Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
martedì 31 maggio 2011
Post scriptum.
Purtroppo, anche se nelle mie intenzioni, ogni volta che tratto un qualsivoglia argomento, vorrei essere esauriente e rigoroso, mi capita nelle mie esposizioni di dimenticare alcune cose, che per onestà e dovere di completezza, riferisco in questa sede. Inoltre, stante la limitatezza dei mezzi a mia disposizione, ossia libri, riviste, giornali, note di commento tratte dai libretti interni allegati ai vari supporti audiovisivi, della cui reperibilità non sempre mi rammento prima di stilare i miei testi, per tacere della mia memoria, oltrechè beninteso delle mie opinioni e impressioni personali, che sono fallibilissime, a volte soltanto a posteriori, mi rendo conto di essere venuto meno al rigore espositivo che mi prefiggo sempre, innanzitutto per onestà intellettuale nei confronti di chi mi dovesse leggere. C'è da dire, inoltre, che sovente, quando confronto le mie poche fonti a disposizione, mi accorgo di quanto spesso anche gli stessi esperti cadano in errori e contraddizioni anche grossolane, il che, se da un lato mi consola in quanto non addetto ai lavori, dall'altro mi rende a volte difficoltoso discernere le varie fonti che mi ritrovo sotto il naso. E' per questo che auspico sempre che qualche benevolo addetto ai lavori si degni di prestarmi un minimo di attenzione, mandandomi qualche suo commento, possibilmente critico in maniera costruttiva nei miei confronti, al fine di aiutarmi a correggere il tiro, poichè al momento, in mancanza di riscontri, sto navigando praticamente a vista; va da sè che sarebbero altrettanto graditi anche i commenti di neofiti e appassionati, perchè spesso mi chiedo se quello che scrivo abbia un senso, se sia interessante o meno, oppure se sia un cumulo di idiozie; insomma se ci sia qualcosa di salvabile in quello che faccio. Avvertendo molto il senso di responsabilità nei confronti di eventuali errori, vorrei essere aiutato a migliorare. Adesso, dopo avervi ammorbato con questo indecente pistolotto, vengo alle aggiunte e integrazioni che volevo fare, sempre a proposito di quanto detto sulle sinfonie nn.11-12 di Shostakovich. Cominciando dall'11°, sono riuscito a rintracciare i titoli di altri canti rivoluzionari utilizzati in questa composizione che elenco di seguito, assieme a quelli già menzionati, aggiungendo anche le indicazioni agogiche di ciascun movimento: 1° mov. (Adagio): "Ascolta, ascolta", "Il prigioniero", "Oscura è la notte"; per il 2° mov. (Allegro-Adagio-Allegro-Adagio) vale sempre quanto già scritto in precedenza, per cui non sto a ripetermi; 3° mov. (Adagio): "Voi cadete come vittime", "Salute a te, parola senza impedimenti, salute a te, libertà"; 4° mov. (Allegro ma non troppo-Allegro-Moderato-Adagio-Allegro): "Possiate infuriarvi, o tiranni", "Varsovienne". Quindi, alla fine, su 9 canti rivoluzionari utilizzati in questa sinfonia, sono riuscito a identificarne 7; spero che qualcuno mi aiuti a identificare i rimanenti 2. In più in questo movimento finale viene citato un frammento di un'aria, ossia "Perchè le notti tempestose sono così difficili da sopportare" tratta dall'operetta "Luci che brillano" ('51), di Georgy Sviridov, protetto di Shostakovich. Inoltre la parola Tocsin, presente nel sottotitolo di questo movimento, sta a indicare il nome di un giornale progressista che giocò un ruolo importante nel focalizzare un obiettivo per la rivoluzione russa, nella sua fase iniziale. La parola originale russa da cui deriva, nabat, denota anche un tipo particolare di gong, utilizzato nell'antica Russia; penso che a questo strumento si richiamino le campane a martello indicate nel movimento. Per giunta, a proposito degli eventi del 9 gennaio 1905, ho rintracciato un sintetico resoconto storico, all'interno delle note di commento contenute in un libretto allegato a un cd, che differisce, in parte, da quello che ho già menzionato in precedenza, per cui, non essendo uno storico, mi limito a riportarlo così com'è, in attesa di ulteriori verifiche: "La guerra fra Russia e Giappone scoppiata nel 1904, aveva fornito a Lenin, l'anno successivo, un'occasione unica di minare le già deboli fondamenta del potere zarista. Esasperati per la pressione che esercitava su di loro la guerra e per un'inflazione galoppante, i lavoratori di San Pietroburgo cominciarono ad agitarsi. Finalmente, nella domenica del 9 gennaio 1905 (secondo il calendario giuliano, ovvero il 22 secondo quello occidentale), venne organizzata una marcia per presentare allo zar una richiesta di aiuto. Una folla di 200.000 lavoratori disarmati, aventi con sè icone e ritratti dello zar tenuti in alto, partecipò alla marcia. Appena arrivarono nella piazza antistante il Palazzo d'Inverno, l'esercito aprì il fuoco, lasciando delle centinaia, se non delle migliaia di morti. Questa fu la cosiddetta tragedia della "Domenica di sangue", che scatenò la prima rivoluzione russa ed ebbe come risultato la propagazione dei moti di ribellione dei lavoratori, per tutta la Russia." La versione che ho raccontato in precedenza, l'ascoltai anni fa su Radiotre, poco prima dell'inizio di un concerto in collegamento diretto dai Proms di Londra, che iniziava proprio con l'arrangiamento orchestrale della Dubinushka di Rimski-Korsakov, a cui faceva seguito, senza intervallo alcuno, proprio la sinfonia n.11 di Shostakovich, il tutto sotto la direzione d'orchestra di Michael Tilson-Thomas, con l'orchestra filarmonica di Londra. Spero quindi che qualcuno mi aiuti a fare chiarezza anche su questo punto. Riguardo invece alla sinfonia n.12, di cui peraltro sono in catalogo diverse incisioni discografiche, a differenza di quella da me indicata non più in circolazione almeno come titolo singolo, essendomi successivamente accorto di avere omesso le indicazioni agogiche dei singoli movimenti, eccomi pronto a rimediare: 1° mov.: Moderato-Allegro; 2° mov.: Adagio; 3° mov.: Allegro; 4° mov.: L'istesso tempo. Sperando di non essere risultato troppo tedioso, rimando il proseguimento del discorso intorno alla musica colta rivoluzionaria a una prossima volta.
lunedì 30 maggio 2011
Restaurazione anzichè rivoluzione.
Nella 12° sinfonia, Shostakovich non fa più uso di canti rivoluzionari, nè come base tematica e nemmeno come semplice citazione, ma utilizza motivi interamente di suo pugno. Eppure, sarà perchè il tema della rivoluzione d'ottobre era già stato da lui trattato in altre composizioni, in più non essendoci nemmeno l'influsso di qualche onda emotiva causata da eventi tragici come i fatti d'Ungheria del '56, questa composizione appare decisamente meno sentita dall'autore, senza alcun segno dei tormenti personali dell'artista, caratteristici della sinfonia che precede l'11°, ovvero la 10°, iniziata nel 1948, quindi poco dopo aver subito la seconda purga ideologica ed essere stato costretto per la seconda volta a fare pubblicamente autocritica, ma terminata ed eseguita nel 1953, l'anno della morte di Stalin (si dice che il 2° movimento di questa sinfonia, breve e dal carattere rabbioso, costituisca un ritratto musicale del dittatore georgiano, ma Shostakovich ha sempre negato pubblicamente tutto ciò), tormenti che, probabilmente qualche eco, sia pur flebile, avrebbero fra le pieghe dell'11°. Per tacere del tormentato 8° quartetto per archi, pieno di autocitazioni, uno dei suoi migliori lavori da camera. La 12° sinfonia appare come il lavoro più retorico e pomposamente celebrativo di Shostakovich e forse il fatto di non seguire un preciso programma accentua la sensazione di episodicità e di minor coesione formale di questa musica. Il 1° movimento costituisce un pò una singolarità nell'ambito delle musiche di Shostakovich, poichè è in forma regolare di allegro-sonata, aprendo con un ampio tema meditativo dal carattere folclorico ma interamente di pugno del compositore, prima del brusco avvio dell'allegro propriamente detto; questo movimento gioca sui contrasti di 2 temi contrapposti che ricompaiono anche negli altri 3 movimenti, il che se da un lato cerca di dare unitarietà alla composizione, evidenzia anche una certa povertà tematica. A questo movimento in forma sonata, fa seguito un adagio meditabondo ed espressivo, in cui è rilevabile un prosciugamento delle sonorità orchestrali rispetto agli altri movimenti che sembrerebbe preludere al tardo stile di Shostakovich, ma anche qui il materiale tematico appare scarno e nuovamente basato sui temi già uditi nel 1° movimento; peraltro, questo mi sembra forse il movimento meno artefatto di tutta la sinfonia, in cui qualche atmosfera desolata e assai poco celebrativa faccia capolino, almeno a tratti. Il 3° movimento risulta incredibilmente breve, visto l'episodio storico a cui si riferisce, risultando poco più che una sbrigativa colonna sonora banalmente descrittiva che sfocia in un ultimo movimento considerato uno dei finali più deludenti fra quelli realizzati dal compositore, con un tema d'apertura poco incisivo e riducendo le battute finali a una costante ripetizione di un motto banale, che ne rende un pò troppo retorico e pomposo il tono giubilante e ottimistico, facendo addirittura temere che il compositore avesse definitivamente perso la sua vena creativa e si fosse inaridito completamente, cosa che, per fortuna, verrà smentita dalle 3 sinfonie successive e da altre sue opere del tardo periodo. Eppure anche questo finale così apparentemente vuoto ed enfatico, qualche sprazzo di sinistra inquietudine lo rivela, secondo me, con un'interpretazione adeguata. Perchè malgrado tutti gli innegabili difetti, le convenzionalità e gli eccessi di retorica, questa musica reca nonostante tutto il forte segno della personalità dell'autore, per cui se l'interpretazione di questa partitura è misurata ed accorta, alla fine la pagina ottiene comunque un buon effetto finale. Anzi mi azzardo a dire che se, anzichè Shostakovich, l'avesse scritta un altro compositore di minor rilevanza, probabilmente il giudizio finale sarebbe stato assai meno severo. Secondo me, nell'interpretare le sinfonie di Shostakovich a più alto rischio di retorica come questa, gli interpreti occidentali partono teoricamente avvantaggiati rispetto a quelli di area slava, proprio perchè, in virtù della provenienza geografica, sono portati ad avere un atteggiamento più critico e distaccato e quindi a non enfatizzare più di tanto gli eccessi di retorica di questa musica, a tutto vantaggio della resa espressiva nel suo complesso, mentre gli interpreti di area slava, proprio in virtù della loro maggiore idiomaticità intrinseca e visceralità, possono trovarsi in maggiore difficoltà a dominare questi eccessi di enfasi, col risultato di evidenziare ancora di più le debolezze strutturali di queste musiche, a discapito della resa espressiva nel suo insieme. Ovviamente possono esistere delle eccezioni a questa regola, ma, guarda caso, una delle migliori esecuzioni, se non la più bella in assoluto, della 12° sinfonia che ho ascoltato è quella con l'orchestra della Sala Reale dei Concerti di Amsterdam, diretta da Bernard Haitink e incisa ottimamente nella prima metà degli anni '80, dalla Decca, accorta e misurata nella scelta delle agogiche e degli accenti, con tempi più ampi della media (e con un minutaggio complessivo di circa 43', contro i 36-37 usuali), eseguita, guarda caso, da interpreti olandesi, ovvero occidentali. Purtroppo temo che questa incisione non sia più disponibile come cd singolo, ma soltanto all'interno del cofanetto che raccoglie tutta l'integrale sinfonica di Shostakovich, diretta da Haitink. Concludendo, si tratta comunque di un brano che merita l'ascolto e tutt'altro che indegno di essere eseguito pubblicamente nelle sale da concerto, anche più spesso di quanto non avvenga già: come ho già detto, se tutta la cosiddetta brutta musica da cui siamo, volenti o nolenti, aggrediti al giorno d'oggi, fosse di livello anche solo lontanamente paragonabile alla 12° sinfonia di Shostakovich, ci sarebbe da stare molto più allegri. Purtroppo, ahimè, le cose stanno ben diversamente!
