Apertura direi veramente in grande stile, quest'anno, quella della stagione 2015/16 dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, avvenuta all'Auditorium "Toscanini" di Torino, giovedì 15 ottobre, con inizio alle 20.30, la qual cosa induce ad un sia pur cauto ottimismo riguardo alle sorti future di una compagine orchestrale che, col passare del tempo, si rivela sempre più come una realtà degna di nota, in questo scombinato bel paese, che tanto bello più non è, ammesso e non concesso che lo sia mai stato in passato. La scelta d'iniziare la nuova stagione, eseguendo un'opera in forma di concerto, nota sì, ma non ancora inflazionata come per esempio una "Traviata", almeno dalle nostre parti, pur non definendola particolarmente coraggiosa, si è però rivelata abbastanza felice, nell'evitare di scadere nel troppo banale e nello scontato, la qual cosa non è poi così frequente dalle nostre latitudini (non è comunque la prima volta che, in seno a questa stagione, viene eseguita un'opera in forma di concerto, vedasi la recente "Les pécheurs de pérles" di Georges Bizet). In questa occasione, trattavasi di "Pélleas et Mélisande" di Claude-Achille Debussy, suddivisa, come in genere accade anche in teatro, in 2 parti, ovvero i primi 3 atti nella parte iniziale e gli ultimi 2 in quella successiva, per circa 2 ore e 53 minuti totali (in questa esecuzione) di musica, con tanto di diretta non solo su Radiotre, ma anche su Rai5, in televisione (certo che se fosse stato impiegato anche il canale in alta definizione RaiHD, la festa sarebbe stata anche maggiore, ma forse pretendo troppo; da quel che ho capito però, almeno una volta al mese, un concerto della stagione dell'orchestra Rai sarà trasmesso anche in diretta televisiva su Rai5, speriamo che sia proprio così), con ulteriore replica a partire dal tardo pomeriggio di domenica 18, sempre su Rai5. Si è trattata complessivamente di una valida esecuzione del capolavoro debussiano, inoltre, seguendola in tv, si poteva anche apprezzare il suggestivo gioco di luci sul palco, variante dal notturno al chiarore più intenso, che suggeriva efficacemente l'atmosfera delle singole scene in cui sono suddivisi i 5 atti di questo singolare lavoro, basato sull'omonimo dramma simbolista di Maurice Maeterlinck, dramma che ispirò, più o meno intorno al periodo di composizione dell'opera (1902), anche altri lavori musicali di rilievo, come le musiche di scena di Gabriel Fauré (dalle quali venne tratta una suite da concerto), il poema sinfonico di Arnold Schoenberg ed una suite orchestrale di Jean Sibelius. Fra i cantanti, mi è piaciuto innanzitutto il Pélleas fresco, vitale e giovanilmente esuberante, di Guillaume Andrieux, voce di bello squillo, seguito dal piccolo Yniold di Chloé Briot, che riusciva nella non facile impresa, con la sua bella musicalità, di non rendere insopportabilmente odioso ed antipatico un ruolo a rischio come questo, ovvero quello di un mocciosetto petulante, saccente ed impiccione, brava inoltre Sandrine Piau come Mélisande tenera, fragile e stranita al contempo, discontinuo al contrario il Golaud di Paul Gay, che alternava momenti efficaci ad altri nei quali la voce si rivelava alquanto usurata ed affaticata, ma ancor più vocalmente usurati ed affaticati, mi sono parsi l'Arkel di Robert Lloyd e la Génévieve di Karan Armstrong, per finire, decoroso Mauro Borgioni nel doppio ruolo del pastore nel 3° atto e del medico nel 5°. Detto della validità del breve apporto del Coro "Ruggero Maghini" diretto da Claudio Chiavazza, complessivamente il direttore Jurai Valcuha e l'orchestra Rai, hanno offerto una buona prova, con tempi tendenzialmente larghi, ma teatralmente vibranti, anche se l'interpretazione di Valcuha mi è sembrata decisamente più centrata ed a fuoco, nella seconda parte, con gli ultimi 2 atti, anche con un minor numero di smagliature in orchestra, mentre nella prima, a parte un maggior numero d'imprecisioni strumentali, ho avvertito a tratti un lieve impaccio, anche se nulla di particolarmente grave e certamente non tale da inficiare seriamente il complessivamente positivo esito dell'esecuzione. Una bella serata di grande musica quindi (l'orchestra ha ulteriormente confermato la sua caratura anche nel concerto del giovedì successivo, questa volta solo in diretta radiofonica, col bravo Pascal Rophé alla guida ed il bravissimo Emmanuel Pahud come flauto solista, con un programma assai più breve, ma comunque non troppo banale anche stavolta, comprendente la suite da "Le festin de l'airagnée" di Albert Roussel, i concerti per flauto ed orchestra di Marc-André Dalbavie e Wolfgang Amadeus Mozart, con la "Danza della capra" di Honegger, per flauto solo come bis da parte del solista, seguita dalla terza sinfonia "Liturgica" dello stesso Arthur Honegger, brano conclusivo del concerto, quivi datoci da orchestra e direttore in un'interpretazione tesissima ed affilatissima come una lama di rasoio) e pur pensando che il programma del concerto