venerdì 25 ottobre 2013

Pancia e psiche.

Ovvero dell'impossibilità di conciliare le esigenze dell'una e dell'altra, almeno per quello che mi riguarda. Purtroppo le mie vicissitudini extra-musicali stanno nuovamente prendendo il sopravvento su tutto il resto, come era prevedibile. Essendomi a suo tempo volutamente allontanato dall'ambito delle mense per poveri, soprattutto per motivi psicologici, visto che non sono null'altro che l'anticamera della fine secondo la mia opinione, stante anche l'umanità alla deriva con la quale hai inevitabilmente a che fare, volente o nolente, tutti i santi giorni, con il conseguente senso di ineluttabile sconfitta e di deriva mentale che sopravviene, volendo anche solo simbolicamente dare una scossa alla mia patetica esistenza, uscendo dall'atteggiamento di passiva accettazione di un destino ingrato che ne costituisce la naturale conseguenza, ho deciso, dopo averlo meditato da parecchio tempo, di dare un taglio drastico a tutto ciò, anche perchè la faccenda mi procurava diverse crisi di nervi e di pianto. Ovviamente all'inizio la cosa non sembrava affatto così difficile, anzi ti sentivi più libero da condizionamenti vari, solo che avevo fatto i conti senza l'oste, ossia la mia pancia, per cui se dal punto di vista psicologico mi sembrava di stare leggermente meglio, lo stomaco rimbrottava a più non posso e avevo voglia a fare orecchie da mercante, naturalmente e giustamente, non voleva sentire ragioni e non poteva essere altrimenti. Senonchè, escludendo a priori per i summenzionati motivi l'idea di tentare di rientrare, per così dire, nel 'giro', ho cercato una sorta di compromesso, rivolgendomi a una delle tante associazioni di volontariato cittadine che, settimanalmente, distribuiscono cibo e indumenti alle persone bisognose. In effetti, anche grazie a uno sguardo in rete, non mi è stato difficile iscrivermi ad una di esse proprio in giornata, inoltre anche bussando ad altre porte, nonostante il periodo difficile, non ho avuto problemi ad ottenere risultati concreti sotto questo profilo, anzi troppa grazia Sant'Antonio! In questa maniera circoscrivendo la faccenda in ambito settimanale anzichè giornaliero, pensavo proprio di aver trovato un accettabile compromesso fra la pancia e la psiche, avendo l'ennesima conferma che, in condizioni d'indigenza, almeno qui in Bologna, cibo e vestiario sono problemi risolvibili con relativa facilità anche senza il bisogno di ricorrere alle mense e ad organizzazioni come la Caritas, quello che è irrisolvibile è il problema di sbarcare il lunario pagando tasse, bollette e gabelle varie, come facilmente intuibile. Ma a parte il problema che la maggior parte degli alimenti che ti danno è costituita da generi rapidamente deperibili come pane, frutta e verdura (d'altronde capisco che in questi casi non si può fare decisamente i difficili), mentre personalmente preferirei, per ragioni ovvie di praticità e comodità, più alimenti a lunga conservazione come pasta, riso, biscotti secchi e scatolame, presenti in percentuale assai più ridotta, tanto più che vivendo da solo non riuscirò certo a smaltire tutto il pane, la frutta e la verdura che copiosamente mi ritrovo in casa, prima che divenga inutilizzabile, nè conoscendo altre persone a cui donarlo a mia volta, questo sarebbe comunque un problema relativo, una quisquilia. Poichè purtroppo, anche il solo fatto di ritrovarmi una sola volta alla settimana, a far la coda in mezzo a questa umanità dolente nell'attesa della mia spettanza, sta già nuovamente mettendo in crisi la mia psiche, mi sento di nuovo addosso quel senso di sconfitta ineluttabile e senza appello, schizofrenicamente scisso in 2 persone, quella che va a far la fila in mezzo ai poverelli per prendersi la sua spettanza alimentare e quell'altra che, in questo momento, è seduta in una biblioteca pubblica cittadina, in un ambiente di persone normali e rispettabili, a vomitare queste scempiaggini sul mio blog. Tutto nella norma! 

domenica 20 ottobre 2013

La generazione dell'ottanta.

