rilevare all'interno di questa bellissima integrale discografica, poichè in effetti, ciascuna delle sue 16 sinfonie (in realtà verrebbe da dire 17, poichè le due versioni della 5^, presenti ambedue in questa integrale, differiscono quasi completamente l'una dall'altra, a parte l'inizio e un brevissimo passaggio dell'ultimo tempo, da sembrare veramente 2 composizioni diverse), è un universo a sè stante, da richiedere un'analisi approfondita di ciascuna di queste musiche, che risulterebbe troppo lunga e tediosa in questa sede, per cui mi limito a cercare di darne un quadro generale. Nelle sue spinte più moderne, il linguaggio del compositore danese sembra guardare all'ultimo Sibelius (assai più moderno di quanto si creda comunemente, in barba agli adorniani!), allo stesso Nielsen come anche a Hindemith (in questo la 6^ sinfonia di Langgaard, la più sperimentale fra tutte, è assai eloquente), ma anche quando diventa apparentemente passatista, rivela quasi sempre delle stranezze a livello timbrico e ritmico, degne di uno spiritaccio burlone, si ha spesso l'impressione di essere presi letteralmente, ma amabilmente, per i fondelli, ti aspetti che prenda una certa strada e invece alla fine ti spiazza regolarmente, sembrerebbe per certi versi anticipare il polistilismo di un Alfred Schnittke, mentre in altri frangenti, con cellule motiviche che vengono reiterate all'infinito, con o senza lievi mutazioni progressive, sembra presagire la corrente minimalista. Aggiungiamoci una sapienza magistrale nel trattamento di voci e orchestra, capace di rivelare effetti inusitati, con straniate cadenze pianistiche dal sapore quasi chopiniano o rachmaninoviano, imprevisti assoli dell'organo, entrate e uscite di voci solistiche e di cori, ora sommesse, ora improvvise, sempre nei punti dove meno te l'aspetti e comunque mai in maniera convenzionale, ecco che il tutto concorre a formare una delle personalità più originalmente irritanti e anticonvenzionali del panorama musicale novecentesco, non per niente incompresa e scarsamente apprezzata in patria, nonostante qualche successo in area germanica, la qual cosa ovviamente non gli rese l'esistenza facile, molte delle sue 431 composizioni non trovando sbocchi esecutivi quando lui era ancora in vita. Le indicazioni agogiche delle sue sinfonie, spesso recanti anche titoli altrettanto singolari, sono anch'esse sovente strampalate, talvolta in deciso contrasto col carattere effettivo della musica che si ascolta (ma anche i singoli movimenti, sovente recano sottotitoli bizzarri), la terza è un bizzarro concerto per pianoforte e orchestra, con coro misto (che compare nel penultimo movimento, anzichè nel finale dove maggiormente te lo aspetteresti), la sesta è una sorta di tema con variazioni (ma dove il tema iniziale viene presentato in 2 versioni, prima di passare alla serie di variazioni), l'ottava e la quindicesima sono simili a delle cantate per soli, coro e orchestra, la decima è in realtà un poema sinfonico, l'undicesima e la dodicesima assomigliano a delle brevi ouvertures da concerto, la quattordicesima è una suite per coro e orchestra, nella quale ti schiaffa persino, a ulteriore sorpresa, una citazione dell'aria di Violetta, dalla scena 5^ del 1° atto de "La Traviata" di Verdi, "A quell'amor ch'è palpito...", almeno 2 o 3 volte nel corso della composizione (vatti ad immaginare che nella Danimarca degli anni '40, esistesse un'emittente, Radio Caruso, dedita alla lirica, ovviamente), le restanti fanno anch'esse per lo più pensare a delle suite sinfoniche, piuttosto che a delle sinfonie in senso classico. Altrettanto sorprendenti i 5 brevi brani separati in appendice, composti in vari periodi, soprattutto "Res absùrda!?", per coro e orchestra (1948), dal sapore protominimalista, col coro misto che ripete all'infinito le 2 parole del titolo, lo definirei il vero manifesto estetico e