Disquizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea.
giovedì 30 giugno 2011
Vampirizzazioni musicali.
(Segue) Come ho già riferito nell'articolo precedente, per realizzare un commento musicale al film "Nosferatu" di Murnau, proiettato in Piazza Maggiore a Bologna sabato scorso, il direttore d'orchestra Timothy Brock ha realizzato una musica basata su frammenti dall'opera "Der Vampyr" di Marschner, ottenendo secondo me, alla fine, un centone musicale che aderiva alle immagini del film in maniera abbastanza prevedibile e scontata, tra l'altro cadendo in un altro abituale clichè delle musiche dei film dell'orrore, ovvero impiegando l'organo all'interno del contesto orchestrale (e per giunta, essendo un cineconcerto all'aperto, impiegando quell'orrido surrogato elettronico digitale dell'organo, ovverosia un cosiddetto elettrofono sul quale mi sono già pronunciato tempo addietro riguardo la sua intrinseca artificiosità timbrica). Analogamente alla prima berlinese del 1921, la proiezione è stata preceduta dall'esecuzione integrale dell'ouverture dell'opera e a ripensarci, mi viene proprio da ritenere che questa musica renda meglio senza le immagini cinematografiche. Peraltro non è la prima volta che questa musica, forse il capolavoro assoluto del suo autore e uno dei suoi più grandi successi, viene manomessa. Proprio uno dei suoi più ferventi ammiratori, Wagner, la diresse in teatro ritoccandone l'orchestrazione. Nel 1924, il compositore Hans Pfitzner, ne realizzò una versione ancora più alterata e ritoccata nell'orchestrazione, con spostamenti e manomissioni varie di intere sezioni musicali, anche se, per fortuna, attualmente si tende sempre più spesso a tornare alla versione originale del compositore. Non so se qualcuno ricorderà che, pochissimi anni fa, l'opera è stata data proprio al Teatro Comunale di Bologna, diretta da Renato Palumbo, in una versione ibrida che in parte riprendeva la stesura originale, in parte adottava la pesante rielaborazione di Pfitzner. L'opera in 2 atti, per la durata complessiva di circa 2 ore e 40 minuti, ha la struttura tipica di un singspiel germanico, ossia comprende al suo interno delle sezioni recitate (parlate) dagli stessi cantanti. Il suo autore, Marschner, viene proprio considerato dagli esperti musicologi, l'anello di congiunzione fra gli esponenti del cosiddetto primo romanticismo tedesco, Carl Maria von Weber in testa, e lo stesso Richard Wagner, che in effetti, stilisticamente gli deve parecchio, come si evince facilmente anche da un semplice ascolto, sia per certe atmosfere che già fanno pensare a "Der Fliegende Hollander" di quest'ultimo, sia per l'impiego particolare delle risorse orchestrali. Purtroppo nessuna delle 2 edizioni discografiche attualmente disponibili rende piena giustizia a questa bellissima opera, essendo oltretutto ambedue prive delle parti dialogate, per cui ci si deve accontentare. Anche in questo caso mi verrebbe spontaneo ripetere la solita litania riguardo all'insulsaggine del mercato discografico sempre prodigo di inutili riproposizioni di titoli arcinoti e inflazionatissimi, a discapito di lavori come questo meritori di una maggiore diffusione, ma tant'è! Ritornando al film di Murnau, a costo di irritare i cinefili, devo dire che non mi ha entusiasmato, a parte qualche inquadratura suggestiva qua e là, trovandolo parecchio datato e con diverse scivolate nel comico involontario, sia nelle espressioni degli attori, sia in certe scene e anche in alcune didascalie a commento delle medesime (mentre assistevo alla proiezione mi veniva di sogghignare fra me e me, riguardo al fatto che il protagonista, Nosferatu, fosse impegnato in una compravendita immobiliare e che gli altri 2 personaggi maschili principali, diventati vampiri essi stessi nel corso della vicenda, fossero l'uno il capo dell'agenzia immobiliare e l'altro il suo sottoposto spedito dal primo in Transilvania a trattare con l'acquirente tutta la faccenda; se si pensa che Nosferatu ha deciso di acquistare proprio la casa abbandonata di fronte alla residenza di quest'ultimo, pensando a certe mie disavventure immobiliari dalle quali non sono ancora venuto fuori, sarà forse un caso che in un film in cui si tratta di vampiri, ci siano di mezzo proprio degli agenti immobiliari? Evidentemente questa categoria professionale deve essere sempre stata costituita da sanguisughe, fin dai tempi più remoti!). Come film, mi ha impressionato più favorevolmente quello di Méliès, che ha una fantasia visionaria e degli effetti speciali decisamente notevoli, considerando l'epoca di realizzazione, quasi ai primordi dell'era cinematografica. Del commento musicale non entusiasmante, a mio avviso, ho già riferito in precedenza, per cui non mi dilungo ulteriormente. Sottolineo soltanto la consueta prestazione non più che discreta dell'orchestra del Teatro Comunale di Bologna, con una sezione ottoni come al solito un pò deboluccia e una direzione d'orchestra che non mi è parsa andare oltre una generica correttezza. Per il resto mi predispongo, salvo imprevisti, ad assistere domani sera, venerdì 1 luglio, ad assistere al 2° e ultimo cineconcerto in piazza della stagione, con la proiezione del film "Il fantasma del palcoscenico" (1927) con Lon Chaney e un accompagnamento musicale dal vivo sempre con l'orchestra del Comunale che dovrebbe eseguire una partitura espressamente composta da un certo Gabriel Thibaudet (forse imparentato col celebre pianista francese Jean Yves Thibaudet?), diretta dall'autore, di cui spero di potere riferire le mie impressioni nei giorni a venire.
mercoledì 29 giugno 2011
Cineconcerto in Piazza Maggiore.
Il cineconcerto svoltosi sabato 25 giugno in Piazza Maggiore a Bologna, comprendeva la proiezione di 2 film muti, precisamente "Le Voyage dans la lune" (Viaggio nella luna, Francia 1902) di George Melies (durata circa 13 minuti) e "Nosferatu il vampiro" (Eine Symphonie Des Grauens, Germania 1921) di Friedrich Wilhelm Murnau, con l'accompagnamento musicale eseguito dal vivo dall'orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Timothy Brock. A parte le disavventure a cui ho accennato nell'articolo precedente, mi viene da osservare che, il sistema di amplificazione sonora usato per rinforzare il suono dell'orchestra non mi sembra ottimale, stante una timbrica impoverita, secca e aggressiva con dei pianissimo evanescenti e scarsamente definiti, almeno giudicando dalla posizione un pò troppo arretrata in cui mi trovavo. Ma a parte ciò quello che mi ha un pò deluso era il criterio adottato per le musiche scelte come accompagnamento sonoro alla proiezione di questi 2 film. Per quanto concerne il primo film in programma, ovvero quello di Méliès, Timothy Brock, anzichè comporre una partitura ex novo come in altre occasioni, si è limitato a rielaborare frammenti dell'omonima operetta di Jacques Offenbach, su libretto di Albert Vanloo, E. Leterrier e Arnold Mortier, un'opéra-féerie in 4 atti e 23 scene, rappresentata in prima assoluta a Parigi il 26 ottobre 1875 al Théatre de la Gaité e successivamente riallestita allo Chatelet a partire dal 31 marzo 1877, costituente una delle fonti d'ispirazione del film di Méliès. Solo che alla fine il risultato mi è parso corretto ma didascalico, oltrechè uno stratagemma utile per mungere diritti d'autore senza spremersi troppo le meningi. Insomma ho avuto una sensazione complessiva di un qualcosa di risaputo e prevedibile. C'è da aggiungere che, al termine della serata, il film è stato proiettato una seconda volta con della musica preregistrata da un complesso strumentale francese a me totalmente sconosciuto, gli AIR, con esiti, se possibile, ancora meno convincenti; questa musica moderna, di genere non classificabile, ma che mi dava l'impressione di essere vagamente new age, strideva ancor di più con le immagini del film, banalizzandone il fluire. Non mi ha persuaso affatto nemmeno l'accompagnamento musicale al film di Murnau (durata circa 93 minuti a 18 fotogrammi al secondo). Secondo quanto riportato nel pieghevole d'accompagnamento alla proiezione, distribuito al pubblico molto prima dell'inizio dello spettacolo, le musiche scritte e dirette da Timothy Brock, sono un adattamento e riorchestrazione, anche in questo caso, di un'opera preesistente, "Der Vampyr" (1826) di Heinrich August Marschner (1795-1861), rappresentata in prima assoluta il 29 marzo 1828 al Sachsische Hoftheater di Lipsia, di cui Murnau scelse l'ouverture come brano d'apertura antecedente la proiezione del film, per la prima assoluta di "Nosferatu" avvenuta il 4 settembre 1922 a Berlino. Ritengo utile, per chi non fosse stato presente in Piazza Maggiore sabato 25 giugno, riportare integralmente le note riguardanti la partitura musicale dello stesso Timothy Brock, sempre contenute nel pieghevole: "Come spesso accade per le musiche composte durante quella stagione del cinema muto, la partitura originale composta da Hans Erdmann per accompagnare 'Nosferatu', è purtroppo andata perduta. Ironicamente, le sopravvive un'opera di cento anni più antica, che lo stesso F.W.Murnau aveva scelto come preludio alla sua "Sinfonia degli Orrori". Dovendo supplire alla grave perdita della partitura originale composta da Erdmann nel 1922 (?), e dovendo creare una nuova colonna sonora per 'Nosferatu', ho pensato di cogliere il suggerimento lasciatoci da Murnau e di adattare l'intera partitura per orchestra dell'opera di Marschner, tralasciando volutamente il libretto di 'Der Vampyr', distante dall'impianto narrativo di 'Nosferatu' o del 'Dracula' di Bram Stoker. Ho dunque trascritto integralmente l'opera per utilizzarla come materiale sinfonico 'grezzo', selezionando e trasformando le scene più efficaci per questo tipo di adattamento, incorporando la parte vocale e ripartendo da zero come per la composizione di una nuova partitura per film. Ho trovato particolarmente utile il modello seguito da Schoenberg nel suo adattamento dell'opera n.6 di Haendel o del concerto per clavicembalo di Matthias Monn, ovvero la creazione di una nuova partitura che mantenga però inalterata la sonorità e le atmosfere dell'opera originale. Nonostante le differenze rispetto all'opera concepita da Marschner, ho dunque tentato di mantenere lo stesso impatto cupo e sinistro che l'autore si era ripromesso di ottenere, ispirato dalla sua grande passione per i vampiri. Persino Richard Wagner, dopo aver assistito alla prima di 'Der Vampyr' nel 1828, scrisse che a suo avviso si trattava di una delle più grandi opere 'demoniache' di tutti i tempi. L'orchestrazione originale è stata mantenuta fedelmente, con l'aggiunta di un organo e un clarinetto basso. L'organico si compone di 2 ottavini, 2 flauti, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, percussioni, organo e archi." Ho preferito riportare integralmente le note dello stesso Timothy Brock, affinchè fossero chiari anche a coloro che non erano presenti a quella serata, quali fossero i criteri di base della sua elaborazione di un commento musicale al film, ciò non toglie che il risultato finale di questa sorta di centone musicale, non mi abbia convinto particolarmente. Ma a causa di limiti di spazio e di tempo disponibile, rimando ulteriori commenti al prossimo articolo.
martedì 28 giugno 2011
Il cinema "riservato" (agli sponsor). Cine(s)concerto in piazza.