Purtroppo non ho seguito con la dovuta attenzione gli altri 2 concerti che Radiotre ha trasmesso dalla Biennale Musica di Venezia, anche se quello di domenica 6 ottobre, con Les Percussions de Strasbourg, mi è parso alquanto lambiccato e discontinuo a livello di brani proposti, oltrechè parecchio accidentato sia per quanto concerneva il fallosissimo collegamento audio in diretta, sia a livello logistico, fra ritardi e spostamenti vari per ricollocare i musicisti da una sala all'altra (e a parte il fatto che, contrariamente a quanto affermato dai soloni di Radiotre, che favoleggiavano di 'tutto esaurito' a livello di pubblico, a ogni piè sospinto, giudicando a orecchio la consistenza uditiva degli applausi, non si aveva certo l'impressione di una folla oceanica, valendo ciò almeno anche per gli altri 2 concerti precedentemente trasmessi, ma si sa bene che qui tutto è relativo), la qual cosa per un concerto di musica contemporanea non è certo un bene, oltre che denotare preoccupanti carenze dal punto di vista organizzativo, mentre il concerto di lunedì 7, diretto da Andrea Pestalozza sul podio dell'Orchestra Regionale Toscana, mi è parso discreto ma non particolarmente esaltante. Ma è sul concerto di domenica scorsa, 13 ottobre, che ovviamente non ha nulla a che vedere con la rassegna veneziana, trasmesso da Milano, con l'Orchestra Filarmonica della Scala diretta da Gianandrea Noseda ed Enrico Dindo solista al violoncello, che mi vorrei soffermare con qualche banalissima riflessione. Innanzitutto aveva un gran bel programma, di quelli ahimè rarissimi, coi quali vado letteralmente a nozze, dedicato a 2 dei 4 compositori rappresentanti la cosiddetta generazione dell'ottanta, così detta per via del fatto che i suoi esponenti sono nati tutti intorno all'anno 1880, musicisti che hanno voluto affrancare l'Italia dall'egemonia del melodramma, contribuendo a rinnovare il panorama nostrano soprattutto nell'ambito della musica strumentale, vocale, da camera, orchestrale e al contempo proponendosi ognuno nella propria maniera di superare la tipica estetica del melodramma, nei loro lavori destinati al teatro lirico, aprendosi agli influssi di oltralpe e contribuendo a sprovincializzare il clima culturale nostrano, al contempo favorendo, sia pure con criteri pre-filologici, la riscoperta del nostro immenso patrimonio musicale soprattutto ma non solo del periodo barocco e tardo barocco, allora caduto praticamente nel dimenticatoio (c'è comunque da aggiungere che a fare da apripista nell'ambito della musica strumentale, vocale, da camera, si erano già in precedenza distinti compositori di vaglia come Giuseppe Martucci e Giovanni Sgambati, fortemente influenzati dal tardoromanticismo tedesco, per tacere dell'enorme contributo, non solo in ambito organistico di Marco Enrico Bossi, solo per fare qualche nome). Personalmente ho sempre avuto una particolare predilezione per queste 4 figure di musicisti che, per la cronaca, rispondono ai nomi di Alfredo Casella, Gianfrancesco Malipiero, Ottorino Respighi e Ildebrando Pizzetti, riservandomi, qualora superi il mio periodo difficile, di indagarne più a fondo le rispettive personalità, poichè soltanto in tempi molto recenti hanno ottenuto una considerazione critica più consona al loro intrinseco valore, oltre che una maggiore attenzione da parte del mercato discografico, con le ovvie benefiche conseguenze. Infatti ricordo fin troppo bene, ai tempi della mia gioventù, di quanto fosse estremamente arduo e frustrante reperire delle incisioni discografiche di questo tipo di repertorio, tra l'altro non sempre di livello artistico e qualità sonora ottimale, eccettuati i brani più arcinoti di Respighi, già allora reperibili in una pletora di edizioni, così come era difficilissimo ascoltare delle loro musiche, al di fuori delle stagioni sinfoniche delle allora esistenti 4 orchestre sinfoniche della Rai (di Roma, di Milano, di Torino e la 'Alessandro Scarlatti' di Napoli), per cui, rispetto ad allora, la conoscenza discografica delle loro musiche è senz'altro molto più facilitata oggidì, anche se ancora la loro opera non è stata sviscerata a fondo, questo non toglie che rispetto a 30 anni fa, siamo in un altro mondo. Ma torniamo al concerto di domenica scorsa, comprendente in apertura, la seconda delle 3 suite di antiche danze ed arie per liuto di Respighi, seguita dal concerto per violoncello e orchestra e, dopo l'intervallo, dall'ampia 2^ sinfonia di Alfredo Casella. Giustamente, durante il concerto e soprattutto nell'intervista concessa da Dindo nell'intervallo, di quanto il concerto per violoncello e orchestra di Casella, anticipi