giovedì 28 agosto 2014

Delusione ed irritazione.

Dei complessivi 3370 metri di pellicola utilizzati, ne sono stati recuperati in totale 3102. Così avvertiva la  didascalia che precedeva la proiezione del film "Cabiria" (Italia/1914), con la regia, soggetto e sceneggiatura di Luigi Pastrone (didascalie e nomi dei personaggi a cura di Gabriele D'annunzio), nell'ambito della rassegna "Il cinema ritrovato / Cento anni fa. Intorno al 1914", nella copia restaurata nel 2006, proveniente dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, avutasi la sera di venerdì 4 luglio al Teatro Comunale di Bologna, alle ore 21, un cineconcerto con accompagnamento musicale dal vivo con i complessi del Comunale diretti da Timothy Brock, autore del restauro della partitura originale (!!!!!!) per orchestra composta da Manlio Mazza e dell'ouverture corale composta da Ildebrando Pizzetti (e non Piazzetti, come riportato sul pieghevole consegnato al pubblico dagli addetti, al momento dell'apertura della sala), stando almeno a quanto ci dicono le note del programma di sala (pur mancando quindi ancora 268 metri di pellicola, la durata complessiva dichiarata del film, resta ragguardevole considerando l'epoca, ovvero circa 2 ore e 49 minuti, alla velocità di 16 fotogrammi al secondo). Ad introdurre la serata ci sarebbe dovuta essere Donata Pesenti Compagnoni del Museo Nazionale del Cinema di Torino, sostituita invece, per motivi ignoti, da Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, il quale ha letto la relativa presentazione, sul palco. Della parte musicale della serata, sulla quale il programma di sala non riportava alcunchè (e ti pareva! Tutto stramaledettamente nella norma!) dirò oltre, per il momento occupiamoci sinteticamente del film. Per quanto concerne i criteri adottati per il restauro del film, mi limito a riportare, per chi non fosse stato presente, ciò che sta scritto sul programma di sala: "Nel 2006, il Museo Nazionale del Cinema di Torino, nell'ambito di un più ampio progetto di valorizzazione delle collezioni di cinema muto torinese, ha realizzato un complesso restauro di 'Cabiria'. In seguito all'acquisizione da parte del Museo, di nuovi preziosi materiali di produzione relativi al film, infatti, è stato possibile realizzare 2 risultati in precedenza impossibili da raggiungere: la ricostruzione filologica della versione originale di 'Cabiria' (oh, beh, insomma, teniamo presente quei 268 metri di pellicola ancora mancanti all'appello, nota dello scrivente!) e il pieno recupero dell'edizione sonorizzata del 1931. Nel lavoro di ricostruzione, non solo sono state analizzate le copie dei film censite nei principali archivi del mondo (essendo andati persi i negativi originali, aggiungo io!), ma è stata anche approfonditamente studiata la ricca collezione di materiali extrafilmici relativi a 'Cabiria', conservati dal Museo, in particolare i campionari colore e le partiture di accompagnamento (e difatti le didascalie con i testi dannunziani, sono state completamente ricostruite ex novo, sia a livello di testo che di 'coloritura', non essendo ovviamente più rintracciabili gli originali, altra nota dello scrivente). Il lavoro di restauro, che si è avvalso, dove necessario, delle più moderne tecniche digitali, è stato realizzato presso il laboratorio Prestech di Londra." Come si evince da tutto ciò, essendo questa copia 'restaurata' realizzata partendo da diverse altre copie di varia origine, provenienti da archivi cinematografici siti in svariate parti del mondo, quindi in condizioni di conservazione estremamente variabili (dal buono al pessimo), la resa visiva risulta alquanto discontinua, passando da momenti nei quali le immagini posseggono una sorprendente pulizia e nitidezza per un film realizzato esattamente un secolo fa, ad altri nei quali sono piuttosto evidenti i segni del tempo (sgranature, sfocature, rigature, graffi, segni di interpunzione sui singoli fotogrammi e così via). Da segnalare il fatto che, a seconda del carattere delle singole scene, i fotogrammi siano virati in giallo, blu, verde, rosso, rosa,  azzurrino o grigio. Per quanto concerne le didascalie dannunziane, introducenti le singole scene, a parte la prosa retoricamente ampollosa e tendenzialmente sbrodoleggiante (tipicamente riferibile al loro autore) della maggior parte di esse, ve ne erano altre, per contro, dal testo talmente sciatto e prosaico, che se non sapessi chi ne sia l'autore, non ne avrei nemmeno lontanamente attribuito la paternità al Vate, a costo di farci la figura dell'ignorante, anzi oso persino farmi venire alcuni dubbi sull'effettiva paternità di codeste didascalie! Quanto al film vero e proprio, pur valendo la pena, complessivamente, di