giovedì 30 gennaio 2014

Una stecca clamorosa!

Iersera, ascoltando alla radio un concerto della rassegna "Mi-To, Settembre Musica", registrato al Regio di Torino il 6 settembre scorso, con un programma comprendente musiche di Bartòk e Dvòrak eseguite dall'Orchestra Filarmonica di Budapest diretta da Ivan Fischer, con l'apporto in uno dei 2 pezzi del compositore ungherese in programma, anche del coro del 'Regio' sotto la direzione di Claudio Chiavazza (anche se sulla corretta denominazione dell'orchestra così come annunciata dal conduttore di Radiotre, avrei qualche dubbio, non è forse Ivan Fischer direttore stabile dell'Orchestra del Festival di Budapest?), durante l'esecuzione del quarto movimento dell'ottava sinfonia del compositore ceco, inserita nell'ultima parte del concerto, ecco che ti sento, a sottolineare uno dei temi presenti nella partitura, un sonoro "AH, AH, AH!", pronunciato ad alta voce, secondo me dallo stesso direttore o forse dagli strumentisti dell'orchestra (almeno secondo il conduttore di Radiotre) o forse ancora, da tutti i musicisti, che mi ha fatto letteralmente trasalire, facendomi lo stesso effetto di una stecca clamorosa e guastando, stupidamente, un altrimenti buon concerto (non so come l'avrà presa il pubblico allora presente in sala che pure non ha disdegnato applausi calorosi ai musicisti). Secondo il conduttore di Radiotre, questo denotava il coinvolgimento viscerale dei musicisti ungheresi, sarò cretino io, ma a me ha fatto l'effetto di una insulsa gigionata 'pour épater les bourgeois', cioè degna di pubblici di bocca buona, mi auguro vivamente che non divenga una moda, in quest'epoca d'insulsaggine dilagante non si sa mai! Con la scusante del cosiddetto 'coinvolgimento viscerale', di lì a passare all'abbandonarsi a rutti e flatulenze varie in pubblico, basta veramente poco! Non oso immaginare quel che potrebbero combinare, per esempio, questi musicisti ungheresi, qualora gli venisse lo sfizio di abbuffarsi di goulash, poco prima dell'inizio di un'esibizione pubblica, chissà che delizia! Non bastavano le cantilene di Arturo Toscanini o gli arcinoti mugugni di Glenn gould, ampiamente documentati in disco, per tacere degli 'abbandoni' e/o dei muggiti di questo o quel divetto odierno, durante le loro esibizioni in pubblico, pure questo ci si deve sciroppare! Il troppo stroppia, ma fate i musicisti seri, ammesso che ne siate ancora capaci, anzichè i buffoni! Quando siete in vena di 'coinvolgimenti viscerali', vi suggerisco di farveli passare con una congrua dose di lassativo, così vedete come vi liberate prontamente, vi assicuro che vi sentirete leggiadri come mai in vita vostra, pronti più che mai ad affrontare l'arena! Datemi retta, lo dico per il vostro bene! Vi prego, vi scongiuro! Per piacere, fate in modo, possibilmente, di non 'stimolarmi' mai più, a simili riflessioni 'viscerali'!!!

mercoledì 29 gennaio 2014

Cinema per le orecchie.

Perbacco, direi persino un autentico orgasmo uditivo! Singolare il fatto che molte delle composizioni di Ottorino Respighi, al semplice ascolto, evochino dappresso, in maniera prepotente, un'immaginario cinematografico, pur non essendo mai stato il nostro, mai minimamente tentato di comporre colonne sonore, nè tantomeno che l'ambiente cinematografico abbia mai provato ad approcciarlo, almeno a quanto mi risulta, eppure, dicevo, la sua musica possiede una potenza immaginifica debordante, una sorta di cinematicità innata. Queste considerazioni mi sono ritornate spontanee ultimamente, dovute al reperimento di un dvd, comprendente una versione integrale del suo balletto "Belkis, regina di Saba", da me acquistato il mese scorso. E' probabilmente la partitura per balletto più folle, ipertrofica, originale che mi sia capitato di ascoltare, un qualcosa che mi ha lasciato veramente stupefatto, pur conoscendo parecchie delle sue composizioni, dandomi l'ennesima dimostrazione della fantasia veramente sconfinata del suo autore che qui non sembra veramente conoscere limiti. Fino ad ora, di questo balletto, composto nel periodo 1930-31, erano reperibili soltanto 3 eccellenti edizioni discografiche della relativa suite da concerto, realizzata nel 1934, alla quale, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto farne seguito una seconda, purtroppo mai concretizzata, in seguito a una grave malattia che lo portò alla morte, ma dichiaro subito che, per quanto splendida sia la suite da concerto, sbiadisce di fronte all'ascolto della composizione integrale, di una eloquenza fluviale e immaginifica, dalla quale si evince che l'autore ha veramente superato sè stesso, non solo in materia di risorse timbrico-dinamiche (da andare anche oltre la più fervida delle immaginazioni) e ritmiche, nel trattamento dell'organico impiegato, ma anche riguardo a un'intensità espressiva sovente portata al calor bianco. Altrochè, come spesso gli viene ingiustamente accusato, di comporre una musica effettistica ma vuota, questa musica qualcuno la potrà anche trovare ridondante, io direi persino sfacciatamente ridondante, ma è realizzata in una maniera trascinante come poche, un qualcosa che ti prende dall'inizio per non mollarti più fino alla fine, di una perizia tecnica trascendentale, che fonde elementi etnici e occidentali in un modo da lasciare increduli, per l'epoca in cui venne realizzata. Chi conosce soltanto i 3 arcinoti poemi sinfonici 'romani' di Respighi, non può che avere una visuale limitata e parziale dello stile del compositore, qui si arriva parecchio oltre, persino oltre rispetto a quello che ritenevo il suo lavoro forse più pirotecnico ed 