sorprendentemente gli analoghi lavori di uno Shostakovich, pur essendo stato composto molto tempo prima e precisamente fra il 1934 e il 1935, mentre il primo dei 2 concerti del compositore russo risale al 1959. Ma anche qualche radioascoltatore ha giustamente rilevato la cinematicità del carattere della 2^ sinfonia (dedicata da Casella al musicista rumeno George Enescu), pur essendo stata creata in un periodo in cui il cinema era ancora agli albori (1908/09), venendo peraltro diretta in concerto dallo stesso autore a Parigi alcune volte fra il 1910 e il 1911, cosa che lo indusse a revisionare il primo movimento proprio nel 1911 (la cui stesura originale è andata perduta), inoltre la partitura non venne edita, nè più Casella si peritò di riproporla al pubblico, per cui cadde nel dimenticatoio fino al 1991, quando venne riesumata. Singolarmente, per il terzo movimento, l'autore riutilizzò il secondo  movimento, ovvero quello centrale, della sua precedente sinfonia ripartita secondo il modello franckiano in 3 tempi (mentre la 2^ è suddivisa in 4 tempi più un epilogo), ossia la 1^, composta nel 1905/06, del quale evidentemente doveva essere particolarmente soddisfatto, ma riorchestrandolo interamente e allungandolo leggermente di una battuta (peraltro anche la 1^ sinfonia non venne a suo tempo edita, cadendo anch'essa nel dimenticatoio e venendo riportata alla luce soltanto pochi anni fa, nel 2009). Sempre riguardo alla seconda sinfonia, egli stesso dichiarò di averne composto il secondo movimento sotto l'influenza di Balakirev e Rimski-Korsakov, quel che è evidente è che la partitura, nel suo complesso, pur con un evidente influsso mahleriano (di Mahler Casella fu uno dei più strenui sostenitori) e rimandi stilistici non solo ai 2 compositori russi testè citati, ma anche a Scriabin e Rachmaninov e pur, anche in questo caso, sorprendenti anticipazioni shostakoviciane, denota già una propria personalità in certo incedere e mobilità ritmica, oltrechè in certe soluzioni orchestrali, già tipiche del Casella maturo. Insomma, si tratta di musica che, tornando al concerto in questione, ha dimostrato di avere tutti i numeri per catturare positivamente l'attenzione del pubblico e che ci si augura di veder eseguita sempre più spesso in ambito concertistico, facendola definitivamente uscire dall'oblio in cui era ingiustamente caduta (parziale eccezione il brano relativamente più celebre di Respighi), quanto vorrei vederli più spesso simili programmi di sala nelle stagioni concertistiche delle varie istituzioni musicali! Ce ne sarebbero di autentici tesori da riscoprire in tale ambito! L'ho già detto e lo ribadisco per l'ennesima volta, così come non mi stancherò mai di farlo ad ogni occasione! / Secondo alcuni, ai 4 compositori della cosiddetta generazione dell'ottanta, ci sarebbe da aggiungere un quinto nome e ovviamente non solo per ragioni anagrafiche, ovvero quello di Franco Alfano, musicista peraltro ragguardevolissimo e ancora in attesa di adeguata rivalutazione critica, almeno secondo me (la sua maledizione, se così si può affermare, è stata quella di essere principalmente noto per il completamento del finale della 'Turandot' di Puccini, per giunta conosciuto principalmente nella sua stesura finale, scorciata per volere o forse proprio per mano di Arturo Toscanini, nell'intento di essere il più fedele possibile ai frammenti manoscritti di Puccini, se non fosse che la prima stesura del completamento di Alfano, che purtroppo non conosco, sia ritenuta assai più moderna, originale e teatralmente più credibile di quella usualmente conosciuta, peccato che questa primigenia stesura abbia goduto di pochissime esecuzioni pubbliche. E' chiaro comunque che conoscere Alfano solo per il completamento di questo finale, costituisca un'immagine altamente riduttiva e limitativa, volendone giudicare la statura artistica nel suo complesso), solo che, in questo caso, mi cominciano a venire dei dubbi, nell'opportunità di collocarlo, ossia di accomunarlo, agli altri 4 compositori. Proprio perchè questi ultimi avevano, ognuno alla propria maniera, un atteggiamento di reazione e di superamento nei confronti dell'estetica melodrammatica, mentre al contrario proprio nel melodramma Alfano si mise in luce, dapprima nel solco della cosiddetta giovane scuola di stampo veristico, ma con forti ascendenze pucciniane ("Risurrezione", dall'omonimo romanzo di Lev Tolstoi), approdando soltanto in seguito a una sintesi originalissima e personalissima fra istanze melodrammatiche e una modernità al passo con quello che accadeva oltralpe ("La leggenda di Sakuntala", straordinario lavoro di estrema