Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
venerdì 10 giugno 2011
La musica e la sua riproducibilità.
I rapporti fra la musica e le apparecchiature atte alla sua riproduzione sonora, sono sempre stati controversi e contraddittori. Non per niente, come affermato dal direttore e pianista argentino Daniel Barenboim, la musica è la più accessibile e al contempo, la più elusiva fra le forme artistiche. E' la più accessibile, in quanto per fruirne non necessita di conoscenze specifiche, nè tantomeno di conoscenze linguistiche, in quanto linguaggio universale, capace di penetrare nel profondo dell'animo umano, senza barriere, ma è anche la più elusiva, in quanto non si può nè vedere, nè tantomeno toccare, ma solo ascoltare, inizia a esistere quando principiano i primi accordi e cessa quando si spegne l'eco dell'ultimo suono, è un divenire continuo, ossia nel lasso di tempo che intercorre fra il suo inizio e la fine è perennemente mutevole, è ripetibile, ma mai nella stessa identica modalità, a meno che, forse, non sia riprodotta da qualche macchinario, anzichè eseguita da degli esseri umani in carne e ossa, ha la caratteristica di potere esprimere più sensazioni contrastanti contemporaneamente così come di esprimere degli stati d'animo impossibilmente o difficilmente descrivibili a parole. La partitura è una rappresentazione grafica di segni espressivi che in sè sono morti, se non si è in grado di tradurli in suoni. Per sua stessa natura la musica è un qualcosa di impossibile a descriversi usando le parole; come ha affermato Barenboim, si può parlare intorno alla musica, ma mai su di essa. Provate a leggere una qualunque analisi musicologica di un certo brano musicale, dopodichè se passerete alla fase dell'ascolto, vi accorgerete che nemmeno l'analisi più dotta e minuziosa vi può dare un'idea effettiva della sensazione che detto brano produrrà su di voi come ascoltatore. Aggiungasi che spesso, le guide all'ascolto in cui ci si può imbattere sono di una noia mortale, poichè spesso redatte da presuntuosi che credono di poter rendere adeguatamente a parole un qualcosa di intrinsecamente indescrivibile, finendo solo con lo sbrodolarsi addosso e la frittata è completa! Da ciò se ne potrebbe dedurre che non abbia alcun senso scrivere di argomenti musicali, ma io dico che se si è ben consapevoli di tutto ciò, si può ugualmente aiutare l'appassionato più o meno evoluto, così come invogliare il neofita inesperto ad esplorare questo universo così complesso ed affascinante, semplicemente trattando l'argomento in maniera indiretta, ossia per l'appunto parlandoci intorno. Affermazioni non troppo dissimili da quelle di Barenboim, le ha fatte anche colui che è stato senz'altro uno dei divulgatori musicali più grandi di tutti i tempi, se non il più grande in assoluto, ovvero il compositore, direttore e pianista statunitense Leonard Bernstein (1918-1990), autore di un gran numero di bei libri sull'argomento (di cui in Italia, a suo tempo, sono usciti soltanto un paio di titoli, ovvero "La gioia della musica" e più recentemente, "Giocare con la musica") in cui oltretutto fa mostra del suo famoso inarrivabile senso dell'umorismo. Inoltre Bernstein è stato anche l'artefice di trasmissioni televisive epocali, che hanno contribuito a rendere più accessibile la musica colta alle persone comuni, tra cui la mitica serie degli "Young People's Concerts", realizzati tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '70 e poi proseguita, ma con molto minore successo, con altri direttori d'orchestra. Anche il direttore nostrano Riccardo Muti, ha dimostrato di avere, in occasione di alcune prove generali con l'orchestra, o di prove al pianoforte coi cantanti di avere delle notevoli capacità divulgative, peccato solo che non le sfoggi più spesso. Quindi è comunque possibile fare del bene alla causa musicale, anche facendo della divulgazione orale e scritta. Ma proprio in virtù della peculiarità dell'arte dei suoni, non c'è per l'appunto da meravigliarsi che la relazione fra essa e i mezzi studiati per riprodurla sonicamente siano particolarmente complessi. Come a suo tempo ha affermato in un'intervista il compositore e direttore d'orchestra francese Pierre Boulez, il rapporto tra un'opera musicale e il mezzo atto alla sua riproduzione sonora per eccellenza, ossia il disco, è simile a quello che intercorre fra un capolavoro dell'arte pittorica e la sua riproduzione su una stampa, ovvero, per quanto quest'ultima ti possa consentire di cogliere dei dettagli nascosti che ti potrebbero sfuggire al cospetto del quadro autentico, ovvero per quanto accurata possa essere, non ti potrà mai dare una visione d'insieme così compiuta, come quando si osserva il quadro autentico, ovvero non ti potrà suscitare le stesse sensazioni. Il disco è in sè qualcosa di innaturale in quanto tende a cristallizzare il momento esecutivo e a rendere ripetibile all'infinito, qualcosa che in natura è intrinsecamente irripetibile come il divenire, ossia il susseguirsi dei suoni. Si tenga conto che l'anno ufficiale dell'inizio dell'era della riproduzione sonora è il 1877, con l'invenzione del fonografo di Thomas Alva Edison. Prima di quell'epoca gli unici modi di ascoltare la musica erano o quello di andarsela a sentire nei luoghi deputati, ossia teatri e sale da concerto, o in mancanza di questi, in piazza, con la banda municipale, o altrimenti, se si aveva la fortuna di essere dei dilettanti provetti, di suonarsela per proprio conto in casa, da soli o assieme ad altri amici, a meno di non possedere qualche marchingegno automatico tipo carillon o altro, intrinsecamente limitato quanto a varietà di sonorità, per ovvi motivi. Esiste anche un'ampia letteratura nostrana che testimonia che, verso la fine dell'800, il suonare musica per diletto era estremamente diffuso anche da noi, non solo fra le classi sociali più elevate, ma anche fra la piccola e media borghesia, come testimoniato anche in romanzi di scrittori allora in gran voga, tipo Antonio Fogazzaro e Giovanni Verga. Poi, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, man mano che il progresso tecnologico nel campo della riproduzione sonora avanzava aumentando al contempo la sua diffusione, di tutto questo si è perso traccia, purtroppo, in misura maggiore qui da noi, rispetto a quanto avvenuto all'estero. Insomma, una delle conseguenze dell'introduzione della possibilità di riprodurre i suoni, ossia di ascoltare la musica senza doverla suonare o andarsela a cercare nei luoghi deputati, è stata la progressiva sparizione di questo passatempo diffuso, che era il dilettantismo musicale, il che è comunque una grave perdita e riduce la fruizione della musica a un qualcosa di passivo, di superficiale, mentre invece sarebbe proprio il caso che ci fosse un'inversione di tendenza. Per fortuna il concetto di riproducibilità sonora della musica ha avuto anche delle conseguenze positive, delle quali mi riprometto di riparlare in seguito. A risentirci.
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