sabato 13 aprile 2013

Collezionismo vinilico: come riconoscere i dischi Decca "italiani".

(Segue) Come affermavo nello scritto precedente, i dischi Decca, venivano generalmente importati dal distributore ufficiale nostrano, direttamente dall'Inghilterra e saltuariamente, in piccola percentuale, anche dalla Germania, stampe chiaramente e nettamente distinguibili ossia riconoscibili, le une dalle altre, ma talvolta succedeva che, per i titoli di musica classica che si presumevano di maggior richiamo per il mercato nostrano, venissero di conseguenza ristampati di sana pianta (comprese le custodie e le buste interne), nel nostro paese, ovviamente con una qualità di stampa e quindi un valore collezionistico inferiore rispetto agli originali stampati dalla casa madre nel Regno Unito. Questi dischi Decca nostrani, non sono sempre chiaramente distinguibili dagli originali inglesi, per un neofita, anzi a un esame superficiale potrebbero persino apparire quasi identici, poichè non sempre le loro etichette recavano iscrizioni nella lingua nostrana e spesso, nemmeno nel retrocopertina, erano presenti note di commento in italiano. L'indizio principale per distinguerli può essere, nella maggior parte dei casi, una lettera I presente negli estremi di etichetta, ossia nei numeri di catalogo assegnati alle varie incisioni. La Decca usava delle sigle alfanumeriche composte da una serie di lettere maiuscole seguite da 3 o 4 cifre (per la collana ad alto prezzo si trattava delle sigle SXL, SXDL, SET limitatamente ai dischi di musica sinfonico-corale e alle selezioni operistiche, PFS; queste sigle venivano tutte seguite da un numero a 4 cifre, tranne la SET recante un numero a 3 cifre, tutto quanto detto fino adesso, vale per i dischi singoli, mentre per i cofanetti multipli la sigla distintiva era SET seguita da un numero complessivamente di 4 o 5 cifre, ma di cui l'ultima o le ultime 2, erano separate dalle precedenti da un trattino, poichè indicavano il numero dei dischi contenuti nel cofanetto; altre volte la sigla era una D seguita da un numero a 3 cifre, a cui seguiva un'altra D con 1 o 2 cifre, sempre a seconda del numero di dischi presenti. Per le collane a medio prezzo le sigle erano SDD o GOS - nella serie "Ace of diamonds" -, ACL -nella serie "Ace of clubs"-, SPA -nella serie "The world of..."-, JB -nella serie "Jubilee"-, LE -nella collana "London Enterprise". Per la collana economica "Eclipse", la sigla era ECS. Dimenticavo però di dire che, verso la fine degli anni '70 e fino ad almeno la metà degli anni '80, la casa madre inglese faceva stampare i vinili in Olanda, anch'essi comunque riconoscibili, con un certo scadimento qualitativo rispetto agli stampaggi inglesi.). Le stampe italiane erano indicate generalmente in questa maniera: SXLI, SXDLI, PFSI, SDDI, SPAI, ECSI, GOSI, JBI, seguite dal consueto numero a 4 cifre; oppure, per i cofanetti multipli D000DI00, SET000-00I; per le selezioni operistiche e i dischi di musica sinfonico-corale, SET000I. Sulle etichette del disco, si poteva leggere in piccolo la scritta "Made in Italy". Mi è capitato però una volta di imbattermi in un cofanetto Decca della "Fedora" di Umberto Giordano, nell'edizione diretta da Lamberto Gardelli, in cui era assente la I dagli estremi di etichetta, tanto da farmi supporre di essere al cospetto di una stampa originale d'epoca. Per fortuna, un rapido esame interno del cofanetto rivelò l'inganno, poichè le etichette dei dischi non solo recavano iscrizioni interamente in italiano, ma persino un riquadro con la sigla SIAE in bella evidenza, per cui fate molta attenzione! Il problema ovviamente non sussiste per i dischi col marchio London (mai regolarmente importati dalle nostre parti), poichè la Decca dovette inventarsi un simile stratagemma per esportare i suoi dischi in America, stante il fatto che l'American Decca, inizialmente nata come costola della casa madre britannica, se ne era svincolata completamente, rendendosi  di fatto indipendente, in tempi successivi. Ma pensate per esempio anche alla Emi, che per gli Stati Uniti aveva dovuto crearsi i marchi Angel, Capitol e Seraphim, non potendo utilizzare nè il marchio His Master's Voice poichè di esclusiva americana della Rca-Victor, nè il marchio Columbia, essendo di esclusiva statunitense della Columbia americana, che a sua volta si era dovuta inventare il marchio Cbs, per poter esportare il suo catalogo nel resto del mondo! (Continua)

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