lunedì 16 maggio 2011

Stessa spiaggia, stesso mare.

Ho voluto giocare col verso di una nota canzonetta degli anni '60, per riferirmi all'opera di Fabio Vacchi, compositore bolognese (classe 1949) andata in scena in prima assoluta al Teatro Petruzzelli di Bari e radiotrasmessa in differita su Radiotre domenica 15 maggio, registrata dal vivo il 28 aprile scorso. E' un lavoro di concezione piuttosto ampia, strutturato in 3 atti della durata complessiva di circa 2 ore e 40 minuti, intitolato per l'appunto "Lo stesso mare", per 3 voci recitanti, cantanti, grande orchestra ed effetti elettronici di spazializzazione del suono, su libretto di Amos Oz, commissionato dallo stesso teatro, dove è stato diretto da Alberto Veronesi. Spiace constatare che, almeno giudicando dalla ripresa sonora, il pubblico sembrasse un pò scarso, anche se partecipe, poichè almeno sulla base del solo ascolto, il lavoro faceva una notevole impressione, merito anche della bella prova di tutti gli interpreti, compresa la sorprendete orchestra del teatro, in una partitura così multiforme stilisticamente e non certo facilissima. Come alla Scala con "Quartett" di Luca Francesconi, anche stavolta la commissione dell'opera non era legata ad alcuna ricorrenza patriottarda e come in quel caso l'esito complessivo, almeno dal punto di vista musicale, risulta notevole, lontano anni luce da quello ben più misero di opere come "Risorgimento!" di Ferrero, sarà forse una coincidenza? Se tutte le opere contemporanee nostrane fossero come queste di Francesconi e di Vacchi, avremmo ragione di essere ben più ottimisti sul futuro del teatro lirico contemporaneo qui dalle nostre parti.  Questa è la contemporaneità che vorrei sentire sempre! Tanto più che anche in questo caso il linguaggio adottato da Vacchi in "Lo stesso mare", risultava fortemente suggestivo e di forte presa emotiva, per cui anche le inserzioni "etniche" e le citazioni a incastro operistiche, essendo uno dei personaggi dell'opera un'appassionato di lirica ( tra l'altro erano riconoscibili citazioni da "Bella figlia dell'amor" dal "Rigoletto" di Verdi oltrechè dalla serenata dal "Don Giovanni" di Mozart), si incastonavano nel tessuto musicale con estrema fluidità e naturalezza, così come i rimandi stilistici a certo minimalismo di stampo statunitense, per cui non si aveva mai la sensazione di un qualche cosa di manierato, o di qualche furbesco ammiccamento alla logica del facile ascolto, ma il tutto risultava in una notevole sincerità espressiva. Il titolo "Lo stesso mare" si riferiva anche al fatto che i diversi personaggi dell'opera, pur essendo di diversa estrazione sociale e di diversa nazionalità e vivendo situazioni personali differenti, avevano tutti in comune lo stesso ambiente sociale, ossia "Lo stesso mare". L'opera era priva di una trama in senso tradizionale essendo costituita da una giustapposizione di diverse situazioni sceniche, introdotte di volta in volta dalle 3 voci recitanti, quindi non aveva una struttura convenzionale.  Non per niente lo stesso Vacchi, in un'intervista radiofonica, faceva notare come le forme musicali e quindi l'opera lirica, si evolvano ossia mutino nel tempo, come lo era per esempio la sinfonia ai tempi di Bach (invenzioni a 3 voci) e ai tempi di Mahler (dilatata all'estremo in strutture ampie e colossali), per cui anche il suo lavoro, pur essendo per certi versi anticonvenzionale, può ascriversi a pieno diritto nella categoria del teatro lirico contemporaneo. Detto per la cronaca che la regia teatrale era di Federico Tiezzi e le scene di Gae Aulenti, mi astengo per ovvie ragioni di ascolto radiofonico dal parlare della parte scenica, auspicando quanto meno che fosse sullo stesso livello della partitura musicale. Trovo comunque piacevolmente incredibile che anche qui da noi, nella prima metà di quest'anno, si siano già rappresentate almeno 2 notevoli novità operistiche di tale fatta (ossia "Quartett" di Francesconi e quest'ultima "Lo stesso mare" di Vacchi), semprechè magari non ce ne siano anche altre a me ignote, tenendo conto dei tempi bui che attraversiamo non solo dal punto di vista culturale, per cui prendiamo tutto ciò come un segnale positivo per uscire da questa cappa opprimente di tetraggine che attanaglia l'intera nazione. Ad maiora!

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