Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
giovedì 16 giugno 2011
Cenni tecnici sul vinile e sul compact disc.
Prendendo sempre spunto dall'approssimarsi dell'apertura della mostra sul vinile al Museo della Musica di Bologna che si svolgerà dal 18 al 30 giugno, ne approfitto per cercare di dare qualche ragguaglio tecnico su quest'ultimo e sul suo contraltare, ovvero il cd, ritenendo non inutile che anche l'appassionato musicofilo possa farsi un'idea più precisa delle caratteristiche intrinseche di questi 2 supporti che, non dimentichiamolo sono deputati alla riproduzione della musica e in quanto tali degni di essere trattati anche in un sito come questo, avente ambizioni musicologiche, stante anche la cattiva informazione che viene spesso data al riguardo. Il disco in vinile, del diametro usuale di 30 cm., ruotante alla velocità di 33 1/3 giri al minuto, venne introdotto negli Stati Uniti nel 1948 dalla Columbia Records, mentre nel 1950 la RCA-Victor introdusse come risposta commerciale alla Columbia Records il disco a 45 giri, del diametro di 17 cm. Pare che la velocità di 45 giri sia stata desunta semplicemente facendo la sottrazione 78-33 che dà per l'appunto come risultato la somma di 45! Infatti il disco microsolco a 33 giri andava a sostituire l'ormai obsoleto supporto in lacca a 78 giri, con le sue facciate il cui minutaggio massimo era di non più di 5-6 minuti. La produzione di dischi a 78 giri proseguirà fino al 1956, cessando del tutto dopo tale anno. Furono anche realizzati dei dischi microsolco particolari del diametro di 40 cm., in uso presso le stazioni radio negli anni '50, tra cui anche quelle della Rai. Ma ritorniamo a parlare del vinile da 30 cm. di diametro. Il solco segue, lungo la facciata un percorso a spirale (detta spirale di Archimede) che parte dal bordo esterno verso l'interno, ha un profilo trasversale a V, che è più profondo e stretto nei dischi monofonici rispetto a quelli stereofonici, sulle fiancate recando incise le modulazioni del segnale musicale, ovviamente diverse sui 2 lati nel caso di dischi stereofonici e simmetriche nel caso di supporti monofonici. La velocità angolare è costante (33 o 45 giri), mentre la velocità lineare è variabile, ossia massima nelle spire esterne e minima in quelle interne. Per poter incidere le modulazioni del solco in modo che fossero tracciabili dalle testine fonografiche si è dovuti ricorrere a un espediente tecnologico, ossia l'equalizzazione nella fase di incisione. Nel senso che, senza equalizzazione, le basse frequenze richiederebbero delle modulazioni troppo ampie e ingombranti che nessuna testina sarebbe in grado di tracciare adeguatamente, mentre al contrario per gli acuti sarebbero troppo ridotte e la testina non le avvertirebbe, per cui in fase di incisione si effettua un'equalizzazione che attenua le basse frequenze e aumenta gli acuti, mentre in fase di riproduzione si fa esattamente il contrario, a mò di compensazione. La curva di equalizzazione universalmente adottata dal 1956 è la RIAA (Record Industry Association of America). Prima di allora, oltre a quest'ultima vi erano anche altre curve di equalizzazione (CCIR, NAB, American Decca, ecc.). Inoltre, per aggirare la scarsa separazione stereo connaturata al sistema (tenete conto che al massimo una testina magnetica dichiara al massimo 35 db di separazione ad 1 khz e 30 db a 10 khz, contro i 40 dei registratori a cassette, i 50-55 dei sintonizzatori radio FM, gli 80 dei videoregistratori Vhs-hi fi e i 90-100 e anche oltre dei lettori digitali), in fase di masterizzazione, si aumenta artificiosamente la separazione fra i canali. Il che significa che la qualità sonora dei dischi è il frutto di vari compromessi tecnologici volti ad aggirarne i limiti intrinseci. Nel 1954 il francese Andrè Charlin produsse sperimentalmente il primo disco stereo-mono compatibile, così come nel 1956 in Giappone si iniziarono a produrre dischi stereofonici. Nel 1957-58 si iniziarono a produrre regolarmente dischi stereofonici anche in America e in Inghilterra. Dai primi anni '70 fin verso la fine del decennio si produssero anche dischi quadrifonici, che non ebbero successo per varie ragioni, una delle quali era la parziale incompatibilità fra i vari standard proposti e fra essi e gli apparecchi stereofonici. Negli anni '60 la Rca introdusse i dischi Dynagroove, nei quali, in fase d'incisione, veniva introdotta artificiosamente una distorsione che doveva compensare o meglio rendere inudibile all'ascolto, l'aumento di distorsione durante il tracciamento da parte della puntina dei solchi più interni della facciata, ovvero quelli più prossimi alla zona centrale del disco e più critici all'ascolto, per via del maggior errore radiale di lettura del braccio imperniato del giradischi. Il giudizio su questi dischi Dynagroove da parte degli esperti è molto controverso e personalmente non mi pronuncio in quanto non mi ci sono mai imbattuto. Per contro mi sono imbattuto nei famigerati dischi Rca Dynaflex, dal vinile flessibilissimo e sottilissimo come un'ostia, dalla qualità sonora mediocre ovviamente, che la casa discografica spudoratamente spacciava come un'innovazione tecnologica volta a migliorare la qualità sonora e con un migliore assorbimento delle vibrazioni, stante la sua maggiore aderenza al tappetino del piatto, ovviamente sempre secondo quanto dichiarato nel retro-copertina di questi dischi, prodotti nei primi anni '70. Sapeste quante vere e proprie 'sole' ci ha rifilato l'industria discografica! (Continua)
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