Una sinfonia assai poco rivoluzionaria.
Subito dopo avere composto l'11° sinfonia Shostakovich scrisse: "L'attività creativa è infruttuosa se lo scrittore, il pittore e il compositore, non sono fortemente in sintonia con la vita del popolo. Soltanto coloro che percepiscono i battiti del cuore della gente e lo spirito del tempo possono veramente dare espressione ai pensieri del popolo. Nessun grande lavoro di arte realistica è possibile a prescindere da queste condizioni." E mentre era impegnato nella realizzazione della 12°, disse durante un discorso pubblico all'Unione dei Compositori Sovietici: "Il ruolo positivo della musica a programma nell'educazione musicale è ben noto, essendo questa musica facilmente comprensibile alle masse di ascoltatori." Attenzione però: il burocratese con cui Shostakovich si esprime nei suoi discorsi e nei suoi scritti pubblici è sempre da prendersi con beneficio d'inventario, non corrispondendo, se non, nel migliore dei casi, che in minima parte, ai suoi reali pensieri e intendimenti. In privato, il più delle volte, se ne vergognava, tanto più che molti di questi discorsi, scritti, dichiarazioni pubbliche, non erano in realtà farina del suo sacco, ma venivano stilati da altra mano e da lui soltanto firmati o sottoscritti, spesso senza nemmeno leggerli, facendo ciò solo per motivi di opportunità politica, se non di mera sopravvivenza, cosa di cui ancora oggi, troppi musicologi anche occidentali, sembrano non tenere conto alcuno, nell'analisi della sua vita e delle sue opere, rischiando così di giungere a conclusioni affrettate e fuorvianti. Il compositore aveva già subito l'onta di due purghe ideologiche, una del '35, dopo il clamoroso successo dell'opera "La Lady Macbeth del distretto di Mcensk" e l'altra nel '48, che lo avevano costretto a smussare il suo stile, confinando le sperimentazioni armoniche e le riflessioni più intime alla musica da camera, alla quale il regime sovietico prestava assai minore attenzione. Ma nemmeno durante il disgelo krushoviano, la sua esistenza sarà del tutto priva di grane, se pensiamo ai problemi di censura in cui incorrerà con la 13° sinfonia, del 1963, per via dei testi su cui è basata, il cui autore è il poeta ex dissidente Yevgeni Genia Yevtushenko, soprattutto per quello del 1° movimento, rievocante l'eccidio antisemita compiuto dalle truppe sovietiche nella fossa comune di Babi Yar. Insomma, così come gli scritti ufficiali di Shostakovich andrebbero letti fra le righe e i suoi discorsi pubblici presi con le molle, così gran parte della sua musica va valutata andando ben oltre la superficie, alla ricerca dei significati più reconditi che si nascondono fra le pieghe delle note, ben diversi da come possano risultare a un'analisi frettolosa. Come ho già detto, riguardo all'11° sinfonia, ci sono giudizi contrastanti sul fatto che vi sia un'eco dei tragici fatti ungheresi; secondo il discusso musicologo Solomon Volkov (coautore di una celeberrima e discutibilissima autobiografia sul compositore) e i suoi seguaci, sarebbe in realtà quest'ultima la molla che avrebbe fatto scattare l'ispirazione al compositore. Perfino il figlio del musicista, il direttore d'orchestra Maxim Shostakovich, solitamente in disaccordo con le idee revisioniste di Volkov sui lavori musicali di suo padre, ha ricordato che, durante la prova generale dell'11°, fece a Shostakovich questa domanda: "O padre, e se t'impiccassero per tutto questo?" Altri ritengono invece che, dato che fra i 9 canti rivoluzionari ivi utilizzati non ve ne è alcuno di ungherese, questa tesi non abbia alcun valore. Ma come si fa a dirlo con tale certezza, quando si ha a che fare con l'opera di un simile artista, aduso a dissimulare abilmente i suoi reali intendimenti, adoperando svariati stratagemmi? Il rischio di cadere nel luogo comune sbrigativo con Shostakovich, sta dietro l'angolo, per cui occorre sempre una valutazione attenta nel giudicare questo musicista. Sono riuscito a identificare almeno 3 dei 9 canti rivoluzionari da lui utilizzati in questa sinfonia: nel 1° movimento ne utilizza 2, precisamente "Slushai, slushai" ("Ascolta, ascolta") e "Arestant" ("Il prigioniero"), mentre quello alla base del 3° movimento s'intitola "Vy zhertvoyu pali" ("Voi cadete come vittime"), è un canto proprio dell'anno 1905, dall'andamento di marcia funebre, che venne intonato da Lenin e compagni in esilio, quando gli arrivò la notizia dei tragici fatti del 9 gennaio di quell'anno; questo stesso canto rivoluzionario fu intonato anche durante i funerali dello stesso Lenin. Nel 2° movimento, il compositore prende 2 temi da una sua precedente opera, ovvero i 10 poemi corali su testi rivoluzionari, per coro misto a cappella, op.88 (1951) e precisamente all'interno di quest' opera, dal gruppo di 6 pezzi intitolato "Il 9 gennaio". I 2 temi sono presi rispettivamente da "Obnazhite golovy" ("Scopritevi il capo") e da "Goy ty, tsar nash, batyushka" ("O tu, nostro zar, piccolo padre"), quest'ultimo nella prima parte del movimento, i cui primi versi recitano: "O tu, nostro zar, piccolo padre/Guardati intorno/La vita è impossibile per noi a causa dei tuoi servitori,/contro i quali siamo senza aiuto." Di questa sinfonia, terminata dal compositore il 4 agosto del '57 nella sua dacia affacciata sul golfo di Finlandia, esiste come già detto anche una riduzione per 2 pianoforti, realizzata dal compositore ed arrangiatore Mikhail Meyerovich su autorizzazione del medesimo Shostakovich, ed eseguita poco tempo dopo alla Casa dei Compositori di Mosca. Certo è che il divario qualitativo fra l'11° e la 12° sinfonia appare evidente anche a un primo ascolto, pur non essendo personalmente d'accordo con certi drastici giudizi apposti da alcuni addetti ai lavori. La 12° sinfonia del 1961, porta la dedica "Alla memoria di Vladimir Ilich Lenin" e sul frontespizio della partitura reca l'iscrizione "L'anno 1917". Analogamente all'11°, fu scritta per commemorare una ricorrenza, in questo caso la rivoluzione d'ottobre del 1917. Fu proprio nell'aprile di quell'anno che il compositore, che all'epoca aveva poco più di 10 anni, assistette in prima persona all'arrivo di Lenin nella stazione ferroviaria di Finlandia a San Pietroburgo. Ma ci fu un altro evento, qualche settimana più tardi, che incise più profondamente nel suo giovane animo: quando un gruppo di soldati cercò di disperdere con la forza una folla di manifestanti e un cosacco uccise un ragazzo con un colpo di spada. Questo tragico episodio fu commemorato in seguito, dal compositore, in un suo pezzo pianistico intitolato significativamente "Marcia funebre per le vittime della rivoluzione". Anche la 12° sinfonia rientra ovviamente nella categoria dei quadri musico-storici secondo la nota definizione di Asafiev; com'è noto il compositore aveva già concepito in precedenza dei lavori dedicati a questo evento storico, tra cui la sinfonia n.2 per coro e orchestra del 1927, recante il sottotitolo "Al mese di ottobre, una dedica sinfonica", concepita come una consacrazione sinfonica agli eventi rivoluzionari e terminante con un omaggio al "Mese di Ottobre, alla Comune, a Lenin". Circa 11 anni più tardi, ovvero nel '38, egli progettò un lavoro su vasta scala per soli, coro e orchestra, da dedicarsi nuovamente alla memoria di Lenin, che però abortì di lì a poco. Echi di questo progetto li si può rintracciare nel 1° movimento della coeva sinfonia n.6 (scritta però per sola orchestra), dall'andamento cupo e maestoso, contrastante decisamente con gli altri 2 movimenti seguenti, oltrechè di una durata complessiva superiore alla somma degli altri 2. Seguirà successivamente la composizione del poema sinfonico "Ottobre" anch'esso per sola orchestra. Per cui il progetto del '38 di dedicare una vasta composizione alla memoria di Lenin si concretizzerà solo nel 1961, con la 12° sinfonia per l'appunto, anch'essa però puramente strumentale. La formula é sostanzialmente la stessa dell'11°, ovvero con i 4 movimenti susseguentesi senza interruzioni per una durata complessiva di circa una quarantina di minuti in media, contro l'ora circa di durata media dell'11°. Anche qui ciascun movimento reca un titolo: il 1° è intitolato "Pietrogrado rivoluzionaria", il 2° "Razliv", ovvero la bella località di campagna a una sessantina di chilometri da Pietrogrado, dalla quale Lenin diresse le sue attività rivoluzionarie, rimanendo nascosto in una capanna di contadini, divenuta il suo quartier generale; il 3° movimento è intitolato "Aurora", ovvero il nome dell'incrociatore ancorato al largo del porto di Pietrogrado, che diede il segnale d'inizio della rivolta, sparando il primo colpo alle vetrate del Palazzo d'inverno, il 4° è pomposamente denominato "L'alba dell'umanità". L'organico orchestrale è vasto anche stavolta, comprendendo almeno 64 archi e una vasta batteria di percussioni. La prima esecuzione assoluta si ebbe a Leningrado, con la locale orchestra filarmonica diretta da Yevgeni Mravinski, nell'ottobre (per l'appunto) del 1961. Ma l'esito complessivo e il successo esecutivo della partitura risultarono decisamente inferiori a quello della sinfonia che la precede, per varie ragioni che sviscererò in seguito.
venerdì 27 maggio 2011
Quadri musico-storici.