complessità timbrica e armonica, soprattutto nella sua versione originale del 1921, forse il capolavoro assoluto di Alfano, ma anche il lavoro grazie al quale fu prescelto proprio da Toscanini medesimo per procedere al completamento del finale della "Turandot" pucciniana, avendo in comune con quest'ultima l'ambientazione orientaleggiante, nel quale il musicista riesce a traghettare pienamente il melodramma nostrano, pur fra influssi straussiani, debussiani e raveliani, in una dimensione moderna perfettamente al passo coi tempi aliena da qualsivoglia provincialismo), arrivando successivamente a includere elementi neoclassici nella sua opera "Cyrano de Bergerac", dall'omonimo romanzo di Claude Rostand, nondimeno il nostro si è prodotto con risultati notevoli anche nel campo della musica strumentale, da camera, vocale (notevolissime le "Nuove liriche tagoriane" per soprano e orchestra) e sinfonica, ma purtuttavia arrivò a sviluppare la sua personalissima concezione di modernità per l'appunto partendo dal melodramma, anzichè porvisi in contrapposizione decisa come fecero Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi, nei loro lavori destinati ai palcoscenici teatrali, per cui non riterrei opportuno accostarlo a questi ultimi come qualcuno vorrebbe fare, mi sembrerebbe oltremodo fuorviante, ma questa è comunque una mia opinione personale. / Il concerto milanese di Noseda, con musiche di Respighi e Casella, mi sta inducendo, in questi giorni, ad ascoltare e anche riascoltare diversi dischi comprendenti musiche di questi autori, portandomi a fare una piccola scoperta che ritengo sorprendente e quindi meritevole di essere sottoposta all'attenzione altrui, ovvero l'elegia eroica per grande orchestra, composta da Casella nel 1916 alla memoria di un soldato morto al fronte della Grande Guerra e presentata in pubblico nello stesso anno, brano fra i più tesi ed estremi del compositore torinese, con frequenti dissonanze e passaggi dodecafonici, ma che si conclude, dopo toni concitati, in tempo lento, tranquillo apparentemente ma con un che di sospeso e angoscioso, caratterizzato, poco prima della fine, dall'emergere, come da misteriosa, remota, distanza, dal canto sommesso della tromba acuta su un tappeto di archi, enunciante l'inno nazionale "Fratelli d'Italia", chiaramente discernibile ma al contempo spoglio di qualsivoglia retorica, anzi con un che di sinistro, spettrale e al contempo suggestivo substrato, da cogliermi letteralmente di sorpresa, non avendo in quel momento ancora letto le note di commento del libretto interno del disco dove successivamente ne ho trovato conferma, rimanendo assolutamente stupefatto dalla bellezza del risultato complessivo, veramente degno di un genio, visto che di per sè il nostro inno nazionale è di una bruttezza assoluta, per cui riuscirlo, come fa qui Casella, a renderlo addirittura suadente, è qualcosa che ha assolutamente dell'incredibile, secondo me. Prova ne sia il fatto che, all'epoca, il pubblico in sala rimase silente al termine dell'esecuzione, come testimoniato da una cronaca del tempo del letterato e scrittore Bruno Barilli, il quale afferma che soltanto lui e alcuni amici letterati e musicisti, osarono applaudirlo timidamente, ma più per solidarietà verso il compositore che per reale comprensione, poichè nessuno dei presenti ne aveva recepito l'essenza, anzi per rianimarsi da tale silenzio tombale, si erano messi tutti a tossire e rumoreggiare. Tutto nella norma! Per la cronaca il brano in questione è contenuto in un cd della Naxos comprendente anche la 3^ sinfonia, interpretato dall'Orchestra Sinfonica di Roma, diretta da Francesco La Vecchia, di facile reperibilità, per cui se ci si vuole togliere la curiosità, basta poco e ne vale assolutamente la pena! / Purtroppo la notizia letta sulla rivista "Audio Review" di qualche tempo fa, relativa al ritorno della casa discografica Bis sul mercato nostrano e della riapertura del distributore Codaex, recentemente fallito, era una bufala, pazienza! / In questi giorni, stante le mie a dir poco disastrate condizioni economiche, ho installato sui miei computer, gli antivirus gratuiti, visto che anche quello è un lusso che non mi posso più permettere, ma fino a questo momento non me ne sento molto penalizzato, per cui spero di poter continuare tranquillamente come prima, a scrivere le mie facezie in questa sede. Se si potesse risolvere in maniera simile anche il resto, ma non chiediamo troppo alla sorte e cerchiamo di tenere botta in qualche maniera, in barba anche al clima metereologico uggioso quant'altri mai, che contribuisce a peggiorare il mio umore! Alla prossima!  