'estremo' nel trattamento dell'organico orchestrale, ovvero le "Vetrate di Chiesa", non pensavo proprio che potesse aver superato quel limite e invece è proprio così! Pensate che frammenti di questa musica da balletto, mi stanno 'tormentando' piacevolmente il cervello da giorni, non credo che 'riuscirò a liberarmene' per almeno un bel pezzo! Questo balletto ebbe la prima al Teatro alla Scala di Milano, il 23 gennaio del 1932, prima a cui seguirono una decina di  repliche (le coreografie erano di Leonide Massine, con scenografie e costumi di Nicola Benois, figlio di Alexander Benois, il celebre scenografo di Sergei Diaghilev, ballerini principali la valente danzatrice persiana Leila Bederkhan, autentica principessa caucasica, nel ruolo di Belkis, l'allora giovane e promettente David Lichtenstein o Lichine, ebreo russo del Baltico, nel ruolo di Salomone e una giovane esordiente della scuola di danza scaligera, Attilia Radice, nel ruolo dell'Araba Fenice; la direzione d'orchestra era affidata a Franco Ghione), dopodichè non venne mai più riesumato fino al 17 giugno del 2012 (nonostante il successo travolgente della prima assoluta scaligera, con recensioni entusiastiche in tutta Europa e negli Stati Uniti), ovvero quasi ottant'anni e mezzo dopo e soltanto in forma di concerto, in quel di Stoccarda e il dvd costituisce la ripresa video di tale evento. Peraltro il motivo di questa prolungata assenza dai palcoscenici dei teatri, così come dalle sale da concerto, si spiega almeno in buona parte, col fatto che richiede un organico complessivo davvero smisurato, colossale. Credo che, all'epoca, ci sia voluto il concorso di un migliaio di persone fra danzatori, strumentisti e compagnia bella, per poterlo allestire (vennero realizzati più di 600 costumi di scena), per cui, attualmente richiederebbe un cospicuo esborso economico oltrechè la disponibilità di uno spazio adeguato a qualunque ente musicale che volesse accingersi a una tale intrapresa, la qual cosa diventa praticamente impossibile nei tempi attuali di crisi. Già lo sforzo fatto in quel di Stoccarda per realizzarlo sia pure soltanto in forma di concerto, s'intuisce essere stato non indifferente, guardando il video. L'organico degli esecutori essendo già in sè cospicuo, poichè integra un'orchestra di 120 elementi, un coro misto di circa 80, con l'aggiunta di una voce recitante e un mezzosoprano sul palco, un tenore e gruppi strumentali di ottoni e percussioni fuori scena e, ciliegina sulla torta, anche un'organo, per un totale di oltre 200 musicisti e scusate se è poco, per quasi un'ora e tre quarti di musica, decisamente un lavoro ambizioso, che a suo tempo richiese frotte di danzatori in scena, al fine di rappresentare, oltre ai personaggi principali, l'avvicendarsi di folle di persone, carovane ed eserciti. Deve essersi trattato di uno spettacolo veramente fuori dall'ordinario, per chi ebbe la ventura di assistervi. Dopo che a suo tempo avevo ascoltato la suite da concerto, speravo proprio che, prima o poi, qualcuno si prendesse la briga di farci conoscere la partitura intera, meno male che ci hanno pensato in Germania, perchè qui da noi si poteva veramente attendere invano, per la serie "nemo profeta in patria"! Ringrazio il cielo di avermi dato modo di conoscere pressochè integralmente una tale meraviglia, della quale auspicherei anche una incisione discografica in studio, al fine di poterne godere in maniera ottimale, stante le innumerevoli preziosità strumentali di cui è costellata, difficilmente rendibili in toto nell'ambito di una ripresa dal vivo, sia pure di ottima qualità. Questo balletto in 2 parti e 7 quadri, la cui stesura della trama, del testo della parte recitata e delle didascalie apposte in partitura ai singoli quadri, si deve alla mano di Claudio Guastalla (che riciclò, per l'occasione, un suo precedente abbozzo di libretto operistico, basato sul medesimo soggetto e rimasto inutilizzato), librettista abituale per quel che concerne i lavori destinati al teatro di Respighi (suoi i 'suggerimenti' anche per i titoli apposti a ciascuna delle 4 "Vetrate di chiesa" del compositore bolognese), salvo che per la "Marie Victoire" recante invece un libretto in francese del drammaturgo Edmond Guiraud (oltrechè i 2 lavori teatrali giovanili, "Re Enzo", su libretto di Alberto Donini e "Semirama", su libretto di Alessandro Ceré e a parte la fiaba musicale "La bella dormente nel bosco", su libretto di Gian Bistolfi), non è soltanto gravido di sorprese sul piano timbrico e ritmico, ma vi alterna anche rapinose folate melodiche veramente singolari, affidate soprattutto agli archi, con dei momenti 'rumoristici' nei quali si fa ovviamente ampio impiego di percussioni (penso soprattutto alla descrizione di una tempesta di sabbia, poco dopo l'inizio della 2^ parte, con il singolare intervento dell'organo) non indegni di un Varèse,  un uso suggestivo del coro (misto nella 1^ parte, solo femminile a contrappuntare la sortita del mezzosoprano nella 2^, in quest'ultimo caso, dopo una prima sezione gregorianeggiante, successivamente adotta un andamento cullante che mi ha fatto pensare vagamente alla "Lakmè" di Délibes), la sequela di brevi ma suggestivi vocalizzi intonati dal tenore fuori scena, poco prima del finale del balletto, il canto dal sapore arcaicizzante che costituisce l'intervento del mezzosoprano (le cronache del periodo, parlerebbero, per la verità, di diversi solisti vocali presenti in origine, anzichè il paio qui utilizzati), le numerose sortite solistiche di singoli strumenti come il sassofono soprano, con un assolo dal carattere vagamente