Secondo una nota definizione del musicologo sovietico Boris Asafiev, un brano come la sinfonia n.11 di Shostakovich (e anche la sinfonia successiva, cioè la n.12, intitolata "L'anno 1917") rientra nella categoria dei cosiddetti quadri musico-storici, stante la forte commistione fra le 2 discipline, la storia e la musica, caratterizzante questo genere di composizione musicale. Anzi direi che, forse mai come nel caso di Shostakovich, gli eventi storici si riflettano profondamente nella sua vita e nelle sue opere, finendo col costituire tutto ciò un oggetto di studio estremamente affascinante e intrigante. Certo è che l'undicesima sinfonia di Shostakovich, nonostante qualche eccesso di retorica a tratti, risulta un brano di singolare pregnanza espressiva, giustamente rivalutato anche dalla critica occidentale, che all'inizio vedeva questa musica sostanzialmente come una banale composizione celebrativa, mentre invece, al di là di qualche eccesso di magniloquenza è sovente di una sincerità drammatica lancinante. Fin dall'inizio del 1° movimento, con quel motto ricorrente punteggiato dai timpani serpeggiante per tutta la composizione, l'evocazione di uno spazio aperto (la piazza antistante il Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo), oltrechè il senso di tragedia incombente, cioè di calma prima della tempesta, sono resi mirabilmente, atmosfericamente azzeccati, mentre l'apparente trionfalismo della sezione finale del 4° movimento, con quei poderosi rintocchi cadenzati di campane, è talmente esasperato dal finire col risultare decisamente sinistro, anzichè giubilante come superficialmente potrebbe apparire (caratteristica anzi ricorrente in diverse composizioni del musicista sovietico, contraddistinte da questa affascinante ambiguità espressiva che gli viene spesso rimproverata dai suoi detrattori e che al contrario m'intriga non poco). Spesso nel corso della composizione, la tensione drammatica, diventa quasi insostenibile, mentre la violenza fonica e ritmica viene portata al parossismo, in particolare nel 2° e nel 4° movimento. Nei primi 2 movimenti, quelli dal carattere più eminentemente descrittivo, la vicenda drammatica viene come rivissuta in prima persona, nell'immediatezza del momento, mentre nei restanti 2 tempi, dal carattere più per così dire astratto, gli eventi tragici sono come contemplati dall'esterno, a posteriori, ma con un occhio al presente storico (ovvero, trattandosi di una composizione del '57, alla Russia del dopo Stalin, quella di Krushov, caratterizzata dal cosiddetto "disgelo" e dalla apparente distensione e apertura nei confronti dell'Occidente, illusione purtroppo di breve durata, visto che di lì a qualche anno lo stesso Krushov sarà silurato e la nazione piomberà nel grigiore brezneviano, fino alla "perestroika" dell'85 di Gorbaciov). Per concludere, ribadisco che i pregi della partitura sopravanzano di gran lunga i suoi difetti, ovvero quegli sporadici eccessi retorici, che non ne intaccano più di tanto la travolgente e coinvolgente espressività, come testimoniato dalle non rare esecuzioni concertistiche pubbliche, oltrechè da un'ampia discografia. Per cui, volendo consigliare una fra le tante belle edizioni disponibili in commercio, mi limito a segnalare, per la sua economicità, quella diretta da Vasily Petrenko, con l'orchestra filarmonica reale di Liverpool, uscita nel 2009 per la Naxos e quindi facilmente reperibile, recensita favorevolmente dalla stampa specializzata internazionale. Anche nella sinfonia successiva, composta nel 1961, Shostakovich usò la stessa formula adottata nell'undicesima, sempre caratterizzata da 4 movimenti che si susseguono l'uno all'altro senza intervalli, ma con la differenza che, anzichè adottare come base per la composizione dei canti rivoluzionari come in precedenza, questa volta i temi sono interamente di pugno del compositore. Solo che, nel caso specifico, l'esito nel suo complesso è assai meno incisivo e convincente rispetto alla sinfonia precedente, con la quale dovrebbe formare un dittico. Secondo la critica musicale, la sinfonia n.12 "L'anno 1917", sarebbe la meno riuscita fra le 15 realizzate dal compositore, anzi sarebbe addirittura brutta musica. Personalmente mentre concordo sul fatto che sia la meno valida delle sinfonie di Shostakovich, mi sembra francamente esagerato definirla brutta musica. Anzi, se tutta la musica veramente brutta da cui siamo letteralmente funestati oggidì, fosse di livello paragonabile a questa sinfonia, io ci metterei decisamente la firma sopra! Ne riparlerò!
giovedì 26 maggio 2011
La rivoluzione in musica.
L'undicesima sinfonia di Shostakovich ha una caratteristica che la differenzia da tutte le altre sinfonie del compositore: quella, come si diceva in precedenza, di essere interamente basata su canti rivoluzionari, utilizzati non come pura citazione, ma costituenti essi stessi l'impalcatura, l'ossatura su cui è innervata l'intera composizione. C'è anche da tenere conto che, durante il periodo di composizione, si verificarono eventi tragici in Ungheria, ossia l'invasione del paese da parte dell'esercito russo nel 1956, con i conseguenti moti popolari di ribellione prontamente repressi nel sangue, dei quali furono testimoni in prima persona il padre e lo zio di Shostakovich, che amareggiarono profondamente il musicista, convinto comunista deluso però dalle derive staliniste, che trovava disdicevole che proprio l'Unione Sovietica si comportasse da potenza imperialista. Tutto questo potrebbe avere influito sul carattere della composizione, anche se qui le opinioni divergono; secondo me, gli echi dei tragici fatti ungheresi sarebbero avvertibili soprattutto nel 4° tempo della sinfonia. Vi è comunque un sottotesto che farebbe un parallelo fra la Russia dello zar Nicola 2° e l'Unione Sovietica di Nikita Krushov, come regimi di intolleranza risultante quando un governo terrorizza un popolo ricorrendo alla forza come mezzo di coercizione. C'è da notare che, uno dei 9 canti rivoluzionari utilizzati nella sinfonia e segnatamente quello su cui è basato il 3° movimento, è il medesimo che era già stato utilizzato dal compositore inglese Benjamin Britten (ma anche precedentemente, assieme ad altri canti rivoluzionari, oltrechè alla "Marsigliese", nel 1926, da Edmund Meisel, nelle sue musiche scritte per il film "La corazzata Potemkin" di Eisenstein, risalente ad un anno prima, in occasione del suo lancio in terra germanica, su spinta dello stesso distributore tedesco), per una breve composizione per fiati e percussioni commissionatagli da una società corale socialista, intitolata Russian Funeral, penso probabilmente a insaputa dello stesso Shostakovich, visto che all'epoca, cioè negli anni '30, i 2 non si conoscevano ancora (per la cronaca, la 14° sinfonia di Shostakovich, del 1970, è dedicata proprio al compositore anglosassone). Di questo breve ma intenso brano di Britten, ne ricordo soltanto una incisione discografica degli anni '90, purtroppo fuori catalogo, con l'orchestra sinfonica della città di Birmingham diretta da Sir Simon Rattle, per la Emi Classics, in appendice a un cd comprendente anche la 4° sinfonia di Shostakovich. Ma, tornando alla composizione oggetto di questa breve disamina, c'è un'altra caratteristica che rende decisamente singolare l'undicesima sinfonia: l'essere questa, una musica che definirei decisamente cinematica, nel senso di evocare istintivamente nell'ascoltatore, un ipotetico immaginario di stampo cinematografico, pur non essendo pensata affatto per far da supporto alle sequenze di un film. Giustamente è stato rilevato che qui comunque Shostakovich fa un singolare esperimento, mettendo a frutto la sua consumata abilità di compositore di numerose colonne sonore cinematografiche oltrechè la sua abilità di pianista accompagnatore e improvvisatore durante la proiezione di film muti negli anni della sua giovinezza, ovvero riuscire a trovare un perfetto contraltare musicale agli espedienti tipici della tecnica cinematografica, cioè primi piani, sfondi, campi lunghi, campi ravvicinati, carrellate, zoommate, dissolvenze incrociate e quant'altro faccia parte della tecnica visiva caratteristica del cinema. L'esito di questo esperimento è da ritenersi assolutamente riuscito, da ciò risultando quello che, per l'appunto, definirei, il carattere singolarmente cinematico di questa musica. A riprova di ciò mi rammento di un episodio riguardante il mondo del cinema: per il film di Vittorio De Sica "I sequestrati di Altona", tratto dall'omonimo romanzo di Jean Paul Sartre, uscito nelle sale nel 1959, lo stesso regista, allora iscritto al partito comunista (dopo essere stato ai tempi del fascismo un tipico esponente del cosiddetto "cinema dei telefoni bianchi", beata incoerenza italiota!), aveva scelto come musica per la colonna sonora, proprio la sinfonia n.11 di Shostakovich, praticamente all'epoca ancora fresca di stampa. Senonchè, a causa di problemi di visto con l'Unione Sovietica, pareva che non si riuscisse a ottenere in tempo utile sia la partitura completa, sia gli spartiti relativi alle singole parti strumentali. Per cui fu deciso di commissionare in fretta e furia una partitura al direttore d'orchestra e compositore Franco Ferrara, che venne terminata a tempo di record. Ma quando tutto era già pronto per la registrazione di questa nuova musica, improvvisamente i problemi di visto con l'Unione Sovietica si risolsero, arrivarono sia la partitura che gli spartiti della sinfonia di Shostakovich, venendo quest'ultima alla fine registrata e inserita nel film, mentre la partitura di Ferrara finì con l'essere definitivamente accantonata. Come già menzionato, la sinfonia di Shostakovich fluisce, nella sua progressione, senza pause, iniziando dalla glaciale apertura del 1° movimento, "La piazza del palazzo", passando all'evocazione della rivolta e del suo tragico epilogo nel 2° movimento, "Il 9 gennaio", andando al tono funereo del 3° movimento, "Memoria eterna", fino ad arrivare al 4° movimento, "Allarme. Campane a martello (Tocsin)", dai toni epici e battaglieri, culminante in cataclismatici rintocchi di campane. Questo movimento finale è l'unico, secondo me, che potrebbe recare qualche eco emotiva dei tragici accadimenti in Ungheria. Ma questo brano merita, a mio avviso, un'ulteriore trattazione.
mercoledì 25 maggio 2011
Domenica di sangue.