di giovedì 29, già indulge assai di più sull'arcinoto (la sesta di Mahler diretta da John Axelrod), avendo ascoltato le dichiarazioni dell'attuale sovrintendente dell'orchestra, riguardo alla stagione appena iniziata dell'orchestra, nel corso dell'intervallo, diamo pure a Cesare (Mazzonis), quel che è di Cesare, per cui, almeno per una volta, mi verrebbe proprio da dire, viva la Rai, viva Radiotre, viva Rai5 (pur continuandola a pensare esattamente come prima, riguardo al canone), se non fosse che.... // Se non fosse che, un paio di giorni dopo il "Pélleas", precisamente sabato 17, verso sera, accendendo soprappensiero la radio, per poco non mi è venuto un coccolone! Nell'ordine ho pensato: a) il mio udito è nuovamente peggiorato; b) l'apparecchio radio si è guastato; c) si è guastato il ripetitore; d) è esplosa una bomba negli studi di Radiotresuite; in effetti quel che l'apparecchio mi stava vomitando addosso era un coacervo informe di borborigmi, singulti, vagiti e muggiti indefiniti, un bailamme pazzesco, un pò pò di troiaio, peggio di un cilindro di cera usurato dell'epoca di Edison, dal quale, a tratti, sembrava ectoplasmicamente emergere, qualche vago, incerto barbaglio di parvenza di frammenti musicali disordinati e disgregati, lacerti sbrindellati, insomma bisognava pure che Radiotre ci riportasse coi piedi per terra alla sua tristissima e squallidissima realtà quotidiana, troppa grazia altrimenti! Dopo alcuni minuti di questo autentico tormento, strazio dell'anima, mi viene un sospetto, dò un'occhiatina al palinsesto, ed ecco svelato il tremendo, demenziale arcano: un concerto d'archi con recitazione, in diretta dalla fermata della Metro C Malatesta in Roma, con inizio alle 19.40, intitolato "Non abbiamo pianto - io sì, purtroppo, e parecchio, nda ! - (sulle rive dei fiumi di Babilonia)", con l'orchestra d'archi del Teatro dell'Opera di Roma, diretta da Gabriele Bonolis, i violini solisti di Daniele Orlando e Francesco Peverini e le voci recitanti di Giorgio Barberio Corsetti e Nicola Muschitiello (testi di Viktor Ullman e dello stesso Muschitiello), in un programma di musiche, di per sè, raro ed interessante, almeno sulla carta: Pavel Haas: Studio per orchestra d'archi; - Lasse Thoresen: SPRANG, per 2 violini ed orchestra d'archi; - Pavel Haas: dal quartetto per archi n.2, op.7 "Dai monti delle scimmie": "Cavallo, carrozza e cocchiere" (Andante), trascrizione per orchestra d'archi di Gabriele Bonolis. - Il lato sciaguratamente demenziale della faccenda, è stato l'ambientare il tutto, nei sotterranei della fragorosissima metropolitana capitolina, con probabile intralcio al passaggio degli utenti della metropolitana, demenziale è anche lo sprecare tempo, uomini, mezzi tecnici e soldi pubblici per riprendere il tutto e trasmetterlo da parte di Radiotresuite! Fare un simile scempio di queste musiche di rarissimo ascolto, dagli equilibri fragili e delicati, che richiederebbero condizioni d'ascolto ben altrimenti ottimali, per essere apprezzate pienamente, ma è così che si crede di rendere un degno servizio ai loro autori? Veramente? Roba da SPRANGARLI (nel senso di prenderli a SPRANGATE) tutti quanti! Un qualcosa che poteva risultare decisamente interessante, rovinato così stupidamente! Vigliaccamente, non ce l'ho fatta a proseguire fino alla fine e, stanco di sentirmi martoriare i timpani da un audio più bucherellato di un groviera, ho spento la radio dopo circa una ventina di minuti, essendo decisamente troppo, almeno per me! Dev'essere diventata una nuova moda, quella della musica classica in metropolitana, almeno da quando, anni fa, il violinista Joshua Bell ebbe la balzana idea di esibirsi in incognito nei sotterranei di quella newyorchese, seguito dopo qualche tempo da almeno un altro suo collega, del quale non rammento il nome, o almeno così mi pare; figuriamoci se noialtri, col nostro più deteriore provincialismo esterofilo, potevamo essere da meno! Sia quel che sia, se da un lato mi rallegravo che il Teatro dell'Opera di Roma, avesse effettuato un salutare cambio d'indirizzo nei criteri di programmazione del suo attuale calendario, impensabile se vi fosse rimasto un Riccardo Muti, che sempre più, pensando anche alle sue ultime uscite discografiche, mi risulta sempre più nauseante nel suo essere un "solito-minestrista" banalmente retrogrado e conservatore, quanto a scelte repertoriali (penso alla recente diretta radiofonica dal teatro romano di "Aufstieg und fall der Mahagonny sonnenstadt" di Kurt Weill, che con un Muti a capo, non sarebbe certamente mai avvenuta), con questa boiata pazzesca del concerto d'archi in metropolitana, direi che ci facciano proprio una gran bella figura del cavolo, volendo usare un gentilissimo e pietosissimo eufemismo, tacendo dei soldi pubblici sprecati per idearla ed organizzarla, questa colossale idiozia! Ma siamo pur sempre in Italia, tutto nella norma! Non si potrebbe spedirli tutti quanti ai lavori forzati, magari all'Asinara? O utopia!