blues, o del flauto (il cui assolo iniziale apre la prima parte del balletto, comprendente i primi 3 ampi quadri), dell'ottavino, del violino, della viola (l'assolo della quale apre la seconda parte della composizione, con i restanti e più sintetici 4 quadri) e del violoncello, soprattutto quest'ultimo coi suoi melismi, mi ha fatto avvertire nettamente l'impronta di Rimski-Korsakov (in modo particolare, guarda caso, proprio quello della celeberrima "Sheherazade", ma anche, come rilevato da altre fonti, quello della 2^ sinfonia "Antar", ed inoltre pure quello della suite da "Il gallo d'oro"), del quale Respighi è stato notoriamente allievo, un'impronta che non lo abbandonerà mai, anche se in questo caso mi verrebbe voglia di dire che l'allievo in questa partitura ha superato il maestro, se possibile (ma così come nell'operato di Alfredo Casella, altro esponente come il nostro della cosiddetta 'generazione dell'80', permanentemente influenzato dallo stile di Mahler da lui ammirato, la personalità di questi compositori è talmente forte, da non correre il rischio di confonderli coi loro idoli, nonostante gli evidentissimi rimandi stilistici), per contro negli assoli dell'oboe, avverto nettissima la lezione del Ravel del balletto "Ma mére l'oye", che credo sia stato realizzato nel 1927, ovvero pochi anni prima (ma altre assonanze raveliane nel corso della composizione, mi fanno pensare, guardacaso anche alla sua "Shéhérazade", ouverture de féerie, per orchestra, ascoltata di recente in radio; ma ci sarebbe anche da aggiungere che la "danza guerresca" inserita nel 2° atto di "Belkis", appare evidentemente modellata sull'omologa raveliana contenuta nella 2° parte del balletto, o sinfonia coreografica secondo la definizione del compositore medesimo, "Daphnis et Chloé", del 1912). Inoltre, nel lavoro respighiano è particolarmente rilevante la pletora di diversi tipi di sordine impiegate per le trombe e i tromboni, con delle sonorità veramente inusitate, caratterizzate da singolarissimi glissandi. Ma ho notato anche, nel video, vicino al timpanista, uno strano supporto con diverse coppie di bacchette di vario tipo, a riprova della vasta gamma di sonorità richieste dalla partitura anche a questi strumenti, mentre la grancassa grande, disposta singolarmente in orizzontale anzichè in verticale come di consueto, adopera ovviamente mazze ben più corpose, la presenza di una batteria di 3 bonghi, oltre che tamburo militare, tam-tam, piatti, piatti sospesi, triangolo, xilofono, celesta, campanelli, tamburello basco, eliofono o macchina del vento, pianoforte in orchestra, tacendo degli strumenti fuori scena, ovvero trombe, tromboni, un altro tam-tam, campana e una ulteriore macchina del vento. In orchestra i legni e gli ottoni sono a 3, con la presenza di 2 arpe (le cronache del tempo parlano anche della presenza di alcuni sitar e di altri strumenti etnici in organico, non presenti nel video in questione, la qual cosa mi fa presumere che si sia ricorso, in questo caso, a qualche compromesso, riducendo il numero complessivo degli esecutori, vocali e strumentali, rispetto a quelli originariamente previsti in partitura). Originalissime anche certe sonorità ruvide e raschianti, ottenute dalla massa degli archi, almeno queste le mie impressioni in ordine sparso. C'è persino uno dei motivi che circolano all'interno del lavoro, che mi ricorderebbe vagamente il celebre tema dell'adagio dal 'Concierto de Aranjuez' di Rodrigo, se non fosse che quest'ultimo è stato creato successivamente, ovvero nel 1939, così come a tratti la musica di "Belkis" mi ha fatto pensare al Rota cinematografico, che più o meno in quel periodo, esordiva proprio come compositore di musica da film, anche se in maniera circoscritta e limitata, non potendo quindi dispiegare appieno la sua personalità, cosa che avverrà ben più tardi, poichè riguardo al primo titolo da lui musicato, ovvero "Treno popolare" di Raffaello Matarazzo, in pratica il suo apporto venne limitato sostanzialmente al solo riarrangiamento di alcune note canzoncine dell'epoca, inserite nel corso del film, venendogli così negata in partenza, l'espressione della sua peculiare cifra stilistica, da lui già posseduta all'epoca. Tornando al balletto respighiano, certo dinamismo ed esuberanza ritmici di momenti come la 'danza guerresca' nella 2^ parte, sembrerebbero rimandare anche al compositore americano Copland, la qual cosa non mi sembrerebbe poi così improbabile, visto che Respighi aveva rapporti con gli Stati Uniti ("Feste Romane" venne eseguita in prima assoluta nel 1928, dalla Philarmonic Symphony Orchestra of New York, diretta da Arturo Toscanini, "Vetrate di chiesa" e "Metamorphoseon-Modi XII, tema e variazioni", gli vennero commissionate dalla Boston Symphony Orchestra, diretta da Sergei Koussevitski, il secondo dei 2 brani, se non sbaglio, per il 50° anniversario della compagine bostoniana), ed era amico del compositore e direttore d'orchestra statunitense, anche se di origini svedesi, Howard Hanson, che tra l'altro in quegli anni vinse il "Prix de Rome", per la sua seconda sinfonia "Romantica", il cui stile, oltre a essere debitore di Mussorgski, Grieg e Sibelius, è parzialmente influenzato anche da quello del compositore bolognese. Sicuramente, riguardo a quest'ultimo, la musica di "Belkis", nella sua enfasi e magniloquenza persino sfacciata, risente senz'altro dell'atmosfera dell'epoca, analogamente al mistero in un atto "Il deserto tentato" di Alfredo Casella (l'ultimo dei 3 unici contributi al repertorio del teatro lirico, assieme a "La donna serpente", lavoro in 3 atti e