Sempre rimanendo in tema di musica colta ispirata da fermenti rivoluzionari, non si può non menzionare un'altra partitura rilevante in tal senso, ovvero la sinfonia n.11 "L'anno 1905" del compositore sovietico Dimitri Dimitrievic Shostakovich (1906-1975), alla quale ho già accennato in precedenza. Shostakovich cominciò a pensare di comporla all'incirca all'epoca delle celebrazioni (fungenti in parte come processo di riabilitazioni dopo le umiliazioni subite dal compositore nel dopoguerra da parte di Stalin e dai suoi accoliti) che dovevano caratterizzare il suo cinquantesimo compleanno nel settembre del 1956, tanto più che era anche un modo per replicare ai suoi detrattori che lo accusavano d'incapacità di trattare temi patriottici nelle sue composizioni. Ricoprendo la carica di onorevole e dovendo all'epoca ottemperare ad impegni ufficiali, in particolare presenziare al secondo congresso dell'Unione dei Compositori Sovietici la primavera seguente, la terminò il 4 agosto del 1957. Nel mese successivo ne venne anche tratta una riduzione per duo pianistico. La prima assoluta ebbe luogo a Mosca il 30 ottobre dello stesso anno, in coincidenza del quarantesimo anniversario della rivoluzione bolscevica, con l'orchestra dell'Accademia di Stato dell'Unione Sovietica diretta da Nathan Rakhlin. Seguì 4 giorni dopo a Leningrado un'altra esecuzione pubblica con la locale orchestra filarmonica diretta da Yevgeni Mravinski. Risultò il più grande successo pubblico conseguito dal compositore dall'epoca della sua sinfonia n.7 "Leningrado" (1941), con positivo riscontro anche da parte della critica musicale ufficiale sovietica, venendo inoltre insignita del premio Lenin nel 1958. Seguirono altre esecuzioni anche in Occidente, ma in questo caso, pur perdurando il favore del pubblico, la critica fu più tiepida. Nello stesso 1958 ne vennero realizzate ben 4 incisioni discografiche, di cui 2 in Russia con gli stessi interpreti della prima e della seconda esecuzione assoluta e altrettante in Occidente, una con l'orchestra sinfonica di Houston diretta da Leopold Stokovski per la Capitol, nella collana Full Dimensional Stereo e l'altra con l'orchestra di Parigi diretta da Andrè Cluytens per la Emi francese.Per un decennio questa sinfonia rimase fra i brani di Shostakovich più apprezzati dal pubblico. Questa ampia composizione è una rievocazione altamente emotiva della cosiddetta "domenica di sangue", ovvero del massacro di oltre 200 pacifici dimostranti da parte delle truppe zariste di Nicola 2° avvenuto all'esterno del Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo, il 9 gennaio 1905 secondo il calendario giuliano vigente all'epoca, il 21 secondo quello occidentale. Questi pacifici dimostranti che manifestavano da giorni in piazza erano dei poveri contadini e braccianti provenienti dalle campagne, che rivendicavano semplicemente più pane e migliori condizioni di vita. Tralaltro un canto popolare da loro saltuariamente intonato, la Dubinushka (ovvero "piccola accetta", cioè il loro strumento quotidiano di lavoro), colpì l'attenzione dell'allora direttore del Conservatorio di San Pietroburgo, il compositore Nikolai Rimski-Korsakov (1844-1908), che si trovò a passare casualmente nei paraggi della piazza, rimanendone così impressionato dal realizzarne successivamente un arrangiamento per orchestra veramente strepitoso (trattasi di 4-5 minuti di musica estremamente trascinanti e galvanizzanti), che difatti gli costò il posto di lavoro. Il musicista rimase inoltre favorevolmente impressionato dall'estrema compostezza e civiltà dei dimostranti. Della Dubinushka arrangiata da Rimski-Korsakov ne ricordo almeno un paio di incisioni discografiche, quella con l'orchestra della Svizzera Romanda diretta da Ernest Ansermet per la Decca e quella con l'orchestra sinfonica di Detroit diretta da Neeme Jarvi per la Chandos, ambedue di non facile reperibilità. Tornando ai tragici fatti a cui si fa riferimento, dopo alcuni giorni di manifestazione, si arriva alla fatidica domenica di sangue. Quella mattina, lo zar Nicola 2°, prima di partirsene per la campagna col suo seguito, dà ordine al comandante in capo delle truppe dell'esercito di aizzare dapprima i dimostranti che si trovano nella piazza antistante il palazzo ad assaltare l'edificio, dopodichè a procedere alla sanguinosa repressione, cosa che puntualmente avviene con lo sterminio finale di oltre 200 persone nella piazza. Solo che stavolta lo zar non aveva messo in conto che lo sdegno per simile orrore si era esteso anche alle classi più abbienti che comprendevano tutti gli esponenti della cultura e dell'intellighentia dell'epoca. Al termine di un concerto pubblico, il basso Feodor Chaliapin, eseguì come fuori programma, sfidando apertamente il divieto imposto dalle autorità, proprio la Dubinushka, scatenando entusiastici boati di approvazione fra il pubblico. Questo tragico evento segnò quindi per la prima volta, un'autentica totale frattura fra lo zar e il popolo e germinerà il seme di quella che sarà, nel 1917, la cosiddetta rivoluzione d'ottobre. Non per niente, quella del 1905, viene anche definita la rivoluzione mancata. L'undicesima sinfonia di Shostakovich, ispirata a tali eventi, è strumentata per una grande orchestra comprendente legni a 3, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, un folto stuolo di percussioni che richiedono un totale di 4 esecutori, celesta, arpe ed archi. E' strutturata in 4 movimenti che si susseguono l'uno all'altro senza soluzione di continuità, intitolati rispettivamente "La piazza del Palazzo", "Il 9 gennaio", "Memoria eterna", "Allarme. Campane a martello". I primi 2 movimenti sono quelli più descrittivi, mentre gli altri 2 sono quelli più commemorativi, come fece giustamente notare il direttore Oleg Caetani alla radio. Il materiale della sinfonia, oltrechè essere caratterizzato da una citazione dall'operetta "Luci che brillano" (1951) del compositore Georgy Vasilievic Sviridov, come da 3 citazioni di composizioni dello stesso Shostakovich, è costituito principalmente da 9 canti rivoluzionari in parte di epoca antecedente al 1905, dei quali viene fatto uso estensivo come elementi tematici. Fu lo zio del compositore, che aveva pagato a suo tempo i suoi fervori rivoluzionari bolscevichi con la prigionia, a far conoscere a quest'ultimo alcuni di questi canti. Ma meritando le caratteristiche peculiari di questa musica una trattazione più estensiva, mi riservo di continuare il discorso in seguito.
martedì 24 maggio 2011
Musica colta e rivoluzione.
Gli attuali sommovimenti di piazza che si stanno verificando in varie parti del mondo e dei quali si comincia a intravedere una pallida eco anche nel nostro paese (essendo il sottoscritto uno di questi rivoluzionari della domenica), mi inducono a trattare sinteticamente il rapporto fra istanze libertarie e rivoluzionarie e i suoi risultati nel campo della musica colta. Anche in questo caso, chissà perchè, la gente comune non associa la musica rivoluzionaria anche alla musica seria, ma soltanto a quella di cantautori o gruppi musicali più o meno impegnati politicamente, oppure ai canti popolari facenti parte del folclore locale. Certo non immaginano che esiste parecchia musica classica ispirata da sentimenti di ribellione e di rivolta, altrettanto intensa dal punto di vista emotivo. In tal caso, mi proverò, attraverso qualche esempio di composizione musicale, di sfatare quello che ritengo essere uno dei tanti deleteri luoghi comuni, circolanti intorno alla musica colta, ossia la cosiddetta classica in particolare. Esempio paradigmatico di tutto ciò è un lavoro pianistico del compositore americano, ma di matrice ideologica di sinistra, Frederic Rzewski (classe 1938), "The people united will never be defeated", pietra miliare e trascinante, immenso capolavoro della letteratura pianistica americana contemporanea e non solo, composto nel 1975. Rzewski, artista di tendenze anarchiche, cosa che si rispecchia anche nella sua produzione musicale, sovente per organici strumentali antitradizionali e armonicamente assai libera, è stato tra gli altri allievo al corso di composizione di Luigi Dallapiccola, qui a Roma. Tra l'altro parla anche un discreto italiano, oltrechè risultare simpatico e informale nelle interviste radiofoniche. Insomma, non sembra uno di quegli artisti che se la tirano, nonostante che anche solo per il succitato brano, meriti di essere incluso fra i giganti della musica di tutti i tempi. Questa ampia composizione, della durata media ininterrotta di circa un'ora, poco più poco meno, consta di 36 variazioni sul celeberrimo canto di protesta "!El pueblo unido jamàs sera vencido!" del compositore cileno Sergio Ortega. Quasi ogni battuta di questo brano è gravida di un enorme virtuosismo tecnico, mentre l'immediatezza espressiva di questa pagina risulta continuamente accattivante, nonostante l'ascoltatore sia trasportato attraverso alcuni passaggi musicali particolarmente complessi con una fluidità e una naturalezza strepitose. Le variazioni medesime, ovvero ognuna di esse, raffigurano le differenti fasi e gli aspetti di una lotta popolare: il carattere varia da un rabbioso e altamente energetico modernismo, passando attraverso melanconici riferimenti al blues, a una polifonia densa e calibrata, a riferimenti nostalgici alla musica folcloristica e a scoperte movenze aleatorie derivate dal free jazz. Un materiale decisamente eterogeneo dunque e certamente non facile da dipanare. Eppure, nonostante ciò, la presa sul pubblico è sempre stata immediata, fin dagli inizi. Ovviamente di questo lavoro esistono alcune edizioni discografiche, 2 delle quali incise dallo stesso autore (per le etichette Hat Art e Stradivarius), tutte notevoli, ma vorrei segnalare in particolare, per la sua economicità, quella incisa per la Naxos, dal pianista olandese Ralph van Raat. Mi ricordo inoltre che, quando uscì l'incisione Hyperion con Marc Andrè Hamelin, vidi in un negozio di dischi di Bologna, in via Petroni, successivamente scomparso, che qualcuno del negozio, aveva apposto sulla custodia del cd un bollino autoadesivo su cui vi era stato scritto a penna: CAPOLAVORO! E' l'unica volta che ho rilevato una cosa del genere, il che la dice lunga sulla bellezza del brano in questione, dallo slancio libertario innegabile, evidente anche a un primo ascolto. Altrettanto consigliabili, di questo autore, sono anche le North American Ballads, sempre per pianoforte. Per saperne di più rimando al bel volume scritto dal pianista Emanuele Arciuli, "Musica Americana per pianoforte", uscito l'anno scorso per la casa editrice EDT di Torino. Ma prossimamente farò altri esempi di musica rivoluzionaria colta.
lunedì 23 maggio 2011
Der fliegende orgel ovvero "Lo strumento fantasma".