Sabato 25 giugno, in Piazza Maggiore, a Bologna, iniziava il consueto ciclo estivo de "Il cinema Ritrovato" XXV edizione, che si protrarrà fino al 2 luglio. Come serata iniziale si è avuto per la serie "Ritrovati e Restaurati", un cosiddetto cineconcerto, ossia la proiezione di 2 film muti, accompagnati da musiche eseguite dal vivo dall'orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Timothy Brock. La sorpresa negativa l'ho avuta passando in piazza intorno alle 17.30, quando ho notato che il settore transennato con i posti riservati in parte agli abbonati alla cineteca e in buona parte agli sponsor della manifestazione, era stato notevolmente ampliato rispetto al consueto, con conseguente drastica riduzione dei posti gratuiti disponibili al pubblico, per cui mi sono sentito indotto, per garantirmi un posto decente che mi consentisse di avere una visuale completa anche dell'orchestra e del direttore, a restare in loco fin da quell'ora, pur essendo l'inizio dello spettacolo fissato per le 22, al fine di non correre il rischio, andandomene per ritornarvi successivamente, di ritrovarmi in piedi in posizione defilata. Comunque sia, mi ritrovavo indietro di almeno 8 file rispetto agli anni passati. Uno dei ragazzi addetti alla transennatura, in effetti mi ha riferito che, uno degli sponsor aveva preteso almeno un centinaio di posti riservati in più rispetto al consueto e che, probabilmente, la cosa si sarebbe ripetuta anche per il prossimo cineconcerto del 1 luglio, che anche lui, personalmente, non riteneva che questa fosse la maniera giusta di mettere a disposizione del pubblico questa rassegna, di averlo fatto presente ai responsabili, ma ovviamente di essere rimasto inascoltato. Tutto nella norma, siamo in Italia e perchè mai Bologna dovrebbe fare eccezione? Infatti, poichè simili manifestazioni, per sopravvivere venendo meno i contributi pubblici, abbisognano sempre più di sponsor, ecco che la tracotanza di questi ultimi aumenta e quindi anche le loro pretese di avere posti riservati, che il più delle volte vengono effettivamente occupati solo in parte, come anche in questo caso. Visto che la faccenda si accentua di anno in anno, se si andrà avanti di questo passo la piazza verrà integralmente occupata dagli sponsor e il resto del pubblico verrà cacciato dietro la cabina di proiezione. D'accordo che lo sponsor paga, ma dopotutto ne dovrebbe ricavare un beneficio in maniera indiretta a livello d'immagine, che occupando a oltranza posti riservati a discapito del resto del pubblico, rischia di essere compromessa. Ma probabilmente sono un ingenuo, probabilmente gli sponsor se ne infischiano di tutto ciò, finanziando queste rassegne solo per ottenere degli sgravi fiscali. Con che coraggio però i responsabili di questa manifestazione, a cominciare dalla Cineteca di Bologna, invitano noi cittadini comuni mortali, attraverso campagne di sensibilizzazione, a sostenerli anche finanziariamente? Che il diavolo se li porti! Tra l'altro quella sera, quando dopo le 22, si sono decisi a togliere le transenne per consentire alle numerose persone rimaste in piedi, di occupare i parecchi posti riservati ancora vuoti, il sottoscritto, nel tentativo di guadagnare almeno una fila, si è visto bloccato e insultato pesantemente da uno dei responsabili della manifestazione, per alcuni istanti, nel mentre una gran massa di persone confluiva nel settore riservato! Insomma, siamo alle solite, purtroppo è la norma che qui da noi, simili manifestazioni siano nelle mani di ciarlatani, incompetenti, cialtroni e che noialtri si venga trattati da sudditi in ogni frangente, per cui predisponiamoci pure a inghiottire altri rospi, d'altronde ce lo meritiamo, visto che siamo un branco di vigliacchi incapaci di ribellarci in qualsivoglia maniera! Se penso che sono stato così cretino da compilare a suo tempo il modulo per fare il volontario per le manifestazioni indette dalla Cineteca! Visto il loro modus operandi, meno male che non mi hanno preso! Purtroppo in questa orrida mafiocrazia che è l'Italia, non ci si può meravigliare se ovunque trionfa l'incompetenza e l'arroganza, per vivere bene in questo paese che è diventato il paradiso dei cretini e dei farabutti, occorre avere l'encefalogramma piatto! Tornando alla sera del 25 giugno, per giunta, intorno alle 20, delle ragazze addette alla manifestazione, ci hanno fatto alzare dalle sedie, poichè dovevano appiccicare su ciascuno schienale delle patacche autoadesive recanti la pubblicità di uno degli sponsor, ovvero un grosso gruppo assicurativo. Insomma questi sponsor rompono maledettamente i testicoli! Andassero al diavolo (e con essi anche le manifestazioni che sponsorizzano, che divengono loro ostaggi)!!! (Le considerazioni musicali riguardo al cineconcerto le rimando al prossimo articolo)
sabato 18 giugno 2011
Nemo propheta in patria.
Sul numero di giugno del mensile BBC Music Magazine (Vol.19, n.9), a pag. 18, c'è una rubrica intitolata: "MUSIC TO MY EARS" (ovvero musica per le mie orecchie), avente come sottotitolo "What the classical world is listening to this month" (cosa ascoltano i musicisti in questo mese), in cui viene chiesto ai medesimi quali siano i loro gusti musicali. Quello che mi ha colpito favorevolmente è che uno degli intervistati, il direttore d'orchestra e compositore anglosassone Ronald Corp, a un certo punto dichiara, a proposito dei suoi ascolti più recenti: "I have an obsession with opera, and have a collection of almost every one that has ever been recorded. Smareglia's 'Nozze Istriane' is just wonderful. Written in 1905, it's very like Puccini but reminds me much more of Mascagni in a way. There's no reason at all why we don't know this piece and aren't all performing it, but for some reason it has got lost over time." (Ho un'ossessione per l'opera, e posseggo una discoteca comprendente quasi tutto quanto sia mai stato inciso. L'opera 'Nozze Istriane' di (Antonio) Smareglia è proprio una meraviglia. Composta nel 1905, è molto influenzata da Puccini come stile, ma mi fa pensare assai di più a Mascagni, per un certo verso. Non c'è affatto alcuna ragione affinchè non si possa conoscere questa musica e non si possa eseguirla integralmente, ma per chissà quali ragioni essa è caduta nel dimenticatoio, col trascorrere del tempo.) Parole sante che fanno un pò di giustizia a una figura di musicista nostrana ingiustamente dimenticata, ammirata anche da Arturo Toscanini e che dovrebbero fare impallidire di vergogna tutti gli addetti ai lavori nostrani, a cominciare dai responsabili artistici delle stagioni teatrali fino agli stessi musicisti. Se si pensa inoltre che, su qualunque supporto audiovisivo, nulla è attualmente reperibile di questo autore (le uniche edizioni in cd di 'Nozze Istriane' diretta da Manno Wolf-Ferrari e de 'La Falena' diretta da Gianandrea Gavazzeni, pubblicate ambedue a suo tempo da Bongiovanni, temo che siano fuori catalogo), preferendo il mercato video-discografico ammanirci inutili nuove incisioni o riedizioni di ennesime 'Traviate', 'Bohème', 'Barbieri di Siviglia', 'Madame Butterfly' e via di questo passo, solo per limitarci all'opera italiana, con tutto il rispetto possibile per questi autentici capolavori, ma che proprio per il fatto che sono troppo inflazionati, mi escono veramente dalle orecchie, insomma ci sarebbe veramente di che indignarsi. Mi ricordo solo che, tantissimi anni fa, fra gli ospiti di una puntata del 'Maurizio Costanzo Show', ci fu una persona, di cui non ricordo il nome, che cercò di perorare la causa del musicista triestino. A parte questo, non è la prima volta che musicisti e appassionati stranieri ci danno delle autentiche lezioni in tale ambito, che ovviamente continuano a rimanere completamente ignorate dalle nostre parti. Sempre rimanendo in Inghilterra e sempre a proposito di compositori italiani, non si può ignorare che il defunto direttore d'orchestra Edward Downes, ha inciso a suo tempo 4 cd per la Chandos di musiche di Ottorino Respighi, poco conosciute anche se valide, come la Sinfonia Drammatica, il Concerto Gregoriano, il Poema Autunnale, la Ballata delle Gnomidi, il Concerto in Modo Misolidio e altro ancora, essendo stato oltretutto noto in patria come alfiere delle opere di Giuseppe Verdi, finendone col dirigerne ben 25 sulle 28 da lui composte (credo ben più di qualunque direttore verdiano delle nostre parti). Inoltre, sempre in Inghilterra, è da parecchio tempo attiva la 'Donizetti Society', che molto ha fatto per ampliare la conoscenza delle opere del compositore bergamasco, collegata con la nota casa discografica Opera Rara, che altrettanto sta facendo nella riesumazione di titoli desueti del nostro melodramma e non solo, in barba alla nostra assurda esterofilia. Quanti autori nostrani, oltre ad Antonio Smareglia, aspettano inutilmente di essere riscoperti o essere eseguiti assai più spesso di quanto non siano come Riccardo Pick-Mangiagalli, Renzo Rossellini (fratello del più celebre regista Roberto, di cui realizzò, tra l'altro, le musiche per il film 'Roma città aperta'), Franco Alfano, Franco Mulè (fratello dell'attore Francesco Mulè), Gian Carlo Menotti, Lodovico Rocca, Alberto Franchetti, Ermanno Wolf-Ferrari, Giorgio Federico Ghedini, Mario Peragallo, solo per fare alcuni nomi a casaccio. Ma è tutto inutile, temo. A fare questi discorsi ci si sente proprio delle mosche bianche. Vox clamantis nel deserto!
Uno, nessuno, centomila.