all'opera da camera, anch'essa in un atto, "La favola di Orfeo", del compositore torinese), composto proprio in quegli anni, dopotutto era il periodo delle campagne di Etiopia e dell'Abissinia, durante il regime mussoliniano (dico questo non certo per cadere nel luogo comune di voler assimilare Respighi in toto al fascismo, al quale, come altri, aderì in realtà in maniera, a dir poco, decisamente relativa e forzata, non certo per intima convinzione, nè tantomeno per opportunismo, stante il prestigio internazionale di cui godeva, al contrario era il fascismo che, caso mai, se ne serviva per portare acqua al suo mulino, voglio solo rilevare come anche il compositore bolognese non fosse certamente del tutto impermeabile al clima generale di quel periodo, all'atmosfera dell'epoca) e a voler essere proprio ipercritici, questo balletto, analogamente ad altri lavori del musicista felsineo, sembra più un immenso poema sinfonico per voci e orchestra, più una sinfonia coreografica alla maniera di un "Daphnis et Chloé" di Maurice Ravel,  che un lavoro prettamente destinato alla danza (in effetti, lo rileva anche il direttore d'orchestra tedesco, nel breve documentario in appendice, quando dichiara che la musica, eminentemente sinfonica nel suo trattamento vocale e strumentale, è caratterizzata da un'estrema mutevolezza agogica, oltrechè cambiare di atmosfera nel volgere di pochi istanti, rendendo certamente le cose non facili ai danzatori), anzi secondo una dichiarazione del regista del video, musicista jazz lui medesimo, contenuta in un breve 'dietro le quinte', unico contenuto aggiuntivo del dvd, questa musica sarebbe costantemente in bilico fra kitsch e sublime, osservazione molto acuta e condivisibile, eppure, nonostante ciò, la forza rapinosa di questa composizione, ti fa passare tranquillamente sopra a questi rilievi, è decisamente grande musica, dall'andamento ritmico estremamente flessibile, come giustamente rilevato dal direttore d'orchestra, sempre durante il breve 'dietro le quinte' summenzionato, veramente e supremamente "cinema per le orecchie", come del resto viene definito anche all'interno del fascicoletto che accompagna il disco. Proprio "cinema per le orecchie" e per giunta su grande schermo panoramico! A proposito sempre di questo lavoro, ricordo che, anni fa, trovandomi all'interno di un tendone dove si vendevano libri usati e a metà prezzo, qui a Bologna, in piazza Verdi, casualmente occhieggiai un vecchio titolo il cui autore era un critico musicale nostrano del quale non rammento il nome, ma che attirò la mia attenzione in quanto si trattava di una pubblicazione che ambiva a tracciare un panorama complessivo delle nuove generazioni di compositori italiani dell'epoca, essendo stato pubblicato verso la fine degli anni '30. Orbene, in questo tomo, abbastanza interessante pur essendo chiaramente datato e del quale non ricordo nè il titolo, nè l'editore, sfogliandolo, mi accorsi che, a parte alcuni giudizi decisamente sommari, come, per esempio,quello relativo a Victor De Sabata compositore, sbrigativamente inserito fra gli epigoni straussiani, mentre invece basterebbe ascoltarne proprio il suo stupefacente balletto "Le mille e una notte", putacaso anch'esso definito recentemente da un recensore nostrano, come una partitura superficialmente hollywoodiana, tanto per cambiare (segnalo, per gli eventuali interessati, che di questa partitura ne esitono un paio di edizioni discografiche, di cui una integrale e l'altra riguardante la sola suite da concerto), guardacaso composto più o meno negli stessi anni del lavoro di Respighi, per rilevarne, al contrario, pur fra vari rimandi stilistici, l'assoluta originalità di linguaggio, ecco proprio che, nel trafiletto dedicato a Respighi, si parla, ma guarda un pò, del suo "Belkis", dopotutto andato in scena pochi anni prima. L'autore del saggio, dopo aver rilevato la presenza di strumenti etnici in seno all'orchestra e aver riferito sinteticamente dei pareri estasiati degli stessi orchestrali, riguardo alle sonorità inusitate ottenute dal compositore, alla fine, ne traccia un giudizio come al solito, nel caso di Respighi, decisamente negativo, ovvero di una musica di grande effetto e nessuna sostanza, tanto per cambiare, l'unica cosa che simili detrattori non gli potevano, loro malgrado negare, era la strepitosa perizia tecnica nel trattamento dell'orchestra, tale ne era l'evidenza; il sottoscritto, assai più modestamente, asserisce semplicemente che Respighi fosse in tutti i sensi, un autentico mostro di bravura, troppo bravo in un paese di cialtroni invidiosi quale è sempre stato l'Italia, per giunta capace di scrivere musica orecchiabilissima, tonalissima, ma rimanendo moderno e originale, in barba ad Adorno e soci!  Ma essendomi già dilungato più che a sufficienza su "Belkis, regina di Saba", lavoro che fonde in modo singolare, nella sua scrittura, elementi ebraici, africani e arabici, con modalismi gregoriani, ne rimando la disamina critica del relativo video, allo scritto seguente, nel quale disquisirò anche riguardo alla parte affidata alla voce recitante, originariamente prevista per voce maschile e inizialmente limitata a 2 soli interventi (in verità l'autore aveva pensato anche ad un terzo intervento a cavallo degli ultimi 2 quadri del balletto, ovvero fra il 6° ed il 7°, ma venne dissuaso in ciò dall'editore Tito Ricordi, il quale temeva che il pubblico potesse spazientirsi), cioè all'inizio e a circa metà del balletto, stante il fatto che, per questa versione da concerto oggetto del video, si sono adoperati criteri differenti (continua). 