Non me ne si voglia, ho voluto semplicemente parodiare il titolo di un'opera di Wagner per parlare dell'ennesimo episodio d'incultura, d'incuria, oltrechè spreco di denaro pubblico caratterizzante il nostro bel paese. Mi riferisco all'organo che, una volta, era allocato all'interno dell'auditorium della Rai di Torino, prima dei recenti lavori di ristrutturazione dello stesso. Trattavasi di un imponente strumento da concerto, dotato della bellezza di 90 registri, 70 canne e 4 manuali (ovvero 4 tastiere) che, al momento di iniziare i lavori di ristrutturazione, venne smontato e ricoverato all'interno di un capannone industriale, dove è tuttora situato, per il quale la Rai sta ancora adesso pagando un cospicuo affitto mensile. Il fatto è che, non essendo stata prevista nella fase di progettazione dei lavori di ristrutturazione della sala la sua ricollocazione, una volta smontatolo e depositatolo nel suddetto capannone, i responsabili si erano tranquillamente dimenticati dell'esistenza dello strumento, salvo ricordarsene all'improvviso al termine dei lavori, ma poichè era troppo tardi per provvedervi, meglio allora far finta di niente lasciando il prezioso manufatto a deteriorarsi lì dove era rimasto, a spese della collettività! Ovviamente quando l'auditorium venne reinaugurato in pompa magna, tutti glissarono sull'argomento, a cominciare dalla stessa Radiotre, nè tantomeno se ne parlò sulla stampa specializzata. Tenuto conto che, anche l'altro auditorium importante della città, ossia il Lingotto, è anch'esso privo di organo (guarda caso progettato anche questo da Renzo Piano, autore di simile scempio anche al Parco della Musica in Roma, progettista del ventilato auditorium di Bologna, che deve avere un'autentica idiosincrasia per gli organi a canne, chissà perchè), il disappunto diventa anche maggiore. Contrariamente a quanto qui da noi si pensa prevalentemente, l'organo non ha una mera funzione liturgica (peraltro pure questa assai negletta oggidì dal Vaticano e demandata unicamente alle iniziative delle singole parrocchie) ma ne ha pure un'altra, direi anche più importante, come strumento da concerto, come testimoniato da diverse partiture pensate per questa destinazione. Anzi il livello medio delle partiture destinate alle sale da concerto è spesso superiore a quello delle musiche destinate alle liturgie, non essendo condizionate, a differenza di queste ultime, da ovvi limiti di minutaggio complessivo e quindi di respiro delle frasi musicali, nè dalle peculiarità delle celebrazioni religiose stesse. La sala da concerto consente quindi maggiore libertà espressiva al compositore, con tutti i benefici, sul piano dell'ispirazione musicale, che ne conseguono. Tra l'altro mi ricordo che, durante tutto il periodo dei lavori di ristrutturazione dell'auditorium Rai, fu proprio il Lingotto a ospitare la stagione sinfonica dell'orchestra nazionale della Rai, unica sopravvissuta alla falcidia avvenuta nel 1995 dei 4 complessi sinfonici e dei 4 complessi corali delle sedi Rai di Roma, Milano, Torino e Napoli, avvenuta in base a scellerati criteri di ordine economico-gestionale. La stessa orchestra superstite ha corso inoltre il serio rischio di essere definitivamente soppressa proprio durante i lavori di ristrutturazione dell'auditorium, protrattisi ben oltre i termini previsti, come è la norma qui da noi, tantopiù che durante lo spostamento della stagione al Lingotto, le prove dei concerti si svolgevano in un'altra sala, ossia il Sert, non propriamente idonea allo scopo, con tutti i disagi e gli inconvenienti logistici per i musicisti stessi immaginabili. Gli elementi medesimi dell'orchestra furono costretti a intraprendere azioni di sciopero, volte a far sì che la compagine potesse tornare a operare nella sua sede originaria, vedendosene al contempo garantita la sopravvivenza futura, messa seriamente in forse dal protrarsi di questi lavori di ristrutturazione. E così alla fine l'auditorium è stato riaperto, l'orchestra è tornata al suo posto, peccato che ci si sia dimenticati di rimettervi l'organo, ma che volete che sia! Oltre all'ovvio ed ennesimo danno culturale conseguente, ci sarebbe da rilevare il doppio danno economico che si arreca, mandando in malora un prezioso e costoso strumento, per giunta pagando un cospicuo tributo mensile per lasciarlo andare a ramengo lì dove attualmente si trova, sprecando sfacciatamente dei soldi pubblici per questo scempio! Evviva! E purtroppo non sarà nè il primo, nè l'ultimo caso del genere, ahimè! Per la cronaca, dopo i lavori di ristrutturazione l'auditorium della Rai di Torino è stato intitolato ad Arturo Toscanini e con questo ci siamo messi a posto con la coscienza! Al diavolo l'organo!
giovedì 19 maggio 2011
Diritto d'autore: cui prodest?
E già, alla fine a chi giova questo benedetto diritto d'autore? Agli autori, ai loro eventuali eredi, ai musicisti, agli editori, ai discografici, alle istituzioni musicali, agli addetti ai lavori in generale, o piuttosto a quell'orrido carrozzone succhiasoldi chiamato SIAE? Quanto mi piacerebbe vagliare eventuali pareri da parte dei diretti interessati in materia, essendo un semplice profano in materia, conscio del rischio di proferire corbellerie in tal senso! Purtroppo al momento non mi è ancora successo tutto ciò, per cui, in mancanza di un serio contradditorio, continuerò a proseguire il discorso per mio conto, sperando prima o poi di avere qualche riscontro in tal senso. Attualmente, il diritto d'autore è fissato a 75 anni dalla morte dello stesso, per le opere artistiche, mentre per le registrazioni sia audio che video, il diritto d'autore scade dopo 50 anni, dopodichè queste ultime diventano di dominio pubblico (come, per esempio, i lavori cinematografici). La legislazione non è però identica in tutti i paesi europei, poichè, per esempio, in Olanda, le riprese audiovisive diventano di dominio pubblico dopo soli 20 anni e questo ha, tra le altre conseguenze, il fatto che diverse riprese radiofoniche effettuate dal vivo nei teatri lirici europei da parte delle principali emittenti, Radio Rai compresa, di epoca non certo remota, arrivando tranquillamente a coprire anche gli anni '80 del secolo scorso e quindi non certo di dominio pubblico teoricamente, vengono bellamente piratate, riversate su cd in stabilimenti olandesi, per conto di piccole etichette indipendenti come la Ponto, che con questo stratagemma eludono i diritti d'autore, vengono regolarmente distribuiti in Europa, Italia compresa, con tanto di importatori ufficiali, a prezzi oltretutto non sempre economici e spesso con una veste editoriale indecente, tant'è che li si trova tranquillamente nei normali negozi di dischi, con tanto di famigerato bollino Siae appiccicato sulla custodia! Ma anche negli Stati Uniti, dove i diritti d'autore, sia per le opere, sia per le registrazioni audiovisive, scadono addirittura dopo 95 anni e dove quindi alle case discografiche non statunitensi non viene consentito di diffondere nel paese le loro collane di registrazioni storiche, in quanto non di dominio pubblico secondo la legislazione vigente in loco (per esempio la Naxos, con le sue collane storiche, aveva provato a infrangere questo tabù, ma alla fine è stata costretta a rinunciarvi dopo essere stata portata in tribunale e aver pagato una cospicua penale, tant'è che, se si sfoglia il suo catalogo cartaceo in corrispondenza delle pagine dedicate alle registrazioni storiche, si legge chiaramente l'avvertenza che trattasi di "titoli non disponibili negli Stati Uniti e nel Canada"), usano 2 pesi e 2 misure. Infatti anche loro, per contro, non si fanno alcuno scrupolo, come in Olanda, di piratare sfacciatamente registrazioni provenienti dagli archivi radiofonici europei, compresi quelli nostrani, anche in questo caso di epoca non remota ovvero sovente non certo di dominio pubblico, che vengono per l'appunto riversate su cd in America, per conto di etichette come Opera d'Oro e anche Music and Arts, spedite in Gran Bretagna (nel caso dell'Opera d'Oro precisamente mandate al gruppo Pickwich International e da lì diffuse nel resto d'Europa e nel mondo), importate e distribuite regolarmente anche in Italia ovviamente con tanto di bollino regolamentare Siae sull'involucro e sempre ad un prezzo non propriamente economico, qualità sonora discontinua, veste editoriale altalenante, eludendo il pagamento dei relativi diritti d'autore. Posseggo personalmente alcuni titoli dell'etichetta Opera d'Oro e quindi ritengo di parlare con cognizione di causa. Invece se una casa discografica non statunitense vuole pubblicare una registrazione proveniente, per esempio, dall'archivio del teatro Metropolitan di New York, lo può fare solo al di fuori dell'America e del Canada, se non vuole essere pesantemente sanzionata, visto che con la loro legislazione, ben poche sono attualmente le registrazioni di dominio pubblico! C'è da notare inoltre che il Metropolitan si serviva periodicamente del suo archivio sonoro per l'emissione di costosi cofanetti, deducibili però dalle tasse, che venivano commercializzati all'interno dello stesso teatro, al fine di raccogliere fondi, poichè laggiù le istituzioni musicali si reggono unicamente sulle sovvenzioni private. Per giunta la Sony Classical sta diffondendo sul mercato discografico mondiale, in questo periodo, dei costosi cofanetti di cd comprendenti vecchie registrazioni dal vivo di opere liriche realizzate dalla stazione radiofonica all'interno dello stesso teatro, ovvero ufficialmente riversate dai supporti sonori originali e non da copie degli stessi più o meno fortunosamente trasferite in Europa o altrove, come avveniva in precedenza con le altre etichette. Ovviamente il prezzo di questi cofanetti della Sony Classical è ben superiore a quello, per esempio, dei titoli della Myto o della Naxos Historical, per citare 2 fra le numerose etichette non statunitensi che abbiano in qualche modo attinto dagli archivi del Metropolitan! Ma tralasciando l'argomento discografico, il diritto d'autore ha delle conseguenze anche sotto altri aspetti: per esempio le istituzioni musicali minori nostrane dai bilanci eternamente traballanti o sono costrette a non includere musiche non di dominio pubblico nei loro già scarni programmi concertistici, oppure a ricorrere a stratagemmi per eludere il pagamento dei relativi diritti d'autore. Per esempio, in sede esecutiva, inserendo all'ultimo momento un brano musicale non di dominio pubblico e quindi non indicato nel programma di sala del concerto, a mò di bis ovvero al termine ufficiale del concerto, oppure operando una sostituzione sempre all'ultimo momento ossia eliminando un brano di dominio pubblico indicato nel programma, sostituendolo all'istante con un altro non di dominio pubblico, ovvero non segnato nel programma di sala. Quando poi si tratti per esempio di brano originariamente orchestrale, originariamente di dominio pubblico, ma trascritto in epoca più recente da altra mano per un singolo strumento e quindi rientrante perciò nel campo del diritto d'autore, ecco che per eludere tale balzello si omette di indicare il nome del trascrittore nel programma di sala, ove vi compare soltanto il nome dell'autore originario del brano. Ribadisco che non sono affatto contrario al diritto d'autore in sè, ma che, sulla base di quelle che mi sembrano contraddizioni e storture, questo argomento necessiti seriamente di essere decisamente rivisto e ripensato a livello mondiale da parte dei responsabili.
martedì 17 maggio 2011
Le edizioni critiche: conseguenze delle attuali regole del diritto d'autore.