Ho notato spesso che molte discrepanze riguardo alle opinioni su un qualsivoglia spettacolo teatrale o manifestazione artistica, non sono dovute unicamente ai nostri gusti soggettivi, ma anche e soprattutto alla diversa modalità di fruizione del medesimo da parte dello spettatore o ascoltatore. Nel caso per l'appunto di una rappresentazione di un'opera lirica o di un concerto di musica colta, l'impressione soggettiva muta considerevolmente, a seconda che si assista allo spettacolo o nel medesimo luogo in cui si sta svolgendo (e all'interno di esso, a seconda della posizione che ci si trova a occupare, ovverosia se si è seduti in platea o nei palchi, oppure ci si trovi in piedi, se si è nelle prime o nelle ultime file, o addirittura in fondo alla sala, ecc.), o lo si guardi in televisione, o lo si vada a vedere nelle sale cinematografiche che si collegano in diretta coi teatri, o che lo si visioni dallo schermo gigante posto in piazza, o collegandosi su un sito internet e osservandolo attraverso le riprese effettuate da una webcam, oppure fruendone successivamente attraverso un qualsivoglia supporto audiovisivo, o ascoltandolo semplicemente alla radio. Insomma a tante modalità di fruizione di uno spettacolo, corrispondono altrettanti approcci diversificati da parte delle persone che ne fruiscono, che assieme ai gusti soggettivi connaturati in ciascuno di noi, hanno la loro importanza nel determinare l'opinione complessiva che ognuno di noi può avere su una determinata rappresentazione musicale. La diversa modalità di fruizione, può anzi portare a una tale divaricazione di opinioni personali su un dato spettacolo, che è come se ogni individuo avesse assistito a uno spettacolo completamente diverso rispetto alle altre persone che vi hanno presenziato. Per esempio, la radio, per sua stessa natura, porta ovviamente a concentrarsi in esclusiva sull'aspetto uditivo, il che enfatizza eventuali pecche esecutive, che possono passare del tutto inosservate a chi assiste alla medesima rappresentazione in teatro, dove soprattutto nel caso di un'opera lirica, l'elemento visivo distoglie parzialmente l'attenzione dello spettatore da quello uditivo e dove anzi conta assai di più l'interazione complessiva fra quello che si ascolta e ciò che si vede. Così come eventuali limiti di capacità attoriali ossia recitative da parte dei cantanti lirici, ed eventuali mende nei costumi, nelle scenografie e nella regia, possono essere avvertite in maniera diversa, a seconda della posizione che ci si trova a occupare nel luogo in cui si svolge lo spettacolo. Nel caso poi di una ripresa in video di detto spettacolo, entra in ballo anche la bravura e la competenza del regista preposto a tutto ciò (talvolta è la stessa persona che si occupa anche della regia teatrale, ma nella stragrande maggioranza dei casi trattasi di 2 soggetti distinti e spesso in contrapposizione), la sagacia nella scelta del numero e della disposizione delle telecamere, la qualità intrinseca della ripresa stessa, tanto che, se una pessima regia video può arrivare a svilire una componente visuale all'origine valida, per contro una regia particolarmente efficace può arrivare a rendere quanto meno accettabile se non addirittura far sembrare bello uno spettacolo caratterizzato all'origine, anche da pecche vistose sul piano visivo (insomma, a volte può operare quasi un miracolo, come testimoniato da diverse regie del maestro assoluto in questo campo, ovvero Brian Large, un nome, una garanzia!). Discorso simile per quanto concerne la ripresa dell'audio, dove ovviamente conta in primis, la bravura del tecnico del suono, il numero e la disposizione dei microfoni nella sala, la bontà intrinseca della catena di registrazione e via di questo passo. In più c'è da aggiungere che l'impressione muta considerevolmente se si assiste a una ripresa in diretta o in differita, poichè nel primo caso i suoni e le immagini, pur con le inevitabili imperfezioni, hanno una freschezza e un'immediatezza che si perdono nel caso di una trasmissione in differita, dove per quanto possibile, il tutto viene ripulito e riaggiustato e quindi eventuali imperfezioni vengono eliminate o grandemente ridotte (soprattutto attraverso il montaggio dei momenti migliori delle singole rappresentazioni di uno stesso spettacolo - stante il fatto che ogni lavoro in cartellone viene rappresentato più volte nell'arco di una stagione teatrale, nella maggior parte dei casi), ma ovviamente a discapito di quella sensazione di freschezza e immediatezza propria di una ripresa in diretta, anzi, in certi casi, finendo col produrre un effetto complessivo di eccessiva asetticità. Per giunta l'impressione complessiva su una rappresentazione lirica o un concerto strumentale può ulteriormente mutare qualora il tutto finisca su un qualsivoglia supporto audiovisivo ai fini di una sua diffusione commerciale, poichè il segnale audiovisivo può subire ulteriori rielaborazioni, ripuliture e aggiustamenti di varia natura che ne possono alterare anche notevolmente l'essenza. Ho personalmente constatato che, se ascolto uno stesso concerto sinfonico su un cd o un dvd, l'impressione complessiva muta parecchio (lo affermo pur sapendo di correre il rischio di risultare lapalissiano), per cui la domanda mi sorge spontanea: qual'è il vero spettacolo teatrale? Quello a cui si assiste in teatro o quello che si guarda in televisione o si ascolta alla radio, per esempio? Tutti o nessuno? L'unica risposta che arrivo a dare è UNO, NESSUNO, CENTOMILA. Ma proviamo a guardare alla faccenda anche da un'altra prospettiva, ossia quella dei musicisti, ovvero degli esecutori, in particolare riferendomi al direttore d'orchestra (o maestro concertatore e direttore d'orchestra, nel caso delle opere liriche). Egli deve cercare di fare in modo che gli equilibri fra le varie famiglie strumentali di un complesso strumentale e fra queste ultime e le voci che riesce a ottenere dal podio e che si odono nel palcoscenico e nella fossa orchestrale, siano i medesimi che possa percepire il pubblico in platea e nei palchi, ossia in ogni angolo nella sala, tenendo anche conto che l'acustica complessiva della medesima, muta considerevolmente a seconda che sia piena, semivuota o del tutto vuota e deve avere ben presente tutto ciò anche durante le prove che precedono lo spettacolo che, a parte il caso della prova generale sovente aperta al pubblico, normalmente si svolgono col teatro vuoto. Insomma deve avere una sensibilità, un acume ed un intuito eccezionali, poichè non credo che queste cose si possano imparare in alcuna scuola, ma occorra maturarle sul campo. Forse non sapete che la tanto decantata acustica del teatro di Bayreuth ha una singolare caratteristica che rende più difficoltoso il lavoro del direttore d'orchestra, ossia un certo ritardo del suono dei cantanti rispetto a quello dell'orchestra, che obbliga il direttore a dare la battuta a questi ultimi con un certo anticipo, per far sì che il tutto risulti il più possibile in sincronia. Stante il fatto che la Bayreuth Festspielhaus venne voluta e progettata appositamente dallo stesso Richard Wagner come ambiente ottimale per la rappresentazione delle sue opere comprese fra "Der fliegende Hollander" e "Parsifal" (caso credo unico nella storia della musica di un compositore che riesce a coronare il sogno di vedere realizzato un luogo deputato unicamente alla rappresentazione delle proprie opere), mi sono sempre chiesto se, questa singolare caratteristica acustica sia stata voluta dal musicista medesimo (e in tal caso mi piacerebbe conoscerne il motivo) oppure se sia del tutto accidentale. Fu proprio lo stesso Wagner a introdurre nel teatro lirico la cosiddetta fossa orchestrale o buca (da lui enfaticamente definita golfo mistico), mentre prima l'orchestra era posizionata sullo stesso livello del palcoscenico, risultando perciò più disturbante per la visione complessiva. A riprova di quanti elementi concorrano a rendere influenzabile l'acustica di un teatro, mi ricordo che, per la celeberrima incisione della "Tosca" di Giacomo Puccini, con Maria Callas, Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi nei ruoli principali, coi complessi della Scala diretti da Victor De Sabata, realizzata per la Emi nel 1953, in studio (ovvero col teatro vuoto), il produttore discografico Walter Legge, volle che, durante le sessioni di registrazione, tutti gli ordini di palchi, venissero chiusi con delle assi in legno, al fine di ottenere una maggiore presenza e brillantezza del suono in sala, ai fini ovviamente di una migliore ripresa audio in fase di registrazione. Una delle storture attuali del teatro lirico, secondo me, è l'eccessiva preponderanza che ha assunto la figura del regista teatrale, mentre invece non ci si dovrebbe mai dimenticare che il motore principale, il propulsore di tutta la faccenda, resta e non può essere che la musica, a cui tutte le altre componenti si dovrebbero subordinare e garante di tutto ciò, dovrebbe essere, per l'appunto, il cosiddetto maestro concertatore e direttore d'orchestra. Sfortunatamente troppo spesso avviene il contrario, con una serie di nefaste conseguenze. Non dimentichiamoci che fra i più quotati registi di opere liriche, troviamo anche un certo Luchino Visconti, tra l'altro diplomato anche in violoncello, guarda caso! Mi ricordo anni fa, trovandomi nel negozio di dischi 'Nannucci' di Bologna, di avere sentito un idiota vantarsi con un commesso di essere stato a Londra a 'sentirsi le "Nozze di Figaro" di Vick'. Mi sono trattenuto a stento dall'apostrofarlo, avendo una voglia matta di dirgli che lui in realtà era andato a 'vedere "Le nozze di Figaro" di un certo Wolfgang Amadeus Mozart, con la direzione d'orchestra di un certo Sir Charles Mackerras e infine con la regia teatrale di un certo Graham Vick!'. Ma l'esperienza m'insegna che, con simili trogloditi, purtroppo non c'è più nulla da fare, alla fine se avessi parlato avrei ottenuto d'inimicarmi anche il commesso, ossequioso verso un cliente così danaroso, per cui è stato giocoforza tacere. Ho citato questo fatterello per dimostrare una delle tante conseguenze nefaste prodotte attualmente sul pubblico degli appassionati, dallo strapotere registico nel teatro d'opera. A tal proposito mi riservo di fare ulteriori riflessioni sull'argomento, sul quale mi piacerebbe di raccogliere le più svariate opinioni, alla prossima occasione, sperando almeno di avere fornito ai miei 23 lettori, qualche spunto di riflessione e discussione.
venerdì 17 giugno 2011
Ulteriori cenni tecnici sui vinili e sui cd.
(Segue) Il colore nero del vinile è dato dalla presenza di nerofumo nella sua pasta, altrimenti allo stato naturale sarebbe del tutto trasparente. Il nerofumo credo che sia stato scelto per via del fatto che migliori la resistenza meccanica del supporto, anche se sono stati realizzati vinili speciali di vari colori (per esempio giallo, rosso, arancione, rosa, ecc.) per edizioni discografiche particolari, anche se in questi casi a volte la qualità di stampa risulta inferiore a quella dei dischi in nerofumo. Esistono anche i cosiddetti picture-disc, sulle cui facciate sono impresse delle vere e proprie illustrazioni a colori, sempre a discapito però della qualità intrinseca dello stampaggio. Gli apparecchi di riproduzione deputati, ossia i giradischi, rispetto ai lettori digitali, soffrono maggiormente le cosiddette fluttuazioni di velocità (wov and flutter) che se troppo accentuate, possono produrre degli slittamenti tonali udibili sul suono, ma ovviamente se l'apparecchio è ben realizzato dal punto di vista meccanico, le fluttuazioni restano entro limiti tollerabili dall'orecchio; sotto questo aspetto i migliori giradischi sono quelli a trazione diretta con servocontrollo di velocità ad oscillatore al quarzo; l'importante è che il valore pesato delle fluttuazioni non superi il +-1 per cento. Altra caratteristica è lo scarto dalla velocità di rotazione nominale (33 o 45 giri), ossia la precisione della medesima, indice dell'accuratezza della realizzazione meccanica dell'apparecchio, che non deve superare il +-2 per cento, per non causare un eccessivo spostamento del baricentro tonale del suono. Il compact disc, supporto digitale a lettura ottica, ovvero senza contatto meccanico del supporto da parte della testina di lettura, non soffre praticamente per nulla di questi problemi, in quanto i lettori digitali hanno dei meccanismi di rotazione più compatti, leggeri e precisi, dalle fluttuazioni di velocità pressochè nulle, dotati anch'essi di servocontrollo con oscillatore ai cristalli di quarzo. La testina laser di lettura, con la lente di riflessione in cristallo o, più frequentemente in plexiglass, ha una lunghezza d'onda di 780 nanometri (di 800 nm negli apparecchi prodotti inizialmente) ed adotta un laser a semiconduttore AlGaAs (nel caso dei dvd/sacd la lunghezza d'onda scende a 650 nm, mentre nei Blue-ray Disc e nei defunti HDDVD, scende ulteriormente a 450 nm). Il dischetto, del diametro di 12 cm. (esistevano anche dei cd-single da 8 cm.), dallo spessore di 1,2 mm., ha un senso di rotazione antiorario (visto dal lato del tracciamento) e a differenza del vinile una velocità angolare variabile (dai 500 giri al minuto, partendo dalla zona centrale, ai 200 giri al minuto arrivando al bordo esterno) anzichè costante e al contrario una velocità lineare pressochè costante (1,2-1,4 metri al secondo). La distanza tra le tracce è di 1,6 micrometri, la lettura del supporto, inciso su singola facciata, avviene dall'interno verso l'esterno e il massimo minutaggio contenibile dal supporto è di circa 83 minuti. L'anima interna del cd è in resina plastica, rivestita per metallizzazione, generalmente di alluminio (fra i metalli impiegati figurano a volte il bronzo, il rame, leghe in similoro, oro a 24 carati) e ricoperta da uno strato protettivo di policarbonato trasparente. Il sistema digitale, in quanto basato sul sistema binario, richiede un dispositivo di correzione degli errori di lettura siglato CIRSC (Cross Interleaved Read Solomon Code). Il formato del segnale audio ha una quantizzazione di 16 bit lineari per canale, con una frequenza di campionamento di 44,1 khz. Ho così cercato di dare qualche sommario ragguaglio tecnico, pur sapendo di correre il rischio di risultare tedioso, poichè ritengo che sia cosa utile conoscere più a fondo le caratteristiche intrinseche dei supporti deputati all'ascolto della musica, o almeno così mi auguro.
giovedì 16 giugno 2011
Cenni tecnici sul vinile e sul compact disc.