venerdì 24 gennaio 2014

Il coraggio.

Ripensando a "L'Africaine" di Meyerbeer (il cui vero titolo sarebbe, assai più propriamente "Vasco De Gama", ma purtroppo essendo l'autore morto subito dopo averla composta, ci pensò il musicologo François-Joséph Fétis a farla portare in scena l'anno dopo, nel 1865, al prezzo non solo del mutamento del titolo, ma anche di tagli, alterazioni e stravolgimenti assurdi), radiotrasmessa in diretta nel novembre scorso dalla Fenice di Venezia, durante uno degli intervalli, veniva intervistato dall'inviato di Radiotre, il sovrintendente del teatro, definito persona coraggiosa per 'l'originalità' di tale scelta nel cartellone, che inaugurava l'attuale stagione del teatro. Ma quale coraggio nello scegliere un lavoro del 1864 (oltretutto nemmeno nella recente edizione critica di circa 4 ore effettive di musica, a cura di Juergen Schlaeder, senz'altro più fedele all'autografo meyerbeeriano, messa in scena all'inizio del 2013 alla Chemnitz Stadt Oper e presto su cd per conto della Cpo, ma, al contrario, nella consueta versione spuria realizzata da Fétis, probabilmente per risparmiare sui diritti d'autore spettanti in questo caso al revisore, sia pure con lo schizofrenico criterio di riaprire qualche taglio qui, per tagliare indiscriminatamente qua, tanto per salvare maldestramente la faccia), mica stiamo parlando di un'opera contemporanea in prima assoluta, vogliamo scherzare? Semmai è una vergogna che simili lavori siano rappresentati di rado nei teatri sparsi per il mondo, soprattutto quasi mai in forma integrale, ma di regola pesantemente amputata per biechi motivi di natura economica e in casi come questi a farne le spese, trattandosi di grand-opèra, sono il più delle volte, le sequenze di balletto, quasi sempre estromesse del tutto o, nella migliore delle ipotesi, ridotte a risibili tronconi, tanto per salvare la faccia (ma vi sembra giusto che un sovrintendente di un teatro nostrano guadagni da 1000 a 3000 euro al giorno, con l'aggiunta di auto blu, appartamento, vitto, lavatura e stiratura e benefici vari a carico del contribuente, mentre lo stipendio medio di un orchestrale dello stesso teatro, senza alcun 'benefit' aggiuntivo, si aggira intorno ai 1000 euro al mese, come giustamente stigmatizzato sul mensile 'Musica', tenuto conto che i sovrintendenti che si avvicendano nei teatri italiani, sono sempre i soliti noti, facenti parte di quella conventicola politico-massonica alla quale si riferì a suo tempo, Enrico Stinchelli, sempre sulla rivista 'Musica'; e poi ci si lamenta dei tagli ai finanziamenti per la cultura, una bella faccia tosta, non c'è che dire! Va da sè che, con l'abolizione di simili assurdi privilegi, si troverebbero più facilmente fondi per gli spettacoli!). Durante l'intervista summenzionata, inoltre, il sovrintendente della Fenice, ha mentito spudoratamente, quando ha affermato che, la versione dell'opera che stava andando in scena, era quella da 4 ore complessive che, se così fosse stato, sarebbe stata pressochè integrale, mentre in realtà il sottoscritto ha cronometrato non più di circa 2 ore e 49 minuti totali effettivi di musica, col balletto ovviamente ridotto a un miserrimo lacerto, svilendolo a semplice interludio strumentale, in aggiunta a sforbiciamenti vari senza costrutto qui e là, col direttore d'orchestra che, anche lui intervistato durante gli intervalli, si arrampicava ignominiosamente sugli specchi, per giustificare un simile aborto testuale! Ma da quando in qua, nel computo della durata complessiva di uno spettacolo, si inseriscono anche gli intervalli e i cambi di scena all'interno dei singoli atti di un'opera, perchè non la smettete di prenderci sfacciatamente per i fondelli? A maggior ragione del persistere di questa pratica indecente dei teatri che, quando decidono di mettere in scena simile repertorio, regolarmente le partiture ne vengono stuprate, il mondo discografico, a conforto del semplice appassionato, avrebbe dovuto contrastare tale nefandezza, immettendo sul mercato delle edizioni assolutamente integrali e attendibili, soprattutto le grosse case discografiche, che avevano i mezzi finanziari per poterselo permettere. E invece ciò non è avvenuto che in minima parte, tant'è che, per esempio, delle pochissime edizioni esistenti  de "L'Africaine" di Meyerbeer, non ce n'è una che sia minimamente attendibile e integrale, nemmeno in riferimento alla versione approntata da Fétis, mentre, rimanendo nell'ambito dello stesso autore, lo stesso discorso vale per "Robert le diable", titolo importantissimo in quanto è proprio con questo lavoro che il compositore, ufficialmente, inventa un genere nuovo, ossia il "Grand-Opèra"; inoltre abbiamo 2 sole edizioni integrali di "Le profète", entrambe