Un'altra questione spinosa è quella relativa alle edizioni critiche. La funzione di queste ultime sarebbe quella di riportare le musiche del passato alla loro stesura originale, attraverso il confronto incrociato di tutte le fonti disponibili, poichè queste musiche, attraverso i secoli, possono subire, per vari motivi, delle distorsioni o alterazioni che ne compromettano o alterino fino a trasfigurarle completamente, le loro caratteristiche originarie, con le ovvie conseguenze nel campo esecutivo, ossia di finire per travisare completamente le intenzioni del compositore, facendo ascoltare al pubblico, in casi estremi, qualcosa di completamente diverso, ovvero un falso. Casi di tale genere sono frequenti in ambito musicale. Le ragioni di tutto ciò possono essere molteplici; per esempio errori o alterazioni nei manoscritti originali o nelle edizioni a stampa dell'epoca, in aggiunta a tagli, alterazioni, incrostazioni, arbitrii di varia natura, perpetrati in sede esecutiva e consolidati da nefaste tradizioni, interventi spurii di altri musicisti, rimaneggiamenti, oppure essere anche dovute a scarsa o nulla leggibilità o a incompletezza delle fonti autografe e via di questo passo. Perciò in simili situazioni la realizzazione di una cosiddetta edizione critica avrebbe la funzione di riportare il brano musicale che ne è l'oggetto, alla sua stesura originale (Urtext) e alla sua completa integralità e quindi di apportare un beneficio culturale notevole, almeno in linea teorica. Anche in questo ambito la casistica è varia, a seconda dell'entità degli interventi effettuati, poichè le differenze fra un'edizione critica e l'edizione corrente di un dato brano musicale, non sempre sono chiaramente avvertibili a livello di ascolto musicale, ma rilevabili solo a livello di scrittura, ossia di spartito. In certi casi comunque, vi sono delle differenze chiaramente avvertibili anche al solo ascolto, come per esempio nella recente edizione critica delle 9 sinfonie di Beethoven, realizzata da Johnathan Carver per la casa editrice tedesca Barenreiter, che avrebbe dovuto sostituire definitivamente l'obsoleta e quindi filologicamente inattendibile edizione della Breitkof und Hartel, risalente all'epoca del compositore; rispetto a quest'ultima cambia sensibilmente l'equilibrio fra archi e fiati, oltrechè esserci una decisa predominanza dello staccato anzichè del legato sia per quello che concerne la sezione degli archi, sia per quello che riguarda i passaggi corali della nona sinfonia, che quindi cambiano almeno in parte volto a delle musiche arcinote. Tutto ciò comunque non sminuisce il valore artistico di illustri esecuzioni del passato basate sulle precedenti edizioni. Solo che, anche in questo caso, in virtù del diritto d'autore, essendo il redattore dell'edizione critica un vivente, ecco che anche per queste musiche che sarebbero tranquillamente di dominio pubblico, stante l'epoca originaria di composizione, si ricade nel capestro del pagamento dei relativi diritti, per cui siccome non tutte le istituzioni musicali e/o i musicisti interessati dispongono di fondi economici sufficienti per far fronte a tutto ciò, alla fine, per risparmiare soldi, si finisce per ripescare le inattendibili edizioni della Breitkopf und Hartel, che, in linea teorica sarebbero dovute essere accantonate definitivamente, con tutto quel che ne consegue sul piano esecutivo e interpretativo. Ma allora a che scopo realizzare un'edizione critica, solo per far guadagnare il suo realizzatore e la casa editrice? E di casi come questo ce ne sarebbero ovviamente altri: sono state realizzate, tra gli altri, edizioni critiche di diverse opere di Rossini, del "Trovatore" e del "Rigoletto" di Verdi, della "Bohème" e della "Tosca" di Puccini, della "Cavalleria rusticana" di Mascagni, dei "Pagliacci" di Leoncavallo, di opere di Donizetti, delle sinfonie di Mahler e via discorrendo, ma, spesso, per motivi pecuniari, non vengono adottate. Aggiungasi che in certi casi le differenze fra edizioni critiche ed edizioni correnti di certe musiche, sono scarsamente rilevanti anche a livello di partitura, per cui il sospetto che tutto ciò sottenda una volgare speculazione commerciale diventa quasi una certezza! Ecco l'ennesima dimostrazione di come l'avidità umana immiserisca il tutto. Il discorso prosegue......
lunedì 16 maggio 2011
La banda bassotti.
Ritornando sulla questione spinosa del diritto d'autore, voglio fare l'esempio del defunto compositore nostrano Luciano Berio. La famosa sigla di Radiotre è costituita da una porzione di "Rendering", ossia una rielaborazione al computer da parte del noto compositore di frammenti di un'incompiuta decima sinfonia di Franz Schubert (1797-1828), per cui in virtù delle storture connesse alla legislazione del diritto d'autore, ogni volta che Radiotre mandava in onda quel pezzo del tutto o in parte, per il compositore tutto ciò significava l'arrivo di un bel pò di soldi; e adesso, essendo lui già morto, lo è anche per i suoi eredi, tenuto conto che, con la legislazione vigente, il diritto d'autore è esigibile, qui in Italia e in buona parte dell'Europa, per ulteriori 75 anni dalla morte dell'artista, anche se stanno già pensando ahimè di estenderlo come negli Stati Uniti a 95 anni. Tra le varie altre rielaborazioni di musiche del passato di Luciano Berio, vi è anche quella, arcinota e peraltro riuscita delle 4 versioni sovrapposte e trascritte per orchestra, della "Ritirata notturna di Madrid" di Luigi Boccherini, compositore italiano del '700. Inoltre Berio è stato autore di un ulteriore finale per l'opera incompiuta di Giacomo Puccini "Turandot"(1924, rappresentata postuma nel 1926 alla Scala con la direzione di Toscanini), non brutto ma superfluo, se si tiene conto che all'epoca il compositore Franco Alfano vi aveva già provveduto su incarico dello stesso Toscanini, il quale non contento della prima stesura, costrinse Alfano a realizzarne una seconda più fedele agli appunti manoscritti di Puccini, ma più manchevole dal punto di vista dello svolgimento teatrale; tra l'altro parrebbe che la prima stesura di Alfano, che purtroppo non conosco, sia notevolmente più moderna e ardita, a parte la trionfalata finale, di quella usualmente adoperata in sede esecutiva, ossia la seconda stesura che è più abbreviata rispetto alla precedente. Solo che alla casa editrice delle partiture di Puccini, ossia la Ricordi, finita nel frattempo nelle grinfie del gruppo multinazionale BMG, stavano per scadere i diritti d'autore, che all'epoca erano ancora fissati a 50 anni (essendo Alfano morto negli anni '50), per cui bisognava a tutti i costi trovare uno stratagemma per mungere altri soldi da un'opera che stava per diventare di dominio pubblico; e quale sistema poteva essere migliore di quello di commissionare un nuovo finale a un compositore vivente? Detto fatto si affida il tutto nelle abili mani di Luciano Berio, il quale è decisamente avvezzo a operazioni del genere, musicalmente spesso inutili o quantomeno discutibili, ma utili sia alla casa editrice che al diretto interessato, che con simili stratagemmi e poco sforzo ci ha fatto vagonate di quattrini, oltrechè apportare benefici ai suoi attuali eredi. Anzi, la maggior parte delle opere di Berio constano di rielaborazioni di musiche del passato, in gran parte di dominio pubblico! Un bel furbacchione, non c'è che dire! Tra gli altri ha anche riorchestrato alcuni canti originariamente per voce e pianoforte di Gustav Mahler e Manuel De Falla, oltrechè trascrivere per orchestra da camera, alcune canzoni dei Beatles, tra cui "Yesterday" e "A ticket to ride". Inoltre la sua composizione intitolata "Sinfonia", in 5 movimenti, per gruppo vocale e orchestra, nel terzo movimento è caratterizzata da un gran numero di citazioni musicali (oltre a quelle ricorrenti in più punti dal terzo movimento dalla seconda sinfonia di Mahler, sono presenti anche citazioni da "La valse" di Ravel, da "Le sacre du printemps" di Stravinski, oltrechè da "Der Rosenkavalier" di Richard Strauss, solo per menzionarne alcune) inserite abilmente nel tessuto musicale di quello che è comunque uno dei suoi capolavori assoluti. Si tenga conto che quelli da me fatti sono solo una minima parte degli esempi di tal fatta presenti nel complesso dei lavori di Luciano Berio. Per chi comunque volesse farsi un'idea in proprio del finale di Luciano Berio per la "Turandot" di Puccini, esiste un cd della Decca di rarità pucciniane diretto da Riccardo Chailly, comprendente anche questo finale, uscito anni addietro e quindi non so se sia ancora in catalogo, mentre dovrebbe esserlo un'edizione in video dell'intera opera col finale di Berio diretta da Valery Gergiev in un dvd della TDK. Purtroppo della prima versione del finale di Alfano per la stessa opera esisteva una incisione dal vivo del coro e dell'orchestra del Festival di Charleston diretti da Christopher Keane da tempo irreperibile e poi pare fosse incluso in un cd sempre della Decca all'interno di un recital del tenore Lando Bartolini, ma anche questo titolo credo che sia attualmente irreperibile. Ma vista la disinvoltura di queste riappropriazioni di musiche del remoto passato di dominio pubblico, per farle rientrare nel campo del diritto d'autore, da parte di avide case editrici e di altrettanto avidi musicisti, mi fanno proprio pensare a una colossale banda bassotti di malfattori da strapazzo! Proprio adesso mi viene in mente che, qualche tempo fa, anche un compositore vivente cinese di cui non ricordo il nome, ha realizzato anche lui un ulteriore finale per la "Turandot" che ha beneficiato di almeno una rappresentazione pubblica in loco, casomai se ne sentisse ancora la necessità! Qui siamo ben oltre la soglia della decenza, peccato non poterglielo dire in faccia a questi manigoldi che vampirizzano i capolavori del passato per la propria fame smisurata di quattrini! Ma per il momento sospendiamo il discorso e ci risentiamo alla prossima occasione.