Prendendo sempre spunto dall'approssimarsi dell'apertura della mostra sul vinile al Museo della Musica di Bologna che si svolgerà dal 18 al 30 giugno, ne approfitto per cercare di dare qualche ragguaglio tecnico su quest'ultimo e sul suo contraltare, ovvero il cd, ritenendo non inutile che anche l'appassionato musicofilo possa farsi un'idea più precisa delle caratteristiche intrinseche di questi 2 supporti che, non dimentichiamolo sono deputati alla riproduzione della musica e in quanto tali degni di essere trattati anche in un sito come questo, avente ambizioni musicologiche, stante anche la cattiva informazione che viene spesso data al riguardo. Il disco in vinile, del diametro usuale di 30 cm., ruotante alla velocità di 33 1/3 giri al minuto, venne introdotto negli Stati Uniti nel 1948 dalla Columbia Records, mentre nel 1950 la RCA-Victor introdusse come risposta commerciale alla Columbia Records il disco a 45 giri, del diametro di 17 cm. Pare che la velocità di 45 giri sia stata desunta semplicemente facendo la sottrazione 78-33 che dà per l'appunto come risultato la somma di 45! Infatti il disco microsolco a 33 giri andava a sostituire l'ormai obsoleto supporto in lacca a 78 giri, con le sue facciate il cui minutaggio massimo era di non più di 5-6 minuti. La produzione di dischi a 78 giri proseguirà fino al 1956, cessando del tutto dopo tale anno. Furono anche realizzati dei dischi microsolco particolari del diametro di 40 cm., in uso presso le stazioni radio negli anni '50, tra cui anche quelle della Rai. Ma ritorniamo a parlare del vinile da 30 cm. di diametro. Il solco segue, lungo la facciata un percorso a spirale (detta spirale di Archimede) che parte dal bordo esterno verso l'interno, ha un profilo trasversale a V, che è più profondo e stretto nei dischi monofonici rispetto a quelli stereofonici, sulle fiancate recando incise le modulazioni del segnale musicale, ovviamente diverse sui 2 lati nel caso di dischi stereofonici e simmetriche nel caso di supporti monofonici. La velocità angolare è costante (33 o 45 giri), mentre la velocità lineare è variabile, ossia massima nelle spire esterne e minima in quelle interne. Per poter incidere le modulazioni del solco in modo che fossero tracciabili dalle testine fonografiche si è dovuti ricorrere a un espediente tecnologico, ossia l'equalizzazione nella fase di incisione. Nel senso che, senza equalizzazione, le basse frequenze richiederebbero delle modulazioni troppo ampie e ingombranti che nessuna testina sarebbe in grado di tracciare adeguatamente, mentre al contrario per gli acuti sarebbero troppo ridotte e la testina non le avvertirebbe, per cui in fase di incisione si effettua un'equalizzazione che attenua le basse frequenze e aumenta gli acuti, mentre in fase di riproduzione si fa esattamente il contrario, a mò di compensazione. La curva di equalizzazione universalmente adottata dal 1956 è la RIAA (Record Industry Association of America). Prima di allora, oltre a quest'ultima vi erano anche altre curve di equalizzazione (CCIR, NAB, American Decca, ecc.). Inoltre, per aggirare la scarsa separazione stereo connaturata al sistema (tenete conto che al massimo una testina magnetica dichiara al massimo 35 db di separazione ad 1 khz e 30 db a 10 khz, contro i 40 dei registratori a cassette, i 50-55 dei sintonizzatori radio FM, gli 80 dei videoregistratori Vhs-hi fi e i 90-100 e anche oltre dei lettori digitali), in fase di masterizzazione, si aumenta artificiosamente la separazione fra i canali. Il che significa che la qualità sonora dei dischi è il frutto di vari compromessi tecnologici volti ad aggirarne i limiti intrinseci. Nel 1954 il francese Andrè Charlin produsse sperimentalmente il primo disco stereo-mono compatibile, così come nel 1956 in Giappone si iniziarono a produrre dischi stereofonici. Nel 1957-58 si iniziarono a produrre regolarmente dischi stereofonici anche in America e in Inghilterra. Dai primi anni '70 fin verso la fine del decennio si produssero anche dischi quadrifonici, che non ebbero successo per varie ragioni, una delle quali era la parziale incompatibilità fra i vari standard proposti e fra essi e gli apparecchi stereofonici. Negli anni '60 la Rca introdusse i dischi Dynagroove, nei quali, in fase d'incisione, veniva introdotta artificiosamente una distorsione che doveva compensare o meglio rendere inudibile all'ascolto, l'aumento di distorsione durante il tracciamento da parte della puntina dei solchi più interni della facciata, ovvero quelli più prossimi alla zona centrale del disco e più critici all'ascolto, per via del maggior errore radiale di lettura del braccio imperniato del giradischi. Il giudizio su questi dischi Dynagroove da parte degli esperti è molto controverso e personalmente non mi pronuncio in quanto non mi ci sono mai imbattuto. Per contro mi sono imbattuto nei famigerati dischi Rca Dynaflex, dal vinile flessibilissimo e sottilissimo come un'ostia, dalla qualità sonora mediocre ovviamente, che la casa discografica spudoratamente spacciava come un'innovazione tecnologica volta a migliorare la qualità sonora e con un migliore assorbimento delle vibrazioni, stante la sua maggiore aderenza al tappetino del piatto, ovviamente sempre secondo quanto dichiarato nel retro-copertina di questi dischi, prodotti nei primi anni '70. Sapeste quante vere e proprie 'sole' ci ha rifilato l'industria discografica! (Continua)
Onanismi audiofili e altre amenità.
Ho già affermato in precedenza come certe smanie audiofile abbiano una forte componente onanistica, come per esempio nel caso delle testine fonografiche (fate caso alle ultime 2 sillabe di questa parola, sarà forse una coincidenza?) nude, tant'è che sovente la pubblicità contenuta nelle pagine delle riviste specializzate, sembra proprio ammiccare su questo tasto. Infatti, sfogliando il n.323 del mensile "Audio Review" di giugno, alla pagina 9 si trova una pubblicità di un modello di cassa acustica, precisamente la Soul Fly della Zu Audio, distribuita dalla Audio Point, recante la frase "l'anima della musica". Nella foto, ovviamente in primo piano, si vede nitidissima la cassa acustica, mentre sullo sfondo, leggermente sfocata, vi è una figura di donna in posizione eretta, nuda fino alla cintola, con le mani tenute in modo da coprirsi il seno: starebbe costei, forse, a significare l'anima della musica, come dice lo slogan pubblicitario? Quanta pedestre banalità vedo in tutto ciò, pur non volendo fare del moralismo spicciolo. O si punta proprio a vellicare le tendenze onanistiche degli audiofili onanisti, per rendere più desiderabile il prodotto? Si vuole sottintendere che 'possedere' quelle casse acustiche è come 'possedere sessualmente' una donna? A questo punto non oso nemmeno immaginare a quale uso assai poco ortodosso potrebbero essere destinati i condotti d'accordo delle casse acustiche bass-reflex, da parte di questi impallinati audiofili in fregola. D'accordo che il sesso in pubblicità sembra faccia vendere sempre e comunque di più, ma a costo di sembrare ingenuo, che relazione ci può essere fra una donna seminuda, una cassa acustica e l'anima della musica? E' ovvio che si tratta del solito espediente per aumentare il volume delle vendite, ma è proprio necessario ricorrere a tutto ciò anche nell'ambito dell'alta fedeltà, denotando oltretutto punta originalità e fantasia? Si vede che il distributore, ossia l'Audio Point, non deve nutrire eccessiva fiducia nella bontà del prodotto, se avalla una simile pubblicità che, comunque, non è certo la prima, nè ahimè l'ultima di quel genere. Il sottoscritto si ricorda ancora di quando, fra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, la successivamente defunta rivista "Stereoplay" provocò una marea di polemiche fra i lettori, per avere ospitato nelle sue pagine, un buon numero di pubblicità più o meno scollacciate, andando avanti per diversi mesi (tralaltro anche quelle del mensile erotico "Playmen" della Tattilo Editrice, che con l'alta fedeltà ci stavano come i cavoli a merenda, o forse mi sbaglio, visto che nell'arco della mia esistenza, non ho mai raggiunto l'orgasmo ascoltando un impianto stereo quale che fosse, ma devo essere decisamente anomalo), tant'è che alla fine quelle inserzioni pubblicitarie sparirono poi del tutto. Certo che la pubblicità più raccapricciante che vidi all'epoca, sempre sulle pagine di "Stereoplay", pur non essendo a sfondo sessuale fu quella di un amplificatore integrato della Luxman, di cui purtroppo non ricordo quale fosse il distributore italiano in quel periodo, nella quale per dimostrare la bontà del prodotto, si affermava che Luxman era il marchio preferito dal dittatore del Centro Africa Bokassa, (quel simpaticone responsabile di efferatezze assortite, tipo crimini di guerra e contro l'umanità, sospettato persino di atti di cannibalismo e dedito in privato anche a pratiche sessuali estreme - un esempio concreto di audiofilo infoiato, perdinci! - come dimostrò una certa oggettistica sadomaso rinvenuta, successivamente alla sua destituzione, nella sua sontuosa camera da letto, responsabile della caduta in disgrazia dell'allora presidente francese Giscard D'Estaing, colpevole di avere accettato da questo adorabile giuggiolone, un piccolo regalino, che provocò il famoso scandalo dei 'diamanti di Bokassa') come se fosse un cliente illustre di cui vantarsi. Nello slogan si affermava inoltre che il mattacchione pretendesse di avere impianti stereo esclusivamente della Luxman, in ciascuna stanza del suo lussuosissimo palazzo. Nella frase finale si enfatizzava il fatto che, se persino un personaggio così terribile (!) apprezzava unicamente i prodotti della Luxman, ciò costituiva una testimonianza inconfutabile dell'eccellenza dei medesimi. Per fortuna anche questa demenziale pagina pubblicitaria, sparì per sempre poco tempo dopo, dalle inserzioni della rivista, ciò non toglie che all'epoca mi abbia fatto un tale effetto nauseabondo, che ancora oggi, a distanza di almeno un trentennio, ogni volta che mi imbatto in un apparecchio della Luxman, ho una reazione istintiva di rigetto. Questo peraltro è l'unico caso del genere che rammento; di sicuro la Luxman non sarà l'unico marchio che conta estimatori imbarazzanti, solo che gli altri hanno la decenza oltrechè la furbizia, di non spiattellarli pubblicamente. Dubito che questa pubblicità infausta abbia avuto effetti positivi sul marchio, anche se credo che i diretti responsabili di questa bravata fossero quelli dell'agenzia pubblicitaria ai quali si doveva essere rivolto il distributore italiano dell'epoca, che però evidentemente aveva avallato il tutto, altrimenti questa corbelleria non avrebbe mai trovato posto tra le pagine di un mensile specializzato, del quale oggigiorno sopravvive soltanto l'edizione tedesca. Di sicuro c'è ancora troppa ciarlataneria che dilaga nell'ambito dell'alta fedeltà e anche gli audiofili hanno le loro colpe. In futuro mi prometto di trattare più diffusamente riguardo alle pecche delle comunità audiofile e musicofile, 2 entità che dovrebbero fondersi l'una nell'altra, a rigor di logica, visto che la passione per l'alta fedeltà dovrebbe essere la logica e naturale conseguenza della passione per la musica e viceversa, mentre invece nella realtà sembrano procedere su traiettorie nettamente distanziate, generando di conseguenza parecchie storture, che richiedono a mio parere ulteriori riflessioni.
mercoledì 15 giugno 2011
Analogie digitali.
