venerdì 29 aprile 2011

Ulteriori riflessioni sul teatro lirico contemporaneo.

In questi ultimi giorni la radio mi ha fornito nuovi stimoli per tornare a parlare di opera lirica contemporanea con la trasmissione in differita sabato 23 aprile di "A view from the bridge" di William Bolcom e con la diretta, martedì 26 aprile di "Quartett" di Luca Francesconi, finalmente due validi esempi di teatro lirico contemporaneo! Il lavoro del compositore americano William Bolcom (classe 1938) era stato commissionato dal direttore d'orchestra Bruno Bartoletti quando era direttore artistico della Chicago Lyric Opera per la stagione 1997-98, ed è ovviamente tratto dall'omonima commedia teatrale di Arthur Miller, che conobbe una celeberrima trasposizione cinematografica con la regia di Sidney Lumet e nel ruolo del protagonista, Eddie Carbone, l'attore nostrano Raf Vallone (anche se inizialmente si era pensato a Henry Fonda per questo ruolo, ma siccome quest'ultimo non si sa bene se fosse troppo impegnato o avesse preteso un compenso troppo elevato, alla fine venne scelto l'attore italiano che siglò una delle sue più giustamente celebri interpretazioni). Difatti anche in italiano il titolo recitava "Uno sguardo dal ponte". Tornando all'opera lirica, suddivisa in 2 atti per una durata complessiva di poco superiore alle 2 ore, l'edizione proposta in radio, registrata all'Opera di Roma il 18 gennaio scorso, costituiva la prima esecuzione assoluta ufficiale europea in lingua originale, in quanto nel 2009 era stata rappresentata in Germania in una versione ritmica in tedesco non apprezzata dall'autore. Anche l'esecuzione romana, analogamente alla prima assoluta avvenuta a Chicago, avrebbe dovuto essere diretta dal maestro Bartoletti, ma a causa di un'indisposizione, quest'ultimo è stato validamente sostituito da David Levine. Diciamo subito che la musica, fin dall'attacco iniziale, è caratterizzata da una fortissima presa teatrale ed emotiva, che non conosce cedimenti fino alla fine, ma questa è una caratteristica comune a molti compositori dediti al teatro lirico contemporaneo di area anglosassone. Altra caratteristica comune di molti di questi compositori, soprattutto americani, è quella di avere un'abilità sopraffina nel miscelare stilemi colti e popolari in un multilinguismo stilistico di estrema naturalezza, senza complessi nè pregiudizi, ma con un'affascinante spregiudicatezza, pur rimanendo lo stile di ciascuno di essi, estremamente personale e riconoscibile, poichè per costoro tutto ciò viene visto come una meravigliosa opportunità di allargamento del ventaglio espressivo, giustamente. Mai la loro musica ha il sapore di un ricalco pedissequo, ma tutto fluisce con estrema spontaneità e naturalezza, pur nella eterogeneità dei moduli espressivi adottati. E difatti anche in questo lavoro convivono fondendosi mirabilmente, dodecafonia europea, melodramma italiano, musical, vaudeville, rag, canzone popolare, in una sintesi affascinante e trascinante. Detto dell'estrema bravura complessiva della compagnia di canto, quello che mi ha sorpreso positivamente è stata la prova superba dei complessi corali e orchestrali romani. Il coro, piuttosto impegnato in quest'opera, si è comportato molto bene, sia pure con qualche lieve sbavatura qui e là, ma ancora più notevole se possibile mi è sembrata l'orchestra, letteralmente trasfigurata e galvanizzata, con una sorprendente idiomaticità di suono; insomma, forse esagero, ma sembrava veramente di sentire un'orchestra americana, considerando l'estrema complessità della partitura, un genere di musica al quale i complessi nostrani non sono certamente adusi. Insomma ciò mi conferma nell'opinione che anche per i musicisti stessi sia più benefico e stimolante uscire il più possibile dal repertorio più consolidato e dalle tradizioni esecutive più sclerotizzate, al fine di non ricadere nella più obbrobriosa routine! Ovviamente anche il pubblico numeroso presente in sala ha risposto calorosamente ed entusiasticamente a tutto ciò, il che è consolante, in un paese asfittico come il nostro, poter constatare che, quando si propone un capolavoro assoluto come questo, la naturale diffidenza verso il contemporaneo, si scioglie come neve al sole, almeno in questo caso. Essendomi dilungato molto su questo lavoro e volendo fare un discorso più meditato e approfondito, rimando la trattazione del bel lavoro di Luca Francesconi "Quartett" a una prossima volta.