essersi mossi da casa per andarlo a vedere, trovo che, accanto a scene obiettivamente tuttora impressionanti (in primis quella celebre con l'eruzione dell'Etna, ed in generale le scene di massa e di battaglia), con effetti speciali senz'altro strabilianti per l'epoca, ve ne sono altre dove, soprattutto a livello recitativo, con quella gestualità sovraeccitata ed enfatizzata tipica dei film muti dell'epoca, quella mimica facciale tendenzialmente sovraesposta, quel labiale ridicolmente esasperato, i segni del tempo trascorso risultano evidentissimi, con frequenti cadute nel comico involontario (e difatti in simili frangenti, una parte del pubblico presente in sala, giustamente, rideva con fragore), aggiungiamoci alcune scenografie che, naturalmente a un occhio odierno, risultano immediatamente di cartapesta, pur comprendendo che all'epoca abbiano prodotto notevole impressione (una per tutte, quel ridicolissimo tempio di Moloch, nella 2^ scena della 1^ parte, nella quale alcuni bambini vengono offerti in sacrificio al cospetto della statua della divinità), alla fine il risultato complessivo, almeno per il sottoscritto, resta irrimediabilmente datato, nonostante l'interesse della visione. Ma questo sarebbe ancora niente. Purtroppo però, la cosa che mi ha dato maggiori delusioni, è stata proprio la parte musicale, motivo principale del mio interesse, a parte il fatto che, su quest'ultima, lo stesso Farinelli ci si è soffermato sommariamente, nella sua presentazione (sic!). Innanzitutto, la buca del Teatro Comunale, è troppo ridotta per contenere i 120 musicisti, previsti in orchestra, per cui l'organico complessivo era un poco ridotto, rispetto a quanto prescritto, ma questo sarebbe il male  minore. Diciamo subito che, dalla sera di quel fatidico venerdì 4 luglio, ho capito perchè di questo Manlio Mazza, co-autore (sic!) delle musiche, non avevo praticamente quasi mai sentito parlare. Volendo fare un facilissimo gioco di parole, si potrebbe dire senz'altro che costui non valeva... una mazza! Partiamo dall'inizio: come alcuni sanno, Pastrone aveva commissionato la realizzazione dell'intero commento musicale al compositore parmense Ildebrando Pizzetti, il quale, sfortunatamente, realizzò soltanto il brano iniziale, che va però eseguito prima dell'inizio del film, a sipario abbassato (o meglio a schermo spento) a mò di ouverture (il film è strutturato, almeno nelle intenzioni, come una sorta di melodramma, con una ouverture e 3 parti - ovvero 3 atti - quelle in cui è effettivamente suddivisa la pellicola), la breve ma bellissima "Sinfonia del Fuoco", per baritono, coro misto e grande (!) orchestra (approfitto dell'occasione per rimediare a un mio precedente errore che, sulla base delle note del libretto di un cd della Marco Polo, successivamente ristampato su etichetta Naxos con nuove note di commento un poco più attendibili, che ne comprende anche l'unica incisione finora effettuata e da me più volte citato, la situava in corrispondenza della scena dell'invocazione a Moloch, anzichè prima dell'inizio del film, in maniera da risultare così l'equivalente di una vera e propria ouverture d'opera, per l'appunto, come corretto; però, dopo un recente riascolto di questo brano, essendone la parte vocale relativa proprio all'invocazione a Moloch, col baritono solista nel ruolo del sacerdote contrappuntato dal coro dei fedeli, mi sorge il dubbio che questa musica potesse essere inizialmente prevista proprio come commento musicale alla suddetta scena, poi successivamente spostata dal regista prima dell'inizio del film vero e proprio, generando così il susseguente dissidio col musicista), dopodichè litigò col regista, affidando il completamento della parte musicale (forse proprio per fare un dispetto al medesimo?), al suo "migliore" allievo, Manlio Mazza (e se codesto era veramente il "migliore", figuriamoci cosa dovevano essere gli altri, poveri noi! Personalmente, sono più che mai convinto che Pizzetti, con questa decisione, abbia proprio volutamente fatto un bello sgambetto al regista, appioppandogli il suo "migliore" - o, piuttosto, peggiore? - allievo). Un vero peccato, comunque sia, poichè, proprio dopo aver ascoltato l'operato di quest'ultimo, sono più che mai del parere che, se lo stesso Pizzetti avesse concluso l'intrapresa, il film avrebbe senz'altro acquisito una decisa marcia in più, anche agli occhi di uno spettatore odierno (guarda caso, quella sera, al termine dell'esecuzione del brano pizzettiano, ovvero la "Sinfonia del Fuoco", ho sentito dietro di me, levarsi la voce di qualcuno fra il pubblico che ha gridato "Bella!". Sottoscrivo in pieno! Anzi, aggiungerei, "Bellissima!"). Non ho mai saputo per qual preciso motivo Pizzetti e Pastrone