dirette da Henry Lewis, una di studio della Cbs/Sony, l'altra derivante da una registrazione Rai, pubblicata da varie etichette tra cui l'Arkadia; 2 sole edizioni pressochè integrali de "Les Huguenots" (Richard Bonynge/Decca, Cyril Diederich/Erato). Passando a Gounod, 2 sole edizioni pressochè integrali del suo titolo più noto, il "Faust" (Michel Plasson/Emi, Carlo Rizzi/Teldec), una sola edizione veramente integrale di "Romèo et Juliette" (la seconda incisione di Michel Plasson per la Emi, quella con Roberto Alagna come protagonista), una di "Mireille" (Michel Plasson/Emi). Quanto a Thomas, una di "Mignon" (Antonio De Almeida/Cbs-Sony) e solo una di "Hamlet" (sempre diretta da Antonio De Almeida per la Emi). Purtroppo nessuna delle edizioni disponibili de "La juive" di Halèvy è attendibile e integrale, almeno a quanto mi risulta, così, a volo d'uccello, salvo scherzi della memoria (per ulteriori approfondimenti rimando alla nota guida di Elvio Giudici). Come si evince da tutto ciò, il mondo videodiscografico ha supplito in maniera insufficiente a questa lacuna (per me è come se si trattasse di un diritto negato), stante il fatto che la maggioranza delle edizioni disponibili sul mercato sono, dal punto di vista testuale, amputate e inattendibili, come già rilevato in precedenza. Si è preferito saturare il mercato di inutili barbieri, rigoletti, trovatori, traviate, tosche, bohème, butterfly, turandot, don giovanni,boiate barocchiste e cavoli vari per fare da cassa di risonanza ai divetti plasticosi di turno, pratica non ancora cessata nemmeno nei tempi attuali di crisi, sprecando così le potenzialità culturali dello strumento discografico, in nome di non si sa quali benefici, il che rappresenta la norma, tanto per cambiare! E anche costoro hanno il coraggio di lamentarsi se poi i dischi si vendono sempre meno, è già un miracolo, con simili presupposti, che ancora se ne vendano! / Anche di Spontini, una sola edizione integrale de "La vestale" (Riccardo Muti/Sony) e mi pare anche una di "Agnes von Hohenstaufen" (mi sembra con lo stesso direttore con identica casa discografica), ma prendetela con beneficio d'inventario, intendo verificare tutto ciò poichè non ne sono sicuro; due edizioni della "Lodoiska" di Cherubini (Muti/Sony, Jérémie Rhorer/Ambroisie-Naive). Tutti titoli anche questi che dovrebbero essere assimilabili al genere del "Grand-Opèra", se non erro. Ecc. ecc. /  Nuovamente in tema di 'coraggio', a proposito del recente "Parsifal", andato in scena all'Orinale di Bologna, del quale ho ascoltato la diretta radiotrasmessa il 16 scorso, vi avevo già detto che, sulla base delle dichiarazioni fatte dal direttore artistico Nicola Sani, intervistato tempo addietro su Radiotre, temevo fortemente che l'allestimento scenico fosse funestato da 'registate' varie. Il resoconto che ho sentito durante gli intervalli dello spettacolo, dell'inviato di Radiotre, riguardo alla parte visiva dello spettacolo, sembrerebbe, ahimè, confermare tristemente tutto ciò. Si è parlato di un autentico pitone bianco presente nei primi 2 atti (dov'è l'ente che si occupa della protezione degli animali?), di fanciulle-fiore in tenuta sadomaso con parrucche nel 2^ atto, di immagini di una discarica di rifiuti e di una periferia urbana nel 3^ atto, di riferimenti pseudo-sessuali sparsi qui e là nel corso dell'intero spettacolo, insomma sembrerebbe il tipico trovarobato postmodernista, i consueti cascami pseudo-avanguardistici, con cui ci hanno ripetutamente spappolato i testicoli fino alla nausea, questi cialtroni che, con la loro presunta originalità, mascherano ridicolmente, la loro totale mancanza di idee originali, correlata alla loro miseria d'animo. E tutto questo ridicolo circo dei miracoli, finanziato anche con soldi pubblici, non dimentichiamolo! In questi casi considero un privilegio, attraverso la radio, il poter ascoltare senza doversi sciroppare simili obbrobri, anche perchè, da perfetto idiota, mi sorge spontanea una domanda: ma cosa ci azzecca tutto questo con il "Parsifal"? C'era bisogno d'importare una simile puttanata dall'estero? Continuiamo ipocritamente a lamentarci dei tagli alla cultura!!!! Quanto all'esecuzione, ho trovato la direzione di Roberto Abbado complessivamente buona, ma a tratti ancora un poco acerba e superficiale, coro e orchestra discreti ma con dei limiti di compattezza, si avvertiva insomma che non ci si trovava a Bayreuth, cantanti un poco discontinui ma complessivamente validi. Occorre per onestà rammentare che essendo il "Parsifal" un'opera pensata dal suo autore esplicitamente per la particolare acustica della Festspielhaus di Bayreuth, il metterlo in scena altrove, comporta generalmente delle difficoltà aggiuntive a qualunque ente lirico si accingesse