Il disco in vinile soffre anche di altri difetti, oltre a quelli già summenzionati in precedenza, come eccentricità ed imprecisioni del foro situato al centro dell'etichetta, oltre a essere soggetto facilmente ad ondulazioni e deformazioni che, se particolarmente accentuate, possono renderne impossibile la riproduzione, ossia il tracciamento del solco modulato da parte della puntina. Inoltre, affinchè la qualità sonora sia ottimale, la durata per facciata non dovrebbe superare i 26 minuti circa, pena il ricorso a compromessi qualitativi sempre più accentuati man mano che il minutaggio cresce; effettivamente posseggo alcuni dischi con facciate che sfiorano la quarantina di minuti, anche con una qualità sonora complessivamente ottima, ma a prezzo di un livello d'incisione molto basso, che espone eccessivamente i passaggi musicali più tenui al rumore di fondo proprio del supporto, perchè, come già detto in precedenza, la musica classica, con i suoi dislivelli sonori più pronunciati rispetto agli altri generi musicali, risulta più critica da riprodurre come si deve e risente maggiormente di eventuali difetti di stampaggio del supporto vinilico. Erroneamente molti includono nella categoria del vinile anche i dischi a 78 giri, che sono in realtà delle cosiddette lacche (bachelite o ebanite), la cui produzione è cessata nel 1956 e tralaltro non sono nemmeno dei microsolco. Il vinile è un supporto a lettura meccanica, ossia la puntina della testina fonografica tocca le pareti del solco, ciò che lo rende soggetto a una progressiva usura. Ciò non toglie che un buon disco ben conservato e riprodotto da un apparecchio adeguato, possa durare tranquillamente svariati decenni, così come un cd mal stampato possa deteriorarsi irrimediabilmente anche dopo pochissimi anni (a me purtroppo è capitato di ritrovarmi con alcuni cd "abbronzati" ossia ossidatisi nell'arco di meno di 5 anni). Secondo i miei personali riscontri, l'inalterabilità del supporto a breve e medio termine è maggiore nei dischi a lettura ottica, ossia senza contatto fisico da parte della testina di lettura, come cd, dvd et similia, ma a lungo termine, ossia nell'arco di svariati decenni, è maggiore nei dischi a lettura meccanica, come il vinile. Inoltre, contrariamente a quanto si vuole far credere, quest'ultimo è meno sensibile ai graffi, alle impronte digitali (!) e alla sporcizia, rispetto al cd. Mi sono ritrovato spesso con dei dischi fortemente rigati, che all'ascolto non risultavano affatto disastrosi come temuto, mentre invece cd con segni superficiali o granellini di polvere a malapena visibili a occhio nudo, producevano sfracelli. Un fatto positivo che si è verificato con l'introduzione del cd, almeno per ciò che concerne l'ambito della musica classica, è il progressivo ampliamento del repertorio musicale, che ha reso reperibili un gran numero di composizioni di autori scarsamente o per nulla reperibili in precedenza, quando esisteva soltanto il disco in vinile (mi ricordo personalmente delle mie tribolazioni per riuscire a reperire musiche di autori di area anglosassone, scandinava, slava, ma anche nostrana, come per esempio i compositori della cosiddetta generazione dell'80 - Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi trilogia romana a parte - a causa dei quali mi sono quasi cazzottato con negozianti e commessi somari, che si irritavano enormemente per queste, a loro dire, assurde richieste da parte mia, mentre adesso, nonostante la crisi del mercato discografico globale, si possono reperire con molto maggiore facilità). In questi ultimi anni ci sono stati almeno un paio di tentativi commerciali di produrre degli apparecchi che leggessero i vinili col sistema a lettura ottica, al fine di preservarli dall'usura, ma pare che, a parte il prezzo di vendita elevatissimo, questi dispositivi presentassero tutta una serie di problemi tecnici, proprio perchè il raggio del laser, finendo con il leggere anche il fondo del solco, dove non è presente alcuna modulazione ma soltanto del rumore di fondo, risultasse ipersensibile alla polvere e alle rigature, inoltre anche la qualità sonora necessitava di alcuni filtraggi particolari per divenire accettabile, per cui la faccenda, nel giro di poco tempo, pare sia abortita definitivamente. Se ne deduce che, se un supporto come il vinile è stato progettato per una lettura di tipo meccanico, non possa essere riprodotto correttamente in un'altra modalità. Banalmente si può concludere affermando che l'unica cosa che hanno in comune un giradischi e un lettore cd (inizialmente denominato con l'orrido neologismo di giraDAD) è proprio il fatto che ambedue gli apparecchi supportano un disco che gira. Per cui sono ben contento che, nonostante le cassandre, il disco non sia affatto sparito dal mercato, pur diventando un articolo di nicchia, ma facciamo attenzione a non mitizzarlo snobisticamente, non dimenticandocene i non pochi difetti intrinseci e non demonizzando i supporti digitali come il cd.
Nostalgie.
Il compact disc rispetto al vinile, ha una maggiore praticità e maneggevolezza, ma proprio per questo una più pronunciata asetticità. Mentre il vinile, con tutta la sua ritualità preliminare alla fase dell'ascolto, consistente nel posizionare il disco sul tappetino del giradischi, avviare la rotazione del piatto dopo averne selezionato la velocità, spostare il braccio dalla sua posizione di riposo, poggiare delicatamente la puntina sulle prime spire mute del solco e una volta che quest'ultima è giunta al termine della facciata, ripetendo le medesime operazioni in senso inverso, dopodichè rigirando la facciata e ricominciando daccapo, avrebbe una tattilità più immediata e umana (il quadro cambia in parte se, anzichè possedere un giradischi totalmente manuale come il sottoscritto, si detiene un apparecchio automatico o semiautomatico), aggiungendoci la componente feticistica costituita dalle ampie custodie in cartoncino o dai cofanetti multipli in brossura, con le loro grandi illustrazioni di copertina, tacendo della presenza delle buste interne protettive di carta semplice, di carta di riso o di polietilene, con l'aggiunta a volte di inserti cartacei interni contenenti testi e/o note di commento, suscitano una serie di sensazioni di ben altra natura rispetto alle custodie plasticose dei cd, con le loro foto di copertina troppo piccole e i loro miserrimi librettini interni, dai caratteri lillipuziani, sovente di lettura disagevole. Di tutto questo molti audiofili hanno una forte nostalgia. Per non dire del fatto che la maggior parte dei dj più quotati sulle piazze internazionali, trovano assai più creativo e stimolante giostrarsi col vinile che col cd. Per quel che mi riguarda, in quanto semplice appassionato, acquirente di entrambi i supporti, ascoltare un vinile mi serve sia ad apprezzarne i pregi che a non dimenticarne i suoi difetti, ossia a non mitizzarlo eccessivamente come si fa troppo spesso, anche perchè la ritualità connaturata e di cui ho accennato prima, la trovo alquanto palloccolosa, pur ammettendo che il piacere tattile del maneggiare le loro custodie e quello visivo siano senz'altro maggiori di quelli datimi dal toccare le custodie dei cd, delle quali però apprezzo la maggiore regolarità delle dimensioni e il minore ingombro complessivo. Aggiungiamoci che la difettosità media dei cd, almeno a partire dagli anni '90, è di gran lunga inferiore a quella degli lp, il che significa che è difficilissimo che vi imbattiate in un supporto che manifesti dei difetti fisici tali da comprometterne l'ascolto, mentre col disco in vinile, stante la mediocre qualità della stampa e del materiale utilizzato nella stragrande maggioranza dei casi (e talvolta nemmeno le costosissime stampe speciali ne sono del tutto esenti), ti toccava sovente di dover riportare il titolo appena acquistato al negozio. Mi ricordo in particolare, circa una trentina d'anni fa, quando mi trovavo in Friuli per il servizio di leva, di avere sentito parlare 2 commesse di un negozio di dischi sito nel centro storico di Udine, di un loro cliente particolarmente sfortunato che incappava quasi regolarmente in copie difettose che lo costringevano spessissimo a ritornare al negozio per la sostituzione, ogni qualvolta effettuasse un acquisto. Anche il sottoscritto, pur non arrivando a questi livelli, ha avuto i suoi bei patemi d'animo, nonostante tollerassi in partenza un grado di difettosità che non compromettesse seriamente l'ascolto di ambedue le facciate, mentre invece per certi super pignoli, bastava anche un lieve soffio o crepitio o segnetto superficiale, per decidere immediatamente di riportare indietro il disco al negozio dove lo avevano comprato. In effetti, soprattutto le stampe nostrane e statunitensi, erano sovente di una qualità disastrosa, così come quelle francesi, inglesi e olandesi erano di livello mediocre, tacendo di quelle russe e degli altri paesi dell'est, tant'è che molti dei dischi che posseggo li ho ascoltati una volta soltanto poichè la loro riproduzione costituiva un vero e proprio supplizio di Tantalo per le orecchie di noi poveri tapini che li avevamo pagati a caro prezzo, per la caterva di difetti che manifestavano fin dall'inizio e che funestavano la loro fruizione ad ogni piè sospinto. Le uniche stampe che si salvavano almeno parzialmente erano le tedesche e le giapponesi, ma nemmeno in quei casi vi era di che stare particolarmente allegri. In effetti si potrebbero considerare le cosiddette stampe speciali, talvolta più a parole che nei fatti, vendute a prezzi da rapina, una vera e propria truffa perpetrata nei confronti degli appassionati, poichè la loro maggiore qualità rispetto a quelle cosiddette normali, dovrebbe in realtà rappresentare la norma, se le case produttrici fossero più serie ed oneste. Si tenga conto che, usualmente il peso di un vinile del diametro di 30 cm., varia da circa 120 a 210 grammi nel caso delle stampe speciali, mentre è generalmente intorno ai 60-90 grammi in quelle normali, anche se, essendomi imbattuto in vinili sottilissimi come un'ostia e ovviamente scadentissimi, il peso minimo sia anche notevolmente inferiore. Inoltre non è solo il peso a determinare la qualità del supporto, poichè tanto è maggiore tanto è migliore la sua capacità di assorbimento delle sollecitazioni meccaniche indottegli dal contatto con la puntina, anche la qualità intrinseca del vinile concorre a determinarne la rumorosità intrinseca di fondo e quindi la bontà o meno della riproduzione sonora. Nel senso che, in linea teorica, i dischi dovrebbero essere prodotti unicamente con del vinile vergine, senonchè quest'ultimo viene spesso miscelato variamente con una certa percentuale di vinile riciclato derivante dagli scarti di lavorazione, a tutto detrimento della qualità sonora e ulteriore riprova della scarsa serietà delle case produttrici. Purtroppo ho personalmente rilevato che dei vinili che ho conservato con ogni cura nel corso degli anni, pur essendo di discreta qualità di stampa, riascoltati a distanza di parecchio tempo, manifestavano tali e tanti difetti, a cominciare dagli odiosissimi salti di nota, da renderne disagevole l'ascolto. Per giunta i dischi microsolco, stante la natura del materiale di cui sono fabbricati, cloruro di polivinile, sono particolarmente sensibili alle cariche elettrostatiche, aventi anche quest'ultime delle conseguenze nefaste sulla piacevolezza complessiva dell'ascolto. E per il momento mi fermo qui.
martedì 14 giugno 2011
Analogie.
