Non crediate che il cd sia l'unico supporto audio ad abbisognare di trucchetti e aggiustamenti vari per rendere al meglio, anche il vinile ne ha bisogno, poichè se fosse allo stato brado, sarebbe ben scadente come fonte sonora. Due i principali punti deboli: scarsa separazione stereo e risposta in frequenza. Fateci caso ai valori dichiarati nei dati tecnici delle testine fonografiche, relativi alla separazione fra i canali, al massimo raggiungono i 35 decibel quando va bene e limitatamente alla frequenza di 1khz, in questo inferiori persino ai registratori a cassette; col digitale, si superano facilmente i 100 db, tanto per dare un'idea. Questa deficienza di base da parte delle testine fonografiche porterebbe di fatto a un palcoscenico sonoro scadente, se non fosse corretta, in fase di masterizzazione, aumentando elettronicamente la separazione dei canali, in maniera da compensarla, non facendola così avvertire all'ascolto. Più complesso il trucco ideato per ovviare all'intrinseca ristrettezza della risposta in frequenza, ovvero la cosiddetta curva di equalizzazione. Nessun volume ha preso seriamente in esame, fino ad ora, questo argomento che pure è d'importanza affatto trascurabile. Credo che questo espediente sia stato adottato, per la prima volta, con l'avvento della tecnica d'incisione elettrica, intorno alla metà degli anni '20, poichè all'epoca dell'incisione acustica, la tipica risposta in frequenza di un disco era compresa, salvo eccezioni, fra i 200 hz e i 2khz, mentre con l'introduzione del sistema elettrico si raggiunsero di botto i 4-5khz, arrivando già all'inizio degli anni '30 a una gamma compresa fra gli 80hz e gli 8-9khz. Il problema è costituito dal fatto che le ondulazioni del solco a bassa frequenza sarebbero troppo ampie, occupando non solo troppo spazio sulla facciata del disco, ma anche rendendo impossibile il tracciamento del solco da parte di qualsivoglia testina, mentre all'opposto per l'estremo acuto le modulazioni si riducevano in misura tale da mettere in difficoltà il tornio incisore e da non essere avvertite dalla testina fonografica. Occorreva dunque inventarsi un espediente che agisse in maniera speculare, ossia contraria, in maniera da ottenere una risposta in frequenza pressochè piatta, in fase d'incisione. Questo espediente si chiama per l'appunto curva di equalizzazione e pur essendo esistita in innumerevoli varianti, identico ne resta il principio in fase di funzionamento. Al momento dell'incisione, per facilitare il lavoro del tornio, così come il tracciamento, ossia la riproduzione, da parte della testina fonografica, del prodotto finito, le basse frequenze vengono progressivamente attenuate, man mano che si scende, in maniera da contenere l'ampiezza della modulazione del solco, mentre al contrario si esaltano via via quelle progressivamente più acute, in maniera da aumentare l'ampiezza della modulazione del solco. In fase di riproduzione avviene l'esatto contrario e qui entra in ballo il cosiddetto preamplificatore fono, integrato in un amplificatore o separato che sia, che oltre ad elevare di livello il debole segnale della testina, svolge attraverso una curva interna di equalizzazione speculare ovvero contraria, questo compito, cioè esaltare i bassi e attenuare gli acuti, al fine di ottenere un segnale in uscita con una risposta in frequenza teoricamente piatta. Dico teoricamente, poichè la piattezza dipende anche dalla bontà progettuale e costruttiva del dispositivo medesimo. Nel corso degli anni si sono avute svariate curve di equalizzazione (NAB, CCIR, RIAA, WESTREX, DECCA/LONDON, ECC.), tanto che un preamplificatore della Marantz della metà degli anni '50, pare ne contasse la bellezza di 36! Soltanto nel 1956, si arrivò a una standardizzazione mondiale, adottandosi unicamente la R.I.A.A. (Recording Industry Association of America), che è quella attualmente in uso anche nei preamplificatori fono. Se si cerca un preamplificatore fono che disponga anche di almeno una parte delle precedenti equalizzazioni, o lo si pesca nell'usato, oppure si cerca di reperirne faticosamente uno di produzione attuale, dal prezzo generalmente stratosferico, visto che generalmente simili apparecchi sono prodotti da piccole case artigianali o semi-industriali, in pochi esemplari di scarsissima reperibilità. In alternativa, ci si può servire di un normale equalizzatore, cercando di compensare le differenze approssimativamente ad orecchio. Quel che è certo è che nessun esperto ha sviscerato a fondo l'argomento, non stilando tabelle che indichino chiaramente quali curve di equalizzazione venissero adottate dalle singole case discografiche, nè tantomeno discettando e comparando le differenti caratteristiche soniche di queste curve. Tantomeno qualcuno ha pensato di realizzare un programma per computer che ne simuli, quanto meno, il maggior numero possibile. In effetti, mi sono sempre chiesto come si comportino i tecnici esperti nei restauri sonori e riversamenti in formato digitale, di vecchie lacche a 78 giri e di vetusti vinili a 33 giri, visto che, presumibilmente, dovrebbero essere ben consapevoli della problematica. Mi auguro che prima o poi tale lacuna venga colmata. Tornando per un attimo alla questione della separazione stereofonica, faccio notare che il massimo valore nel dominio analogico viene raggiunto alla frequenza di 1khz, diminuendo progressivamente man mano che ci si avvicina agli estremi della gamma udibile, rimanendo al contrario più elevato e costante nell'arco dell'intero spettro delle frequenze, nel dominio digitale.
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