all'opra. / Ho acquistato, il mese scorso, il terzo volume dei lavori orchestrali di Nino Rota, facente parte di un ciclo inciso per la Decca, dall'Orchestra Sinfonica di Milano "Giuseppe Verdi" diretta da Giuseppe Grazioli, un doppio cd contenuto in un'indecente confezione cartonata che, oltre a essere scarsamente protettiva, presenta demenzialmente nella prima tasca il cd inserito insieme al libretto, il che rende praticamente impossibile non rigarlo all'atto dell'estrazione (lo stesso discorso vale per i 2 precedenti volumi del ciclo), inducendomi a inserire i 2 cd e il libretto in uno slim-box, nella speranza di prevenire ulteriori danneggiamenti. Sapete a chi si deve la realizzazione di un simile obbrobrioso confezionamento, o come direbbero i cretini provinciali à la page, "packaging"? Guardando il retrocopertina, così come il libretto allegato, si scopre che si tratta dello Studio "Punto e Virgola" di Bologna! Veramente complimenti! Sono fiero di constatare che gli ideatori di un simile confezionamento demenziale si trovano proprio qui, nella città in cui sono nato e, ahimè, risiedo! Ma quegli idioti della Universal italiana, non potevano rivolgersi altrove? Inoltre nel doppio cd in questione, le musiche per la commedia-balletto di Maurice Bèjart "Le Molière imaginaire", vengono indicate come in prima registrazione assoluta. Affermazione mendace, secondo me, risultandomi già incise nel 1976, in un disco in vinile della Deutsche Grammophon, siglato 2536 280, eseguito dall'Orchestre du Theatre de La Monnaie-Opèra National de Belgique, diretta da Elio Boncompagni, inoltre mi ricordo che, nel catalogo della casa svedese Bis, esiste un'incisione della suite dal balletto. Siccome attualmente, proprio l'etichetta Deutsche Grammophon, fa parte del gruppo Universal, come mai detto titolo, attualmente da tempo immemorabile fuori catalogo, non è mai stato rieditato su cd? Gradirei senz'altro una risposta in proposito, quel che è certo è che, per l'ennesima volta,  questi discografici si confermano per l'ennesima volta dei pagliacci e degli ignoranti incommensurabili! / Quanto a coraggio, anche la Rai, con i suoi spot per indurre al pagamento del canone, sempre più stupidi, idioti e offensivi, ma se la smettesse mai di buttare soldi pubblici in tali scempiaggini, soprattutto ogni volta che vedo quello con quei bambinelli mocciosetti anzichennò, mi verrebbe voglia di stuprarli all'istante!!!! / La prossima metamorfosi di Claudio Abbado? Da defunto si trasformerà in una serie di cofanetti commemorativi, con i quali gli asfittici discografici, ricicleranno in varia maniera le sue arcinote incisioni (già m'immagino i titoli: "The best of...", "The art of...", "Abbado Modern" e via scempiando, cosa del resto già ampiamente accaduta con lo stesso Abbado e altri celebrati interpreti, quando ancora erano in vita; prepariamoci anche all'uscita di qualche insulso libro commemorativo, pieno di banali ricordi di questo o di quello, concernente il "caro estinto"). Già ho visto nella vetrina de "La Feltrinelli" di via dei Mille, esposti alcuni dei suoi vecchi titoli in cd, a prezzi ribassati. Tutto sempre nella norma, no? / Mi ricordo che nell'edizione italiana della rivista "Penthouse", c'era un'interessante rubrichetta intitolata "Il buco di culo del mese" (una volta venne giustamente e meritatamente dedicata al "fido" Biagio Agnes"), omologa della corrispondente rubrica dell'edizione americana intitolata "The ass-hole of the month". Sto pensando di ripristinarla all'interno del mio blog, visti i tempi... / Per il momento è tutto qua, dalla 'penisola dei morti' (avete mai fatto caso che scomponendo a metà la parola 'penisola', se ne creano altre 2, ovvero 'peni' e 'sola'? Non è che questo significa, per caso, che siamo un branco di teste di cazzo, impegnate a fregarci a vicenda? E' una mia impressione sbagliata? Mah!). / Post scriptum: ovvero per la serie "ve l'avevo detto", ecco che quegli stupidi avvoltoi del giornale "La Repubblica", hanno vomitato in questi giorni, nelle edicole, a tambur battente e col cadavere ancora caldo, il primo di una serie di cd "dedicati" ad Abbado, comprendenti una parte delle sue più celebri incisioni discografiche, in stragrande maggioranza già precedentemente proposte in edicola proprio dalla suddetta testata giornalistica, ma che originali, d'altronde è tutto sempre nella stramaledetta norma, vero? E state pur certi che non saranno gli unici!.... Così vanno le faccende nella 'terra dei cachi'. E poi c'è anche il "concerto commemorativo" dal(la) (sotto)Scala, con Barenboim a dirigere la filarmonica nella 5^ di Mahler, trasmesso in diretta televisiva lunedì prossimo su Rai 5, potenza dei defunti!

mercoledì 22 gennaio 2014

La cosa buffa.