L'approssimarsi di sabato 18 giugno, giorno in cui al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, sito in Palazzo Sanguinetti, strada Maggiore 34, a Bologna, prenderà il via la rassegna "VinileFuturoAnteriore", mi offre il destro per alcune riflessioni sull'eterna diatriba fra suono analogico e suono digitale, anche se, a voler essere pignoli, il suono digitale in senso letterale, non esiste affatto, per la semplice ragione che, in natura, i suoni che vengono emessi sono caratterizzati da una forma d'onda analogica, che per essere registrati da apparecchiature digitali (anche se linguisticamente sarebbe più esatto usare l'aggettivo numerico, o forse meglio ancora numerale, poichè in questo caso digitale è in realtà un inglesismo da supermercato, essendo derivato dalla parola inglese digit, cioè cifra, mentre nella nostra lingua la parola digitale come sostantivo ha il significato di fiore, o veleno e come aggettivo si riferisce alle dita della mano - per esempio, il tocco digitale di un pianista, ecc.), necessitano di un dispositivo, detto convertitore, che muta per l'appunto il segnale analogico in ingresso, in un segnale digitale in uscita, che viene successivamente trattato dalle apparecchiature di registrazione, dopodichè necessita di una seconda riconversione che ritrasformi il segnale digitale in ingresso, in un segnale analogico in uscita, per l'altrettanto semplice ragione che, le nostre obsolete e dispettosissime orecchie, si ostinano a voler udire i suoni unicamente in formato analogico, che ci volete fare ragazzi! Ma per comodità di convenzione è ovviamente più semplice parlare di suono analogico e suono digitale. C'è da aggiungere un'altra considerazione: che il supporto che normalmente viene usato come riferimento per l'audio analogico, quello che ai miei tempi si chiamava semplicemente disco, o 33 giri, o LP (Long Playing, ovvero lunga durata) e che adesso viene pomposamente chiamato vinile dagli spocchiosi, non sarebbe affatto, secondo gli esperti, il non plus ultra in tale ambito, essendo in realtà una pallidissima copia del supporto analogico per antonomasia, ovvero il nastro magnetico in bobina. Personalmente, non essendomi imbattuto in alcun registratore a bobina, per via del suo alto costo e della sua scarsa reperibilità (mi riferisco ovviamente ai modelli pensati per l'alta fedeltà e non certo al famoso, all'epoca, "Gelosino"), non ne ho esperienza diretta, ma, in casa, possiedo qualcosa che, quantomeno, ci si avvicina molto, ossia il videoregistratore Vhs Hi-Fi, che se usato soprattutto in modalità solo audio, per esempio volendovi registrare una trasmissione radiofonica, ha una qualità sonora eccellente, poichè in questo caso, registrando il solo segnale audio, tutti i difetti normalmente attribuibili all'audio delle videocassette, a cominciare dai frequenti rumori impulsivi, spariscono del tutto, con una grande silenziosità e pulizia e con un drastico miglioramento di tutti i parametri sonori, anche usando videocassette economicissime, che rendono la registrazione praticamente indistinguibile dall'emissione originale, peccato solo per la scarsa praticità e deteriorabilità nel tempo del supporto. Insomma, se usato in questa modalità, il videoregistratore Vhs Hi-Fi, avrebbe una qualità sonora vicinissima a quella di un registratore a bobine professionale, come mi ha anche confermato un mio amico ex disc-jockey e tecnico del suono. Infatti ogni volta che ho effettuato registrazioni dalla radio con questo sistema, il risultato era sempre notevolissimo dal punto di vista della qualità sonora, in questo caso lo posso proprio confermare personalmente. Il disco o vinile che dir si voglia, resta comunque il supporto analogico più diffuso e abbordabile e anche questo ha senz'altro contribuito a farne un riferimento in ambito analogico. Ciò non toglie che talvolta venga troppo mitizzato. Il sottoscritto, possedendo sia il vinile che il cd, lo ha constatato personalmente. Di per sè l'audio analogico rispetto a quello digitale (o meglio trattato digitalmente) ha una maggiore rotondità musicale, che si traduce in una minore fatica d'ascolto, delle basse frequenze più articolate ma meno profonde e potenti, degli acuti più morbidi con una migliore riproduzione degli armonici, ma con una gamma dinamica leggermente inferiore e un'immagine sonora leggermente superiore, questo almeno in teoria. L'audio digitale ha una maggiore rigidità armonica, che si traduce in una fatica d'ascolto più pronunciata, delle basse frequenze più profonde e potenti ma meno articolate, degli acuti tendenzialmente più taglienti, ma una gamma dinamica superiore e un'immagine sonora di poco inferiore, sempre in teoria. Questi, molto in sintesi, i pregi e i limiti di ambedue i sistemi; in effetti l'ideale sarebbe avere un sistema con i pregi di ambedue senza averne i difetti, ovvio, cosa che si è tentata con l'SACD e il DVD-AUDIO, senza successo, che si sta ritentando anche con il BD-AUDIO (vedremo poi come andrà a finire anche stavolta). Mi sia consentito di aggiungere una considerazione personale: secondo me il digitale ha una maggiore capacità di contenimento fisico di opere musicali per vasto organico, tipo la sinfonia n.8, ovvero la cosiddetta sinfonia dei mille, di Gustav Mahler, rispetto all'analogico che in questi casi viene messo alle corde, almeno questa è la mia impressione uditiva. Tornando al vinile, purtroppo quest'ultimo, stante la qualità di stampa spesso scadente, ha dei difetti che ne minano parecchio le potenzialità sonore, a cominciare da rumori impulsivi, fruscii, soffi, crepitii, ondulazioni, eccentricità, distorsioni da tracciamento, spesso, nel caso della musica classica, caratterizzata da dislivelli sonori più pronunciati rispetto agli altri generi musicali, i passaggi in pianissimo risultando sommersi dal rumore di fondo, mentre i fortissimo sono funestati dalla distorsione. Il supporto digitale ha un altro vantaggio rispetto al vinile, quello di avere un minutaggio ben più ampio rispetto a quest'ultimo (il massimo minutaggio di una facciata di vinile è stato di circa 45 minuti, ma a prezzo di notevoli compromessi qualitativi, per varie ragioni tecniche) che consente l'ascolto ininterrotto, o con un minor numero di cambi di facciate, di opere musicali di ampio respiro, a tutto vantaggio della continuità musicale. Certo, con le cosiddette stampe speciali, i difetti di rumorosità del vinile si attenuano pur non sparendo completamente, ma c'è da rilevare che questi dischi particolari, costano spesso un bel pò, per non dire proprio troppo. Ragioni di tempo mi inducono a sospendere momentaneamente questo discorso che intendo riprendere quanto prima.
Radiotre fa senso.
Ovvero fa proprio schifo! Nel senso che, sabato 11 giugno alle ore 20, doveva esserci la messa in onda in differita, dell'opera in un prologo e 3 atti "Senso" di Marco Tutino, tratta dall'omonimo romanzo di Camillo Boito e commissionata dal Teatro Massimo di Palermo, sempre in virtù della ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, preceduta da una breve intervista telefonica in diretta al compositore medesimo. Senonchè, dopo avere trasmesso il prologo seguito dal 1° atto dell'opera, il conduttore di Radiotre, Guido Zaccagnini, annuncia che, per non meglio specificati motivi tecnici, i restanti 2 atti non sarebbero stati trasmessi, sostituiti quindi dalla trasmissione di un concerto pianistico lisztiano con Daniel Barenboim, registrato qualche mese fa dal Teatro alla Scala di Milano, scusandosi di tutto ciò, oltre che coi radioascoltatori, anche con Tutino medesimo (e ci mancherebbe proprio!), rinviando la riproposta dell'intera opera a data da destinarsi. Potete immaginarvi le bestemmie e le imprecazioni del sottoscritto, che aveva programmato il proprio apparecchio per la registrazione di tutto ciò, che una volta ritornato a casa, si è ritrovato con questa bella sorpresa! Tanto più che a giudicare dall'ascolto del prologo e del 1° atto, il lavoro prometteva bene, a mio modesto parere! Speriamo quindi che, per la riproposta dell'intera opera, non ci facciano aspettare le calende greche, o peggio ancora, non la cancellino definitivamente, poichè dai soloni di Radiotre ci si può aspettare veramente di tutto! Comincio anzi a pensare che il titolo "Senso" porti anche iella, stante che, l'estate scorsa, in Piazza Maggiore, qui a Bologna, durante la consueta rassegna dedicata al cinema ritrovato, ossia ai vecchi film restaurati, la sera in cui era in corso la proiezione del film "Senso" di Luchino Visconti, tratto ovviamente dal medesimo soggetto, la pellicola si bloccò ben 3 volte, facendo stare il pubblico per altrettante col fiato in sospeso, inoltre la 3° volta, la pellicola ripartì da una sequenza successiva rispetto a quella in cui si era verificata l'interruzione. Per giunta, l'opera di Tutino, che avrebbe dovuto avere la prima assoluta il 14 gennaio scorso, venne rinviata al 28 dello stesso mese, a causa dello sciopero delle maestranze del teatro, proclamato per protestare contro il decreto che prevedeva i tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (in effetti la data del 20 gennaio dichiarata dal conduttore di Radiotresuite per la registrazione dell'opera, non mi torna, ma può essere che la mia memoria m'inganni). Quando, finalmente, le rappresentazioni dell'opera hanno avuto corso, ciascuna di esse era sempre e comunque preceduta da qualche comunicato sindacale, in un'atmosfera che rimaneva tesa in ogni caso. Sarà una coincidenza, ma ricordo che, proprio in quel periodo intravidi Marco Tutino al tavolo del bar di una nota libreria del centro storico di Bologna, in compagnia di una ragazza dai tratti orientali, notando che, quella sera, il compositore sembrava avere un'espressione affranta sul volto, tenuto anche conto che, nel settembre dell'anno scorso si era dovuto dimettere dalla carica di sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, fra mille polemiche. Adesso, come ciliegina sulla torta, ci aggiungiamo lo scherzetto fattogli da Radiotre sabato scorso, con la mancata trasmissione integrale della sua nuova opera e a questo punto ci sarebbe solo da fare gli scongiuri! Peccato, perchè intendevo riportarne le mie personali impressioni in questa sede, sinteticamente, poichè essendone già state recensite le rappresentazioni sulle principali riviste specializzate nel frattempo, non era comunque il caso di dilungarsi eccessivamente, proprio per non cadere nel rischio del risaputo. Ma, per fortuna, i grandi mascalzoni di Radiotre, mi hanno brillantemente risolto il problema, per cui rimando il tutto a un'eventuale ritrasmissione completa dell'opera (almeno si spera). Viva la Rai!
venerdì 10 giugno 2011
La musica e la sua riproducibilità.