Stessa spiaggia, stesso mare.
Ho voluto giocare col verso di una nota canzonetta degli anni '60, per riferirmi all'opera di Fabio Vacchi, compositore bolognese (classe 1949) andata in scena in prima assoluta al Teatro Petruzzelli di Bari e radiotrasmessa in differita su Radiotre domenica 15 maggio, registrata dal vivo il 28 aprile scorso. E' un lavoro di concezione piuttosto ampia, strutturato in 3 atti della durata complessiva di circa 2 ore e 40 minuti, intitolato per l'appunto "Lo stesso mare", per 3 voci recitanti, cantanti, grande orchestra ed effetti elettronici di spazializzazione del suono, su libretto di Amos Oz, commissionato dallo stesso teatro, dove è stato diretto da Alberto Veronesi. Spiace constatare che, almeno giudicando dalla ripresa sonora, il pubblico sembrasse un pò scarso, anche se partecipe, poichè almeno sulla base del solo ascolto, il lavoro faceva una notevole impressione, merito anche della bella prova di tutti gli interpreti, compresa la sorprendete orchestra del teatro, in una partitura così multiforme stilisticamente e non certo facilissima. Come alla Scala con "Quartett" di Luca Francesconi, anche stavolta la commissione dell'opera non era legata ad alcuna ricorrenza patriottarda e come in quel caso l'esito complessivo, almeno dal punto di vista musicale, risulta notevole, lontano anni luce da quello ben più misero di opere come "Risorgimento!" di Ferrero, sarà forse una coincidenza? Se tutte le opere contemporanee nostrane fossero come queste di Francesconi e di Vacchi, avremmo ragione di essere ben più ottimisti sul futuro del teatro lirico contemporaneo qui dalle nostre parti. Questa è la contemporaneità che vorrei sentire sempre! Tanto più che anche in questo caso il linguaggio adottato da Vacchi in "Lo stesso mare", risultava fortemente suggestivo e di forte presa emotiva, per cui anche le inserzioni "etniche" e le citazioni a incastro operistiche, essendo uno dei personaggi dell'opera un'appassionato di lirica ( tra l'altro erano riconoscibili citazioni da "Bella figlia dell'amor" dal "Rigoletto" di Verdi oltrechè dalla serenata dal "Don Giovanni" di Mozart), si incastonavano nel tessuto musicale con estrema fluidità e naturalezza, così come i rimandi stilistici a certo minimalismo di stampo statunitense, per cui non si aveva mai la sensazione di un qualche cosa di manierato, o di qualche furbesco ammiccamento alla logica del facile ascolto, ma il tutto risultava in una notevole sincerità espressiva. Il titolo "Lo stesso mare" si riferiva anche al fatto che i diversi personaggi dell'opera, pur essendo di diversa estrazione sociale e di diversa nazionalità e vivendo situazioni personali differenti, avevano tutti in comune lo stesso ambiente sociale, ossia "Lo stesso mare". L'opera era priva di una trama in senso tradizionale essendo costituita da una giustapposizione di diverse situazioni sceniche, introdotte di volta in volta dalle 3 voci recitanti, quindi non aveva una struttura convenzionale. Non per niente lo stesso Vacchi, in un'intervista radiofonica, faceva notare come le forme musicali e quindi l'opera lirica, si evolvano ossia mutino nel tempo, come lo era per esempio la sinfonia ai tempi di Bach (invenzioni a 3 voci) e ai tempi di Mahler (dilatata all'estremo in strutture ampie e colossali), per cui anche il suo lavoro, pur essendo per certi versi anticonvenzionale, può ascriversi a pieno diritto nella categoria del teatro lirico contemporaneo. Detto per la cronaca che la regia teatrale era di Federico Tiezzi e le scene di Gae Aulenti, mi astengo per ovvie ragioni di ascolto radiofonico dal parlare della parte scenica, auspicando quanto meno che fosse sullo stesso livello della partitura musicale. Trovo comunque piacevolmente incredibile che anche qui da noi, nella prima metà di quest'anno, si siano già rappresentate almeno 2 notevoli novità operistiche di tale fatta (ossia "Quartett" di Francesconi e quest'ultima "Lo stesso mare" di Vacchi), semprechè magari non ce ne siano anche altre a me ignote, tenendo conto dei tempi bui che attraversiamo non solo dal punto di vista culturale, per cui prendiamo tutto ciò come un segnale positivo per uscire da questa cappa opprimente di tetraggine che attanaglia l'intera nazione. Ad maiora!
sabato 14 maggio 2011
Arbitrarietà del diritto d'autore.
La questione del diritto d'autore così come è congegnata attualmente è troppo spesso fonte, a mio parere, di abusi e arbitri; già il fatto che un brano di musica composto in epoca remota, quindi in teoria non soggetto a questa legislazione, per il solo fatto di essere affidato per il suo ripristino in sede esecutiva all'intervento di un revisore o di uno studioso, ossia di persona vivente, finisca col ricadere nel campo del diritto d'autore con tutto quello che ne consegue, anzichè di essere di pubblico dominio come sarebbe più giusto, per giunta equiparando il revisore o lo studioso al creatore dell'opera medesima indipendentemente dall'entità effettiva dell'intervento, a livello di compenso pecuniario, ovverossia di riscossione vita natural durante dei relativi emolumenti, è un qualcosa che grida vendetta a mio avviso, come ho già spiegato in precedenza. Ma questo non è il solo esempio di abuso che si verifica, ahimè! Non so quanti si ricorderanno del caso della partitura dell'opera "Montezuma" di Antonio Vivaldi che occupò l'intera estate di alcuni anni fa e di cui a Radiotre se ne parlò in ripetute occasioni, durante quel periodo. Essendo Vivaldi un compositore del '600, le sue opere dovrebbero essere tutte tranquillamente di dominio pubblico. E invece nel caso del "Montezuma" si cercò di farlo ricadere arbitrariamente nei canoni del diritto d'autore. C'è da dire che molte partiture di Vivaldi erano rimaste conservate a Dresda, poichè il compositore nell'arco della sua esistenza, aveva viaggiato e si era esibito parecchio all'estero anche come strumentista, Germania compresa. Verso la fine della seconda guerra mondiale, con la sconfitta dell'armata tedesca da parte delle truppe alleate, Dresda ricadde nel settore della Germania occupato dall'esercito dell'Armata Rossa, per cui tutte le partiture musicali presenti negli archivi di Dresda vennero confiscate dall'esercito russo e trasportate a Mosca, compresi quindi i lavori di Vivaldi. Soltanto in epoca più recente, ossia dall'avvento della perestroika di Gorbaciov in poi, tutte queste partiture sono progressivamente rientrate in Germania. Tra l'altro si riteneva, fino a diversi anni fa, che l'opera "Montezuma" di Vivaldi fosse praticamente un lavoro perduto, di cui sopravvivevano pochi brani. E invece non era così. Alcune di queste partiture rientrate dalla Russia furono acquisite dalla Singakademie di Berlino, un'istituzione musicale dal prestigio alquanto decaduto e famelica di quattrini, che fece catalogare ed esaminare tutte queste musiche da uno studioso che si accorse che fra di esse vi era una partitura quasi integrale di questo "Montezuma", che si riteneva anzi essere addirittura un originale. In quegli anni in Italia il festival estivo di Opera Barga aveva intrapreso un ciclo di rappresentazioni integrali di tutto il teatro lirico di Vivaldi al cui completamento mancava soltanto il "Montezuma" che avrebbe dovuto essere diretto da Federico Maria Sardelli. Solo che quando i curatori del festival si rivolsero alla Singakademie di Berlino per l'ottenimento del manoscritto, si sentirono sparare da questi ultimi una richiesta di un compenso esorbitante per la pubblica rappresentazione, in quanto la Singakademie proprietaria di quella che si riteneva una partitura originale rinvenuta, riteneva suo pieno diritto in questi casi di esigere un adeguato compenso rientrante nelle regole del diritto d'autore, tantopiù che un tribunale tedesco aveva dato inizialmente del tutto ragione a questa società musicale. Essendo però i fondi del festival Opera Barga troppo esigui per far fronte a una simile esorbitante richiesta, si decise di rinunciare e pur di rappresentare comunque il "Montezuma" si ricorse a un cosiddetto "pasticcio" ossia l'innesto sui pochi brani dell'opera già noti in precedenza, di brani di altre opere dello stesso Vivaldi, riadattati per l'occasione, in barba alle pretese di fedeltà filologica di cui lo stesso festival si faceva vanto, con ciò conducendo un'operazione culturalmente esecrabile e dimostrando scarsissima serietà nei confronti del pubblico degli appassionati. Meglio sarebbe stato rinunciarvi in questo caso! Successivamente l'opera viene rappresentata, nel mese di settembre, a un festival di musica barocca a Rotterdam, in Olanda, che disponendo di fondi economici assai più cospicui, può accondiscendere alle esorbitanti richieste della Singakademie di Berlino. Senonchè a un successivo e più attento riesame della partitura manoscritta, salta fuori che non di orginale si tratta, ma bensì di una copia cosiddetta da viaggio di riserva, per cui un altro tribunale tedesco, in virtù di questa scoperta, ribalta la sentenza precedente, dichiarando perciò illegittime le richieste di corresponsione dei diritti d'autore pretese dalla Singakademie di Berlino. Tanto più che di lì a poco uscirà, sul mercato discografico un'edizione di quest'opera diretta da Alan Curtis, per l'etichetta Archiv Produktion basata su altre fonti e col titolo mutato, chissà perchè in "Motezuma"! Un bel ginepraio, insomma! Il discorso sul diritto d'autore è comunque ben lungi dall'essere concluso e spero vivamente di poterlo proseguire in barba ad eventuali inconvenienti telematici che si dovessero verificare in futuro in questo blog (anche se spero vivamente che la cosa non si ripeta mai più!). A risentirci!
mercoledì 11 maggio 2011
Diritto o abuso d'autore?