programmatico del compositore danese, non mi meraviglia affatto che sia stato incompreso, all'epoca. A ulteriore riprova di quanto ancora resti da scoprire nel secolo appena trascorso, perlomeno sul versante musicale, non adeguatamente esplorato nemmeno dalla maggior parte degli esperti. Un bellissimo cofanetto quindi, quello della Dacapo (appoggiata al gruppo Naxos), che appare come una giusta ammenda postuma da parte del suo paese natale, nei confronti di questo spiritaccio indomito di musicista scombiccherato, pazzoide sgangherato, autentico gigante misconosciuto che merita un posto d'onore nell'ambito della storiografia musicale, splendidamente eseguito ed inciso, dall'agosto del 1998 al giugno 2008, nella sala da concerto della Radio Danese, con un libretto fin troppo succinto comprendente note e testi cantati trilingui in inglese, tedesco e danese. Unica nota autenticamente negativa, anche stavolta, il confezionamento! Questo diabolicissimo cofanetto cartonato scarsamente protettivo dà parecchi patemi d'animo a chi, come il sottoscritto, voglia estrarne il libretto e i dischetti, senza colpo ferire, ma quanto sono sadici questi discografici! A parte ciò, viene da rilevare che l'etichetta discografica Dacapo, fondata nel 1986, con l'obiettivo dichiarato di promuovere la diffusione e la conoscenza dei compositori danesi di musica classica, attraverso produzioni di alto profilo, è stata sponsorizzata dal Kunstradet (Consiglio delle Arti Danese), ovvero un organismo governativo composto da una commissione ministeriale a tutela delle arti e quindi anche della musica. Anche negli altri paesi scandinavi, Svezia, Finlandia e Norvegia, sono sorte, se non erro, altre etichette discografiche similari supportate da organismi governativi (così come mi rammento di qualche disco della Decca, della Emi e di qualche altra casa discografica, comprendente musiche di autori anglosassoni, sponsorizzato dal British Council, il Consiglio dei Ministri Britannico); non so se la faccenda perduri anche attualmente, in questi tempi di crisi, comunque sia, quanto vorrei essere scandinavo, almeno in questo caso! / Rued Langgaard: le 16 sinfonie (+ Drapa - per la morte di Edvard Grieg - , per orchestra; 'Sfinge', poema sinfonico per orchestra; Hvidbjerg-Drapa, per coro, organo ed orchestra; Radio Danimarca, fanfare per orchestra; Res absùrda!?, per coro e orchestra); - Inger Dam-Jensen, soprano; Per Salo, pianoforte; Lars Petersen, tenore; Johan Reuter, baritono; / Complesso Vocale Nazionale Danese e Coro Nazionale Danese, diretti da Fredrik Malmberg; / Orchestra Sinfonica Nazionale Danese, diretta da Thomas Dausgaard; - Dacapo 6.200001 (cofanetto di 7 sacd) - nota: nel libretto non viene spiegato cosa sia esattamente un 'Drapa', penso che sia una sorta di ode. Il cofanetto è stato realizzato in cooperazione con la DR (Radiodiffusione Danese). Esisterebbe un sito, www.langgaard.dk, ma temo che sia di difficile comprensione per chi non conosca il danese. / Post scriptum: temo che per apprezzare pienamente la musica di Rued Langgaard, sia quantomeno utile, se non indispensabile, possedere una vena di autentica pazzia nel proprio cervello (in quanto a questo, il sottoscritto, che si è divorato l'integrale sinfonica, tutta in una botta, con crescente entusiasmo, non si può proprio lamentare; ricordo anche di aver ascoltato, una volta su Radiofd5, il suo brano "A Carl Nielsen, il nostro grande compositore...", per organo e orchestra, anch'esso dall'andamento curiosamente minimalista, che ha più l'aria di uno sberleffo ironico che di un autentico omaggio a quest'ultimo; del resto i rapporti fra i 2 furono controversi, Langgaard si sentiva ingiustamente messo in ombra dal suo più celebre collega)! Ho sempre ritenuto la musica classica scandinava "ghiaccio bollente" e la scoperta di questo autore, ne rappresenta un'ulteriore conferma, almeno per me!