I rapporti fra la musica e le apparecchiature atte alla sua riproduzione sonora, sono sempre stati controversi e contraddittori. Non per niente, come affermato dal direttore e pianista argentino Daniel Barenboim, la musica è la più accessibile e al contempo, la più elusiva fra le forme artistiche. E' la più accessibile, in quanto per fruirne non necessita di conoscenze specifiche, nè tantomeno di conoscenze linguistiche, in quanto linguaggio universale, capace di penetrare nel profondo dell'animo umano, senza barriere, ma è anche la più elusiva, in quanto non si può nè vedere, nè tantomeno toccare, ma solo ascoltare, inizia a esistere quando principiano i primi accordi e cessa quando si spegne l'eco dell'ultimo suono, è un divenire continuo, ossia nel lasso di tempo che intercorre fra il suo inizio e la fine è perennemente mutevole, è ripetibile, ma mai nella stessa identica modalità, a meno che, forse, non sia riprodotta da qualche macchinario, anzichè eseguita da degli esseri umani in carne e ossa, ha la caratteristica di potere esprimere più sensazioni contrastanti contemporaneamente così come di esprimere degli stati d'animo impossibilmente o difficilmente descrivibili a parole. La partitura è una rappresentazione grafica di segni espressivi che in sè sono morti, se non si è in grado di tradurli in suoni. Per sua stessa natura la musica è un qualcosa di impossibile a descriversi usando le parole; come ha affermato Barenboim, si può parlare intorno alla musica, ma mai su di essa. Provate a leggere una qualunque analisi musicologica di un certo brano musicale, dopodichè se passerete alla fase dell'ascolto, vi accorgerete che nemmeno l'analisi più dotta e minuziosa vi può dare un'idea effettiva della sensazione che detto brano produrrà su di voi come ascoltatore. Aggiungasi che spesso, le guide all'ascolto in cui ci si può imbattere sono di una noia mortale, poichè spesso redatte da presuntuosi che credono di poter rendere adeguatamente a parole un qualcosa di intrinsecamente indescrivibile, finendo solo con lo sbrodolarsi addosso e la frittata è completa! Da ciò se ne potrebbe dedurre che non abbia alcun senso scrivere di argomenti musicali, ma io dico che se si è ben consapevoli di tutto ciò, si può ugualmente aiutare l'appassionato più o meno evoluto, così come invogliare il neofita inesperto ad esplorare questo universo così complesso ed affascinante, semplicemente trattando l'argomento in maniera indiretta, ossia per l'appunto parlandoci intorno. Affermazioni non troppo dissimili da quelle di Barenboim, le ha fatte anche colui che è stato senz'altro uno dei divulgatori musicali più grandi di tutti i tempi, se non il più grande in assoluto, ovvero il compositore, direttore e pianista statunitense Leonard Bernstein (1918-1990), autore di un gran numero di bei libri sull'argomento (di cui in Italia, a suo tempo, sono usciti soltanto un paio di titoli, ovvero "La gioia della musica" e più recentemente, "Giocare con la musica") in cui oltretutto fa mostra del suo famoso inarrivabile senso dell'umorismo. Inoltre Bernstein è stato anche l'artefice di trasmissioni televisive epocali, che hanno contribuito a rendere più accessibile la musica colta alle persone comuni, tra cui la mitica serie degli "Young People's Concerts", realizzati tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '70 e poi proseguita, ma con molto minore successo, con altri direttori d'orchestra. Anche il direttore nostrano Riccardo Muti, ha dimostrato di avere, in occasione di alcune prove generali con l'orchestra, o di prove al pianoforte coi cantanti di avere delle notevoli capacità divulgative, peccato solo che non le sfoggi più spesso. Quindi è comunque possibile fare del bene alla causa musicale, anche facendo della divulgazione orale e scritta. Ma proprio in virtù della peculiarità dell'arte dei suoni, non c'è per l'appunto da meravigliarsi che la relazione fra essa e i mezzi studiati per riprodurla sonicamente siano particolarmente complessi. Come a suo tempo ha affermato in un'intervista il compositore e direttore d'orchestra francese Pierre Boulez, il rapporto tra un'opera musicale e il mezzo atto alla sua riproduzione sonora per eccellenza, ossia il disco, è simile a quello che intercorre fra un capolavoro dell'arte pittorica e la sua riproduzione su una stampa, ovvero, per quanto quest'ultima ti possa consentire di cogliere dei dettagli nascosti che ti potrebbero sfuggire al cospetto del quadro autentico, ovvero per quanto accurata possa essere, non ti potrà mai dare una visione d'insieme così compiuta, come quando si osserva il quadro autentico, ovvero non ti potrà suscitare le stesse sensazioni. Il disco è in sè qualcosa di innaturale in quanto tende a cristallizzare il momento esecutivo e a rendere ripetibile all'infinito, qualcosa che in natura è intrinsecamente irripetibile come il divenire, ossia il susseguirsi dei suoni. Si tenga conto che l'anno ufficiale dell'inizio dell'era della riproduzione sonora è il 1877, con l'invenzione del fonografo di Thomas Alva Edison. Prima di quell'epoca gli unici modi di ascoltare la musica erano o quello di andarsela a sentire nei luoghi deputati, ossia teatri e sale da concerto, o in mancanza di questi, in piazza, con la banda municipale, o altrimenti, se si aveva la fortuna di essere dei dilettanti provetti, di suonarsela per proprio conto in casa, da soli o assieme ad altri amici, a meno di non possedere qualche marchingegno automatico tipo carillon o altro, intrinsecamente limitato quanto a varietà di sonorità, per ovvi motivi. Esiste anche un'ampia letteratura nostrana che testimonia che, verso la fine dell'800, il suonare musica per diletto era estremamente diffuso anche da noi, non solo fra le classi sociali più elevate, ma anche fra la piccola e media borghesia, come testimoniato anche in romanzi di scrittori allora in gran voga, tipo Antonio Fogazzaro e Giovanni Verga. Poi, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, man mano che il progresso tecnologico nel campo della riproduzione sonora avanzava aumentando al contempo la sua diffusione, di tutto questo si è perso traccia, purtroppo, in misura maggiore qui da noi, rispetto a quanto avvenuto all'estero. Insomma, una delle conseguenze dell'introduzione della possibilità di riprodurre i suoni, ossia di ascoltare la musica senza doverla suonare o andarsela a cercare nei luoghi deputati, è stata la progressiva sparizione di questo passatempo diffuso, che era il dilettantismo musicale, il che è comunque una grave perdita e riduce la fruizione della musica a un qualcosa di passivo, di superficiale, mentre invece sarebbe proprio il caso che ci fosse un'inversione di tendenza. Per fortuna il concetto di riproducibilità sonora della musica ha avuto anche delle conseguenze positive, delle quali mi riprometto di riparlare in seguito. A risentirci.
Accadde a Bergamo (2).
(segue) Stavo per l'appunto riferendo di quel che accadde in Bergamo alta, quel venerdì fatidico del 13 giugno 1986, quando su "L'eco di Bergamo", comparve la notiziola del concerto del fantomatico organista tedesco Kurt Erdam, che si sarebbe dovuto svolgere la sera stessa alle 21, presso la chiesa di Sant'Alessandro in Colonna per celebrare la ricorrenza del centenario del beato Parazzolo. Orbene, fin dal mattino, al parroco di quella chiesa cominciarono a pervenire delle strane telefonate di appassionati che volevano avere ulteriori ragguagli riguardo a questo concerto. Dapprima, il parroco, perplesso, si limitava a rispondere agli interlocutori, che in realtà, quella sera, non gli risultava alcun concerto di qualsivoglia organista tedesco, ma, mano a mano che le telefonate continuavano ad arrivare, innervosendosi progressivamente sempre di più, cominciava a insultare sempre più pesantemente e a prendere a male parole i poveri malcapitati, finchè, esasperato dai continui squilli dell'apparecchio, alla fine, esausto, decide di staccare il telefono. Quel pomeriggio, in municipio, si stava svolgendo la consueta seduta del consiglio comunale. Uno dei consiglieri, tanto per cambiare, era tutto intento a pensare ai cavoli suoi e ad un certo punto, si mette a leggiucchiare distrattamente il giornaletto in questione, finendo col cadergli l'occhio sull'articoletto incriminato. Arrivato al "Water kagen ...", ecc. ecc., eccolo letteralmente scompisciarsi dalle risate. Il suo collega che in quel momento, in piedi, stava parlando al microfono della sala, s'interrompe di colpo, mentre gli altri consiglieri seduti sugli scranni si girano tutti quanti verso il tipo che, incurante di tutto ciò, continua a ridere sguaiatamente, come se nulla fosse. A quel punto, tutte le persone presenti in sala, gli si avvicinano, guardano anche loro il giornaletto, leggono e arrivati al punto incriminato, prorompono in fragorose risate, che riempiono tutta la sala, inducendo il presidente del consiglio comunale a sospendere definitivamente la seduta, per quel giorno. Nel tardo pomeriggio di quella stessa giornata, una vecchietta, solita rovistare nei bidoni dell'immondizia, rinviene pure lei, in mezzo alla spazzatura, una copia del famigerato giornaletto. Anche lei finisce, casualmente, per leggere l'articoletto fatidico, per cui giunta al "Water kagen ..." scoppia a ridere a crepapelle, venendo colta da malore. Un passante, accortosi di ciò, fa chiamare un'ambulanza, che una volta giunta in loco, trasporta d'urgenza la poveretta al pronto soccorso. Ma non finisce qui. Quella sera, già da prima delle 21, un gruppo di granitici appassionati, sosta per ore e ore, di fronte al portone sbarrato della chiesa di Sant'Alessandro in Colonna, nella vana attesa che inizi finalmente questo benedetto concerto del fantomatico organista tedesco. Quando si dice la passione! Peccato che, al giorno d'oggi sembra proprio che non vi siano più, in questo paese di una tetraggine sconfinata, simili sagaci ingegni, dei quali, ahimè, sembra proprio essersi perso definitivamente lo stampo, capaci di organizzare delle burle così efficaci nel mettere alla berlina l'ignoranza imperante. Non per niente, come ho già detto, il "Water kagen ...", fu il tormentone che risuonò per mesi in Bergamo alta, facendo sganasciare dalle risate, diverse persone. Ho voluto rammentare quest'amena storiella, poichè avendola di recente narrata a un amico che si è mostrato divertito di ciò, sia con la speranza di avere strappato almeno qualche sorrisetto ai miei 23 lettori, sia come antidoto alla mortifera atmosfera che pervade, volenti o nolenti, le nostre grige e banalissime esistenze, intendevo rievocare nostalgicamente un'Italia ridanciana che sembra non esservi più e della quale spero di non essere il solo ad avvertire acutamente la mancanza. Mi sembra che persino durante i famigerati anni di piombo, si avesse voglia di ridere, assai più di quanta non ce ne sia attualmente. Pensate solo alla famosa saga cinematografica nostrana di "Amici miei", le cui vicissitudini erano ovviamente inventate di sana pianta, ma i personaggi corrispondevano comunque a tipi reali, esistenti nel nostro paese, in quell'epoca. Di burle memorabili ne ricordo altre, ma mi sono limitato a citare soltanto questa, poichè è l'unica, fra quelle che rammento, che abbia una qualche attinenza con l'ambito musicale, essendo questo l'argomento che m'arrabatto a trattare abitualmente alla bell'è meglio, per cui spero che questa momentanea digressione non vi risulti inopportuna. Dalla prossima volta, riprenderò a trattare l'argomento secondo i canoni consueti.
giovedì 9 giugno 2011
In organo pleno (1).