Personalmente ritengo che la legislazione in materia di diritto d'autore sia troppo caotica e contradditoria e presti il fianco a possibili abusi. Uno dei punti più controversi e sul quale periodicamente mi sono trovato a discutere con altre persone, è quello che equipara anche e soprattutto a livello di compenso economico il revisore o ricostruttore di partiture incompiute e/o frammentarie al creatore dell'opera medesima, ossia il compositore, anche perchè l'entità effettiva di questo genere di interventi è molto variabile a seconda dei casi. A questo proposito mi ricordo di un caso piuttosto emblematico al riguardo: anni fa la casa discografica inglese Hyperion aveva fatto incidere un disco al complesso corale Ex Cathedra diretto da Lawrence Skidmore, comprendente delle rare composizioni per coro a cappella del poco conosciuto compositore francese rinascimentale Michel Delalande, affidandosi a un revisore per la cura delle partiture. In realtà il lavoro del suddetto, in questo frangente, fu di rilevanza limitata, in quanto si ridusse alla semplice aggiunta di un giro di basso continuo in un brano e poco altro. Essendo le musiche in questione, vista l'epoca di composizione, abbondantemente fuori dai canoni del diritto d'autore, il revisore, al termine del suo lavoro, venne pagato dalla casa discografica col compenso pattuito secondo il contratto regolarmente sottoscritto dal medesimo, il quale venne anche citato e ringraziato nelle note di accompagnamento all'incisione discografica all'interno del libretto, come da prassi comune in simili faccende. Senonchè dopo qualche tempo il furbastro si rivolse a un avvocato il quale mandò una lettera alla casa discografica nella quale intimava ai responsabili di corrispondere per intero al suo cliente l'intero ammontare dei diritti d'autore in quanto equiparabile al creatore dell'opera in virtù del suo intervento di revisione sulle partiture, pena essere citati in giudizio al tribunale per violazione dei diritti d'autore. Inizialmente la casa discografica rispose picche, ma venendo successivamente trascinata in tribunale, fu condannata al termine della procedura a un risarcimento all'esimio personaggio della bellezza di 75000 sterline, il che ebbe le sue conseguenze. Innanzitutto il disco in questione, le cui scarse vendite non avevano coperto neanche le spese di realizzazione, venne tolto dal catalogo, con ciò arrecando un danno culturale non irrilevante trattandosi di rarità e non certo del solito repertorio arcinoto. Inoltre la stessa casa discografica, visto il danno economico, essendo oltretutto una casa discografica indipendente e non certo una multinazionale, rischiò il fallimento, dovendo cancellare diversi progetti discografici per salvarsi (tra cui l'incisione del balletto di Victor de Sabata "Le mille e una notte" con l'orchestra filarmonica di Londra diretta da Aldo Ceccato, altra rarità assoluta per fortuna successivamente incisa qualche anno dopo dall' orchestra sinfonica "Giuseppe Verdi" di Milano diretta da Francesco Maria Colombo (ex critico musicale del Corriere della Sera) per l'etichetta Universal Classics and Jazz, disco oltretutto bellissimo). Difatti i più sacrificati furono, per ovvie ragioni di sopravvivenza economica, i progetti riguardanti musiche orchestrali, ossia ad ampio organico, mentre minore fu la falcidia per la musica cameristica e strumentale. Per giunta per alcuni anni non venne stampato nessun nuovo catalogo cartaceo, limitandosi soltanto a periodici supplementi. Successivamente l'Hyperion è riuscita miracolosamente a risollevarsi, ricominciando anche ad incidere musiche ad ampio organico e riprendendo a ristampare annualmente nuovi cataloghi cartacei, per fortuna, ma il rischio del fallimento è stato evitato per un pelo, vista anche la sempre più accentuata crisi del mercato discografico a livello internazionale. In seguito a questa vicenda, che ha costituito un precedente anche per tutte le altre etichette del settore, si è deciso che, da ora in avanti, eventuali questioni di diritti d'autore siano completamente a carico dei musicisti e non più dei discografici, il che mi sembra parecchio discutibile. Trovo che comunque anche i responsabili della Hyperion siano stati degli ipocriti in questo caso, perchè comunque sapevano che potevano incorrere in simili rivendicazioni e che, in ogni caso, anche il revisore si sia comportato scorrettamente, fingendo tacitamente di accettare il compenso iniziale senza rendere note le sue eventuali rivendicazioni fin dal principio, salvo poi farsi ulteriormente risarcire successivamente per vie legali e venendo in pratica pagato 2 volte per il suo tutt'altro che cospicuo intervento sulle partiture. Ritengo che sia particolarmente ingiusto, soprattutto nei casi in cui il lavoro dello studioso, revisore o ricostruttore di partiture musicali si riveli di entità obiettivamente limitata come nella vicenda testè rammentata, di equipararlo a livello di compensi per diritti d'autore, al creatore medesimo della composizione oggetto dell'intervento. Ovviamente non intendo dire che non debba essere pagato, ma che il suo compenso sia direttamente proporzionale all'entità dell'intervento svolto. Lo so che tale questione non è affatto semplice, ma proprio per evitare ulteriori possibili abusi e controversie in materia, auspico che gli addetti ai lavori si occupino anche di questi aspetti, mettendo ordine in una legislazione che mi sembra, da profano quale io sono, alquanto carente, caotica e contradditoria. Anche questo è comunque un discorso che intendo riprendere senz'altro in una prossima occasione riferendomi in particolare alla vicenda tormentata del "Montezuma" di Vivaldi di alcune estati fa e delle furberie di Luciano Berio come riarrangiatore di partiture altrui del passato, tanto più che in seguito a queste storture, molte musiche che, in virtù dell'epoca di composizione, non dovrebbero essere più soggette al pagamento di alcun diritto d'autore per la loro esecuzione pubblica, finiscono per cadere in pieno in questa sorta di capestro, con tutte le conseguenze pecuniarie del caso per i musicisti che volessero suonarle. Così come ci sarebbero da tirare in ballo gli editori musicali e i discografici per le loro nefandezze in materia, senza tenere conto di quell'orrido carrozzone succhiasoldi chiamato SIAE, tacendo della questione delle cosiddette edizioni critiche, per cui alla fine gli argomenti di possibili discussioni e riflessioni sono anche troppi, ma cercherò ugualmente, per quel poco che posso, di dipanarli, poichè sono cose che mi stanno particolarmente a cuore. Alla prossima!
martedì 10 maggio 2011
Foglio d'album ( riflessioni sul primo maggio).
Vorrei tanto sapere in base a quale legge non scritta la musica sinfonica sia sostanzialmente bandita da manifestazioni sul genere di quella del primo maggio, occupate da beceraggini varie che testimoniano ulteriormente l'incultura predominante oggidì, o dalle canzonette dei soliti cantautori cosiddetti "impegnati" ( soprattutto a rimpinguare il proprio conto in banca!). Va bene che qualcuno mi ha fatto notare che qui a Bologna, nei paraggi della fontana del Nettuno, nel centro storico, c'era la banda "Puccini", ossia una banda cittadina, che suonava brani classici, ma, visto il livello non particolarmente esaltante delle sue esibizioni, non mi sognerei certo di metterla sullo stesso piano di un complesso sinfonico-corale, nè tantomeno di un solido complesso bandistico sinfonico di area anglosassone (tanto varrebbe in questi casi scritturare la Banda Bassotti!). Se si pensa poi che l'ineffabile Beppe Maniglia, che ti manda il cervello in poltiglia, pseudo musicante spaccatimpani (e anche qualcos'altro!), funesta spesso e volentieri il centro storico con le sue pietosissime esibizioni che pure continuano a raccogliere un discreto pubblico di decerebrati (vorrei però sapere quanti se e quanti siano gli sciamannati che buttano via 10 euro per acquistare i ciddì e i vinili -ohibò- di questo fenomeno da baraccone!), se si pensa, dicevo, che il suddetto, stando a quanto lessi parecchio tempo addietro in un numero del quotidiano "Il Bologna", avrebbe oltre che a una laurea in psicologia, anche un diploma di conservatorio, tanto più che suo padre sarebbe stato primo oboe dell'orchestra del Comunale, oltrechè amico del direttore d'orchestra Arturo Toscanini (ma sarà poi vero tutto ciò?), considerando il miserrimo risultato complessivo, mi viene da dire ma quanto spreco gettare tutto questo alle ortiche! Insomma da un padre oboista si è generato un figlio trombone! Ecco perchè Bologna è stata designata dall'Unesco capitale mondiale della musica! E io, deficiente che non sono altro, che non l'avevo ancora capito! Tanto più che qualcuno mi ha vociferato che persino il maestro Riccardo Muti avrebbe acquistato una musicassetta del sommo plantigrado (forse in seguito a qualche notte brava di troppo in riviera?). Ma adesso basta con simili facezie e torniamo a parlare dell'assenza della musica sinfonica in occasione del primo maggio; assenza ingiustificata in quanto ci sarebbe almeno una partitura musicale ad hoc per questa ricorrenza, ossia la sinfonia n.3 di Dimitri Shostakovich intitolata appunto "Il primo maggio" per coro e orchestra, della durata di circa mezz'ora, composta nei primi anni trenta e in bilico fra fervori rivoluzionari ed esperimenti modernisti, che doveva far parte inizialmente di un vasto ciclo di composizioni intitolato al calendario delle ricorrenze rivoluzionarie, tant'è che la sinfonia che la precede cronologicamente, ossia la sinfonia n.2 pure essa per coro e orchestra, ma più breve, ossia della durata di circa una ventina di minuti e comprendente nel suo organico una sirena di fabbrica, normalmente sostituita nelle esecuzioni da una combinazione di strumenti a fiato, e intitolata appunto "Rivoluzione d'ottobre", poi alla fine, forse anche in seguito alle tormentate vicissitudini personali del compositore, il progetto si arenò, tanto che le altre 2 sinfonie "rivoluzionarie" di Shostakovich, ossia la n.11 "L'anno 1905" e la n.12 "L'anno 1917", vennero composte nella seconda metà degli anni cinquanta. Ma, tornando alla sinfonia n.3 (e lo stesso discorso è grosso modo applicabile anche alla n.2), il brano, pur non essendo tra i migliori del compositore, viziato com'è a tratti da una certa convenzionalità retorica, è comunque di bell'effetto complessivo e meriterebbe senz'altro di essere conosciuto di più oltrechè di essere eseguito più spesso in pubblico, per cui non sarebbe affatto un'idea malvagia il ricordarsene in simili occasioni. A chi comunque volesse colmare una simile lacuna, segnalo che in questo periodo è reperibile nei negozi specializzati una recentissima edizione discografica economica al prezzo di 6.90 euro, della Naxos, di questo brano accoppiato alla folgorante sinfonia n.1 dello stesso autore, con il coro e l'orchestra reale filarmonica di Liverpool diretta da Vassily Petrenko, facente parte di un'erigenda integrale sinfonica di cui sono già usciti altri volumi, già recensiti più che positivamente dalla stampa specializzata. Per concludere una notazione storica a parte: dovete sapere che quella che viene definita la cosiddetta "rivoluzione d'ottobre", ossia, per essere precisi del 25 ottobre 1917, è in realtà avvenuta il 6 novembre di quell'anno, poichè in Russia all'epoca si adottava ancora il calendario giuliano, differente da quello occidentale, che la stessa Russia adotterà di lì a poco. Inoltre a chi fosse interessato all'argomento consiglio di visionare il film di Sergei Eisenstein "Ottobre", film muto in bianco e nero del 1926, dal taglio innovativo e quasi documentaristico, con delle scene di massa particolarrmente impressionanti; tra l'altro ne esiste una versione sonorizzata proprio con musiche di Shostakovich. A risentirci alla prossima occasione!
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