Napolitano in visita alla camera ardente allestita per Abbado in Santo Stefano ("Com'è la camera?", "Ar dente!", chioserebbe un cuoco in romanesco): sorgono spontanee un paio di riflessioni; la prima, sarebbe stato meglio l'incontrario, ovvero Abbado in visita alla camera ardente allestita per Napolitano, essendo quest'ultimo senz'altro il più vecchio decrepito dei due, ed essendo anche quello più nefasto, in quanto grigio burosauro di regime, per la serie "sono sempre i migliori quelli che se ne vanno!". La seconda, Napolitano porta iella, a pochi mesi dall'avergli conferito la nomina a senatore a vita, Abbado tira le cuoia (ad ulteriore dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che il parlamento, come tutti i luoghi in cui alberga il potere, è un luogo di morte, popolato da morti che non si vogliono rendere conto di essere tali); fossi al posto degli altri designati, a questo punto, comincerei a fare seriamente gli scongiuri!!! Chiunque fosse in procinto in futuro di essere nominato senatore a vita, in particolare voi musicisti di professione, sarà il caso che declini decisamente, datemi retta, non si sa mai, li Napolitanacci suoi!!!! E' proprio vero che l'erba cattiva non muore mai! Ovviamente in giorni come questi, grondanti melassa funeraria sui mass media, tralascio in questa sede di disquisire sull'artista Abbado, dato che ci sproloquiano già in troppi, per cui non è il caso che mi ci aggiunga, tralasciando le boiate ecologiche del nostro tipo la piantumazione di nuovi alberi e il ricordo del progetto abortito di un nuovo auditorium qui a Bologna, che se fosse stato concretizzato, si sarebbe rivelato l'ennesima dispendiosa cattedrale nel deserto e sul quale ricordo di essermi già espresso a suo tempo in uno dei miei primi scritti in questa sede e al quale rimando, non avendo minimamente mutato parere al riguardo (il post in questione s'intitola per l'appunto "Una boiata pazzesca."). A parte i rapporti non propriamente idilliaci sempre del nostro, avuti a suo tempo col fisco nostrano e certi intrallazzi dei suoi familiari, sinceramente a questo punto delle sorti dell'orchestra Mozart, non me ne potrebbe fregare di meno! Facciamo ipocritamente finta di non sapere che in realtà, le cosiddette 'nuove orchestre' create da Abbado, sono praticamente dei cloni ottenuti rimescolando in varia misura musicisti provenienti in gran parte dalle principali orchestre europee con le quali, nella maggior parte dei casi, Abbado si è esibito nel corso della sua carriera, con l'aggiunta di alcuni solisti di fama internazionale e di qualche giovane di belle speranze, tanto per dargli una parvenza di giustificazione alla loro esistenza. Soltanto che, con la morte del loro 'creatore', le flebili ragioni della loro presenza, sono definitivamente crollate, non si vede proprio perchè si dovrebbero sprecar quattrini per esse, tanto più che i musicisti che le compongono, proprio per le ragioni summenzionate, nella quasi totalità dei casi, non corrono certo il rischio di rimanere disoccupati! Piuttosto ci sarebbe da preoccuparsi seriamente della sorte di quella sottospecie di corte dei miracoli, gravitante nell'orbita del sommo musicista, costituita dai cosiddetti 'abbadiani itineranti'. Orfani del loro beniamino, l'unico che ne potesse fragilmente giustificare la loro costituzione, dicevo e adesso pover'uomini, come faranno? Bisognerebbe proprio segnalarli alla Caritas, auspicando che se ne occupi prontamente di questi lugubri parassiti! Mi ci struggo da matti, roba da non dormirci la notte! E sempre riguardo al loro idolo, c'è da rilevare che del suo ricordato impegno a favore della musica contemporanea e del '900 storico, negli ultimi anni ne erano rimaste tracce scarse per non dire nulle, analogamente al suo amico e sodale Maurizio Pollini (prossimo senatore a vita anche lui? In tal caso facciamo gli scongiuri!) che da parecchio tempo si è concentrato sulla 'solita minestra', salvo smentite! Se penso poi ai visitatori della camera ardente allestita per Abbado, ma che senso ha andare a vedere un cadavere, branco di necrofili esibizionisti, probabilmente speranzosi di essere immortalati da qualche telecamera o macchina fotografica? E tutto l'apparato di polizia mobilitato per il decrepito Napolitano e tutto il consueto circo mediatico accorso all'evento, quanti soldi pubblici sperperati invano, in barba alla crisi! Certo che se è vero che, come hanno scritto, Abbado era impegnato anche nel sociale, come mai io, comune mortale indigente, non me ne sono mai accorto? Nemmeno sapevo che abitasse proprio qui in Bologna, zona Santo Stefano, a poca distanza, in linea d'aria, da casa mia, pensavo risiedesse piuttosto in quel di Ferrara! Mi sarò per caso rincretinito? Ho paura proprio di sì! / Mi piacerebbe tanto avere una foto di Napolitano, scattata nel momento in cui ha conferito la nomina di senatore a vita ad Abbado, per poterci sovrapporre un teschio in corrispondenza del volto di Napolitano e includerla quindi in questo blog, a suggello del presente scritto, perciò casomai se qualcuno volesse aiutarmi... / Auspico vivamente che, fra i prossimi senatori a vita, sia conferita tale nomina dallo stesso Napolitano ( il quale, suo malgrado, farebbe in tal caso, una volta tanto, cosa egregia) anche a Beppe Maniglia e Giovanni Allevi, nella decisa speranza che così facciano finalmente la stessa fine di Abbado, che è l'unica cosa che si meritano!!! / Tornando alla famiglia Abbado, se penso che zio (Claudio) e nipote (Roberto), pur essendo colleghi, ovverossia ambedue direttori d'orchestra, si sono bellamente ignorati reciprocamente per tutta la loro vita, quando si dice una gran bella famiglia... tutto nella norma! / Un altro certamente dispiaciutissimo della dipartita di Abbado, sarà senz'altro Riccardo Muti, il quale in un ipotetica classifica dei migliori direttori d'orchestra operanti sulla piazza, si ritroverebbe lo scettro di Abbado, il quale non può più fargli alcuna ombra oramai, o no? Viva l'Italia, 'la penisola dei morti'!