domenica 6 ottobre 2013

Tutto nella norma?

Certo è che apprendere, ieri sera, poco prima della diretta radiofonica da Venezia, del suicidio del regista Carlo Lizzani, gettatosi dal balcone della sua casa romana (il quale, se non ricordo male si è anche dedicato a suo tempo, occasionalmente, alla regia pure nell'ambito del teatro lirico), m'induce a farmi la solita domanda stupida senza risposta (purtroppo non è "The unanswered question" di Charles Ives): ma se anche le personalità illustri, le persone di successo, le persone realizzate, arrivano a gesti così estremi, qualsiasi sia il motivo scatenante, allora cosa dovremmo fare noi, comuni mortali, frustrati, complessati, incattiviti, senza alcuna prospettiva futura? D'accordo che non è il primo e non sarà nemmeno l'ultimo personaggio famoso a giungere ad atti di tal genere, mi viene in mente innanzitutto, rivolgendo il mio sguardo al passato, lo scrittore Cesare Pavese, che peraltro soffriva di frequenti crisi depressive, oppure il noto attore e imitatore Alighiero Noschese, pure lui soggetto a frequenti episodi depressivi e di sicuro ne sto dimenticando tanti altri, ho voluto soltanto menzionare i primi 2 che mi sono riaffiorati in memoria, per cui alla fine il tutto rientra stramaledettamente nella norma (mi viene anche da pensare, sia pure in tutt'altro ambito e limitatamente a Bologna, al suicidio di Roberto Cevenini, che è stato tra le altre cose, anche presidente del consiglio comunale di Bologna oltrechè probabile candidato sindaco della città, personaggio molto in vista e popolare in ambito locale e senz'altro il più presentabile -ovvero il meno peggio- fra i politici locali, lo ammetto pur non essendo mai stato fra i suoi estimatori, soprattutto gli rimproveravo il suo eccessivo presenzialismo e una certa tendenza alla ruffianeria), ma, domanda ancora più stupida e banale, non sarebbe un'occasione per riflettere seriamente e costruttivamente sulla deriva distruttiva che abbiamo intrapreso pervicacemente e baldanzosamente come collettività? Utopia, peccato che i cretini non solo, ovviamente, si guardano bene dal suicidarsi, ma casomai sono loro stessi a indurre le persone intelligenti e sensibili a farlo, tutto nella norma, no? Consolante il fatto, che il concerto in diretta radiofonica dalla Biennale Musica di Venezia, seguito poco dopo il tragico annuncio del suicidio di Lizzani, è stato complessivamente di buon livello, compresa la nuova composizione in prima assoluta di Claudio Ambrosini, "Fonofanie" per coro di voci bianche e orchestra, incorniciata nel programma di sala, non certo casualmente, da "Epifanie" per soprano e orchestra e da "Rendering" (elaborazione degli abbozzi della 10^ sinfonia di Schubert) di Luciano Berio. Persino i complessi del Comunale di Bologna in trasferta veneziana (coro di voci bianche e orchestra) si sono disimpegnati, con la sensibile direzione di Roberto Abbado e il valido apporto del soprano Valentina Coladonato, più che dignitosamente, la qual cosa non è affatto scontata, consolante è pure il fatto che un radioascoltatore, attraverso un sms, si sia dichiarato emozionato da questa bella musica, ciò non toglie che il clima meteorologico particolarmente uggioso di questi giorni, manco a farlo apposta, contribuisca a rattristare ancora di più la cupa, opprimente, nefasta, soffocante atmosfera di questo cosiddetto 'Bel Paese'. Tutto nella norma? Sì, purtroppo e come potrebbe essere altrimenti? / Il DAB di Radio Rai, ossia la radio digitale terrestre, ha da qualche giorno iniziato a irradiare, qui a Bologna, i suoi programmi, attraverso lo standard DAB+, tecnologicamente superiore al vecchio DAB iniziale, incredibile!

sabato 5 ottobre 2013

Percussioni gloriose.