litigarono, così come mi chiedo per quale ragione Manlio Mazza abbia fatto quel che, ahimè, ha fatto (Mancanza di tempo? D'ispirazione? O di entrambi? Pelandronite acuta? Nulla ci è detto, per carità!). Non credo proprio che il Mazza (!) abbia minimamente, per così dire, gli "attributi" per aspirare, anche in misura infinitesima, ad un posticino quantomeno decente, nell'ambito della storiografia musicale, bah! La differenza che passa fra costui e il suo maestro, è la stessa che può esserci fra, nella migliore delle ipotesi, un onesto ma impersonale artigiano, caratterizzato da un plumbeo grigiore burocratico ed un grandissimo artista, quale Ildebrando Pizzetti senz'alcun dubbio era. Insomma, ciò che ha combinato questa "mazza" di artista (?), si riduce in realtà, a un modesto, disinvolto, assemblaggio, montaggio di frammenti (di alterna efficacia nel loro rapportarsi alle immagini che scorrono sullo schermo) di musiche preesistenti di autori compresi fra il tardo '600 e la prima metà dell'800, senza la benchè minima traccia di rielaborazione o di rivisitazione che denoti perlomeno un qualsivoglia barlume di personalità (contrariamente ad altri casi, non auspico alcuna incisione discografica di un tale appiccicoso pastrocchio che svilisce, per giunta, il valore intrinseco dei frammenti musicali, spudoratamente riutilizzati, non potendo che "meritare" un definitivo oblio, assieme al suo indegno "creatore"). Il che mi ha fatto capire che, tutti coloro che, a proposito di questo film, parlano impropriamente di musiche di Manlio Mazza (a cominciare da quel branco di pallosissimi soloni saputoni di "Hollywood Party" su Radiotre), in realtà non conoscono una "mazza", sia riguardo al film, che alle musiche, naturalmente! A parte la decisa ed evidentissima frattura stilistica venentesi a creare con quanto ascoltato in precedenza (ovvero la "Sinfonia del Fuoco", dal linguaggio già decisamente primonovecentesco, sia pure in un tonalissimo ambito), peraltro caso non unico nell'ambito della musica cinematografica del periodo, il Mazza, si potrebbe dire, "crea" uno strambo zibaldone, stilisticamente eterogeneo e disomogeneo, che pesca a piene mani citazioni da Mozart, Gluck ("danza delle Furie" e "danza degli Spiriti Beati", dall' "Orfeo ed Euridice"; finale dal balletto "Don Juan"), Vivaldi, Spontini ("La Vestale"), Rossini ("Guillaume Tell"), Donizetti, Mendelssohn-Bartholdy (l'ouverture "Die Hebriden"), Schumann (la musica impiegata nella scena dell'eruzione dell'Etna, mi è parsa tratta dalle sue "Szenen aus Goethes Faust", ma lo dichiaro con beneficio d'inventario) ed altre che, pur non risultandomi affatto nuove, non sono riuscito ad individuare, molte di esse venendo pedissequamente ripetute più volte nel dipanarsi della narrazione filmica. Aggiungiamoci che, dal punto di vista esecutivo, le cose migliori si sono avute proprio nell'iniziale "Sinfonia del Fuoco", con una buona prova complessiva di orchestra e coro, quest'ultimo diretto da Andrea Faidutti (la parte del baritono solista venendo ricoperta da un elemento del coro medesimo), mentre nelle restanti musiche, a parte a tratti un certo squilibrio fonico venentesi a creare fra fiati ed archi, con i primi che tendevano a sovrastare i secondi (almeno questo è quanto avvertivo dalla mia postazione d'ascolto, sita in platea, a ridosso del corridoio centrale), proprio il settore dei fiati era quello che, secondo me, denotava le maggiori smagliature a livello esecutivo, soprattutto le trombe. In conclusione, una serata in parte irritante, innanzitutto dal punto di vista musicale, dove valeva la pena di esserci più per motivi d'interesse cinefilo/musicologico e conseguente verifica personale, che per l'effettiva godibilità dal punto di vista artistico. Teatro non pienissimo, il che mi ha consentito di avanzare di qualche fila, rispetto al posto originariamente prenotatomi (a parte la discrepanza fra gli orari della biglietteria indicati sul pieghevole del "Cinema Ritrovato", rispetto a quelli riscontrati una volta recatomi in loco, tanto per cambiare!). Alla fine, una lunga serata, dopo la quale, il mito relativo a questa centenaria pellicola cinematografica, si è drasticamente ridimensionato, almeno per me e con buona pace dei cinefili/cinofili ad oltranza (per non parlare di questo smunto Manlio Mazza, poveri noi, ma mi chiedo in concreto, in che cosa sarà effettivamente consistito il dichiarato restauro della partitura "originale" -????-, effettuato dallo stesso direttore d'orchestra, Timothy Brock, secondo quanto dichiarato nel pieghevole di sala? Però temo che la mia rimanga una "Unanswered Question", per dirla con Ives!). Luci ed ombre, con prevalenza di queste ultime, insomma...