Sofia Gubaidulina fa parte di quella schiera di compositori aventi la rimarchevole capacità di mantenere una forte immediatezza espressiva, pur senza rinunciare alla complessità del linguaggio, nè tantomeno d'indulgere in ruffianerie alla maniera di un Giovanni Allevi, tanto per fare un nome a caso, sa coniugare a meraviglia ricerca ed espressività, la sua musica insomma è di quelle che parlano al pubblico, che non si perdono in masturbazioni narcisistiche sterili ed autoreferenziali, come gran parte delle composizioni di un Sciarrino o dell'ultimo Nono. Se ne è avuta l'ennesima dimostrazione nel concerto radiotrasmesso iersera, nell'ambito della Biennale Musica di Venezia, dove si è avuta la prima italiana di una sua composizione, "Glorious percussions", per percussioni e orchestra, originariamente commissionatela dall'orchestra sinfonica di Goeteborg diretta da Gustavo Dudamel, sorta di lungo poema di grande intensità drammatica, qui eseguito da Les Percussions de Strasbourg accompagnate dall'orchestra de La Fenice ben diretta da John Axelrod. Trovo quindi alquanto eccessivi i rilievi fatti da Mario Messinis durante l'intervallo, con osservazioni un po' troppo da musicologo supercilioso, pur parzialmente condivisibili, riguardo al fatto che la ricerca timbrica della Gubaidulina emerga meglio nelle sue composizioni da camera, mi sembra che questi soloni della musicologia abbiano sempre un po' troppa puzza sotto al naso, riguardo alle musiche che riescono a mantenere una evidente pregnanza espressiva, tanto più essendo cascato in una clamorosa svista, quando ha affermato che questa composizione le era stata commissionata dall'orchestra di Chicago diretta da Solti, tra l'altro defunto diversi anni fa, sottintendendo che sia scesa a qualche compromesso per accontentare tali committenti ed accusando la composizione di qualche squilibrio formale, confondendola decisamente con la terza sinfonia di Lutoslavski, quella sì commissionata da Solti e dal complesso di Chicago, nei primi anni '80, brano costituente la seconda parte del concerto veneziano, ben diretto anch'esso ma eseguito dall'orchestra de La Fenice, con qualche debolezza e smagliatura soprattutto nella sezione degli ottoni. Quel che mi sembra evidente che, comunque, il lavoro della Gubaidulina non sfigurava affatto con quello di Lutoslavski, caratterizzato da sezioni di alea controllata pur nell'ambito di una salda tenuta formale, anzi ne evidenziava il tratto comune di saper parlare al pubblico, come ho già detto, pur adottando un linguaggio complesso e non facile, per cui direi che il premio conferito, poco prima dell'inizio del concerto, alla compositrice russa, sia ben meritato, una volta tanto. Purtroppo per parecchi versi deprimenti i ricordi dello stesso Messinis riguardo alle edizioni passate della Biennale Musica, con particolare riferimento alla cosiddetta 'Biennale del dissenso' avutasi nei primi anni '70, dai quali si aveva l'ennesima conferma di quanto la sporca politica nostrana, abbia sempre esercitato il suo nefasto influsso nell'andamento delle manifestazioni culturali in genere, fin dal tempo dei tempi, nel nostro sciaguratissimo paese e che, per entrare nella cerchia degli addetti ai lavori, la condizione principale sia quella di possedere una dannatissima tessera di partito, il chè significa ovviamente che tutti i nostri 'illustri' critici e musicologi, compreso lo stesso Messinis, per poter esercitare il loro mestiere, si son dovuti svendere a qualche carrozzone politico. Per carità, è la scoperta dell'acqua calda, è tutto nella norma, però che tristezza! Aveva ragione quel lettore che, scrivendo al 'Carlino' una quarantina di anni fa, affermò che mentre ai tempi di Mussolini, per lavorare, occorreva la tessera del 'Fascio', adesso, in democrazia, per lavorare, ti necessita un 'Fascio' di tessere! Sacrosante parole! - P.S.: la rivoluzione è diventata come il sesso, ovvero se ne parla tantissimo, anche troppo, pur di non metterla mai in pratica, anzi semmai lo scopo effettivo, è quello di svuotarla completamente di significato, non vi sembra?