"Non fu mai scoperta l'identità di quell'elegante signore che il giorno 11 giugno del 1986 si presentò alla redazione dell'Eco di Bergamo, chiedendo che fosse pubblicato il programma di un improbabile concerto d'organo da tenersi in una chiesa della città. Imperdonabile errore non controllare il programma. Infatti, lo stesso era quasi tutto pornografico! Vittorio Feltri, allora inviato di punta del Corriere della Sera, scrisse un memorabile pezzo sull'accaduto. Il ritornello........., per mesi risuonò in Bergamo alta!" Questa citazione l'ho tratta dal volumetto "Occhielli Titoli So(m)mari", periodico di attualità e umorismo - Anno 1 - Numero 1, di Giacomo Danesi, finito di stampare nel mese di dicembre 2001, dalla Società Editrice Vannini a r.l. e si trova precisamente alla pag.35 del suddetto volumetto. Tutto questo mi serve per introdurvi a questa amena storiella, di cui lessi, a suo tempo, abitando in quel gaio abituro nomato Cesena, su "Il Resto del Carlino". In effetti, quel fatidico giorno, alla redazione dell'Eco di Bergamo, un giornaletto locale che era in realtà poco più che un bollettino parrocchiale, si presenta al mattino, un individuo impeccabilmente vestito da prete che consegna una busta chiusa all'addetto, contenente la bozza di un articolo riguardante un concerto d'organo, che andava assolutamente pubblicata in tempo utile affinchè comparisse nell'edizione in uscita 2 giorni dopo di questo giornale, ovvero per il 13 giugno. Dopo aver insistito sull'importanza della cosa, il tipo se ne andò via. Il bello è che l'addetto, senza fare una piega, consegna l'articolo incriminato al reparto stampa. Il giorno dopo, il 12, la rivista viene regolarmente mandata in stampa, con l'articoletto incriminato, ed ecco che il giorno 13, compare nelle edicole locali. L'articolo famigerato è in buona parte riprodotto a pag.46, del libro di Danesi e di seguito lo riporto: "In S. Alessandro in Colonna - Questa sera concerto di un organista tedesco - 'Stasera venerdì 13 giugno alle ore 21, nel quadro della settimana di celebrazione del centenario del Beato Palazzolo, presso la chiesa di S. Alessandro in Colonna si terrà un concerto dell'organista tedesco Kurt Erdam. Il maestro Erdam è uno dei più noti concertisti d'organo d'Europa e per la prima volta suona nella nostra città; nato a Bragenz, in Germania, nel 1923, ha studiato organo prima sotto la guida del padre e quindi con U. Krapp a Berlino, ove ha seguito anche il corso di composizione di N. Rahtu, laureandosi contemporaneamente all'Università di Stoccarda presso la quale è oggi docente del suo strumento. Ha suonato come solista in tutte le più importanti città d'Europa e d'America proponendosi .............. (ha inciso lavori di) Wagner e Balakirev per varie case discografiche (Decca, Bum, Cbs, ecc.). Il programma prevede: J.S. Bach: Passacaglia in do minore Bmw 524; W.C. Neth: Partite diverse sopra la bergamasca detta "Olmanàra"; F. Liszt: "Water kagen zurgen zagen" in organo pleno; J.S. Bach: Preludio al corale "Du Kall Grosse komm du was, mein Herr!", Bmw 712; O. Rèjon: Canzona VI, "Si t'encoulez, ay lasso"; J. Dubignou: Aria del Granduca; F. Couperin: Offertoire; L. van Fusk: Variazioni su una melodia originale tirolese op.42; O. Messiaen: "Les grands oiseaux", da "Collection d'oiseaux". L'ultimo brano viene proposto in prima esecuzione assoluta per l'Italia." Così teminava il famigerato articoletto. Come ho già fatto presente, purtroppo nel volumetto di Danesi non è riprodotto integralmente e questo è il motivo di quei puntini di sospensione, così come della frase seguente fra parentesi, che ho ricostruito a intuito, non avendo purtroppo conservato nemmeno quell'articolo de "Il Resto del Carlino", attraverso il quale venni a conoscenza della vicenda. Per fortuna che la parte più importante, ossia il programma di questo "memorabile" concerto è riprodotta interamente, per cui se avete un minimo di conoscenza della materia, dovreste aver trovato di che dilettarvi. Innanzitutto il cognome del fantomatico organista, Erdam (se spostate la lettera m davanti alla lettera e...), poi la città di Bragenz (in realtà Bregenz), per non dire dei suoi insegnanti, U. Krapp e N. Rahtu (eliminando la lettera r e spostando la lettera h davanti alla lettera a, si ottiene il nome di una nota fabbrica di profilattici). Da rilevare inoltre che Wagner e Balakirev non hanno mai composto musiche per organo, almeno per quanto mi risulta, inoltre la casa discografica Bum non è mai esistita. Ma il meglio viene col programma di questo fantomatico concerto, infarcito di doppi sensi, di compositori e musiche inventate di sana pianta, con quella sigla, Bmw seguita da un numero d'opera progressivo che fa il verso a quella effettiva, ovvero Bwv (Bach werke verzeichnis - catalogo dei lavori di Bach), del giocare sul fatto che il compositore Olivier Messiaen fosse anche un appassionato ornitologo, che ha intitolato agli uccelli diverse composizioni. Tacendo inoltre dei vari giochi di parole con quei titoli in un tedesco e in un francese alquanto improbabili, la vetta si tocca proprio col brano di Liszt. Il corale "Weine Klagen, Sorgen Sagen" (Lacrime Lamenti, Angosce Tormenti) venendo storpiato in "Water kagen zurgen zagen" in organo pleno. Fu proprio quest'ultimo il ritornello che fece ridere Bergamo alta per dei mesi. Anche perchè quando il giornaletto comparve, quel giorno, in città, si verificarono dei buffi episodi di cui riferirò in seguito. C'è da dire inoltre che, qualche tempo dopo, pare che l'autore di questa bravata, tentasse di ripetere il colpaccio anche a Milano, sempre travestito da prete, entrando nella redazione di un altra testata giornalistica, lasciando anche stavolta una busta contenente la bozza di un articolo relativo alla presunta donazione di un organo da parte di Bettino Craxi al Duomo di Milano. Anche in questo caso, vi era un gran profluvio di doppi sensi, come: "...Trattasi di un organo immenso, di smisurata potenza, dotato di molte canne, ...", solo che questa volta i redattori mangiarono la foglia e quindi non ci cascarono. Dopodichè del misterioso personaggio si persero definitivamente le tracce, per cui la sua identità resta tuttora avvolta nel mistero. Anche quest'ultima appendice la appresi a suo tempo, sempre leggendo un articolo su "Il Resto del Carlino". Bisogna notare che, in ogni caso, per potere organizzare delle burle del genere, l'autore doveva comunque avere una notevole competenza in campo musicale, non è certo un qualcosa alla portata di chiunque. Per contro la faccenda ha messo in evidenza l'estrema ignoranza e incompetenza dei redattori dell'Eco di Bergamo, che ci sono cascati in pieno, dimostrando la loro insipienza in campo musicale, tanto per cambiare! (Continua)
mercoledì 8 giugno 2011
Famolo strano.
In effetti l'ambiente dell'alta fedeltà è caratterizzato da parecchie bizzarrie. A conclusione di ciò che ho affermato in precedenza, a proposito delle presunte qualità soniche dei cavi di collegamento, è ovvio che, tanto migliore è la qualità dei materiali utilizzati per la loro produzione, tanto migliore diventa la conducibilità elettrica, ossia la trasmissibilità del segnale audio, ma di lì ad affermare che abbiano delle proprie qualità timbriche, ce ne corre! Anche perchè sulle riviste specializzate, non solo si strologa sulle presunte caratteristiche sonore dei cavi di segnale e di potenza, ma ci si sdilinquisce persino su quelle che avrebbero anche i cavi di alimentazione! Poco ci manca che non discettino pure sulle presunte caratteristiche sonore di viti, dadi e bulloni, ma perchè ci si debba rendere così ridicoli, solo in virtù di idiotissimi interessi commerciali! Non c'è poi da meravigliarsi se l'alta fedeltà non abbia attecchito sostanzialmente presso il grande pubblico, con cotali dimostrazioni di ciarlataneria e cialtronaggine! Ma il 'famolo strano' impera più che mai in questo campo, in nome di presunti miglioramenti sonici, più teorici che reali. Il giradischi è uno degli apparecchi più soggetti a queste nefaste tendenze. Innanzitutto gli integralisti audiofili già vedono come fumo negli occhi la presenza della cappa antipolvere, ossia del coperchio, che sarebbe, oltrechè dannosissimo per la riproduzione sonora, in quanto degraderebbe la timbrica del segnale, sarebbe foriero di pericolosissime scariche elettrostatiche che causerebbero l'innalzamento del braccio di lettura, con conseguente distacco della puntina dal solco. Perchè ci sia qualche vaga probabilità che ciò succeda, dovreste essere così stupidi da spolverare con un panno, il coperchio abbassato, durante la riproduzione di un disco, ma se evitate tutto ciò potete stare tranquilli, tenete pure il coperchio abbassato, che non solo protegge dalla polvere e dalle impurità presenti nell'aria, ma oltretutto vi eviterà che qualche insetto, tipo mosca o zanzara, si posi sul braccio, sulla testina o proprio sul disco, evitando l'istintiva tentazione di scacciare l'intruso agitandogli un panno, con le ovvie disastrose conseguenze. Ma i dettami della cosiddetta alta fedeltà esoterica, caratterizzata per l'appunto da prezzi ultraterreni, non si fermano certo qui. A cominciare dalla puntina, che non deve assolutamente essere sfilabile, ossia sostituibile dall'utente, poichè ogni giuntura o connessione nuocerebbe all'integrità del suono, solo che così facendo, ogni volta che la puntina si consuma, si deve rimandarla in fabbrica per la sostituzione, che palle! Inoltre l'involucro esterno, ossia il corpo della testina, che avrebbe la funzione di proteggerne la fragilissima struttura interna da polvere, impurità, urti, campi elettromagnetici, se già presente va tolto anch'esso, per la medesima ragione. Questa faccenda genera una delle peggiori perversioni audiofile, ossia la smania delle cosiddette testine nude! Io mi immagino queste orde di audiofili arrapatissimi, con la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle orbite per l'eccitazione, con il cacciavitino in una mano e l'altra mano impegnata a smanettare sul loro pene in erezione, fiondarsi con voluttà su queste povere testine fonografiche (!) indifese, bramosi di sverginarle violentemente! Insomma meglio deflorare una innocente testina, che copulare con una donna, alla faccia di noialtri che non capiamo una mazza! Ma anche la testina, nuda o no che sia, meglio che sia integrata con la conchiglia portatestina, la quale a sua volta è meglio che sia integrata alla canna del braccio, la quale è meglio che non sia sfilabile dalla struttura di base, sempre per le medesime ragioni. Il dispositivo antiskating, ossia antipattinamento, opponentesi alla forza centripeta che tende a trascinare la puntina verso il centro del disco, che non sia banalmente del tipo a molla o magnetico, facilmente regolabile con una manopolina graduata, ma realizziamolo con un filo simile a quello delle canne da pesca, posizionato in maniera tale da terminare con un contrappeso ballonzolante sospeso, regolabile su poche tacche di difficile decifrazione, cosicchè la prima volta che dovete spolverare l'apparecchio, tanti saluti al contrappeso, ma che volete che sia! Anche i cavi di collegamento (di segnale, di terra e di alimentazione) è meglio che non siano distaccabili, ma fuoriescano direttamente dal retro dell'apparecchio, anche se questo, tutto sommato è un male minore. Passando al piatto del giradischi, è meglio toglierne l'eventuale tappetino sempre al fine di evitare presunti degradamenti timbrici, poco importa se quest'ultimo avrebbe proprietà smorzanti e protettive. Ma tralasciando ulteriori bizzarrie riguardanti il perno del medesimo e la base del giradischi, concentriamoci sull'alimentazione elettrica che è meglio sia esterna all'apparecchio e fin qui poco male, senonchè essendo la quasi totalità dei giradischi esoterici con trazione a cinghia, occorre che la cinghia col relativo dispostivo di trasmissione sia esterna all'apparecchio e possibilmente percorra l'intero perimetro dell'ambiente d'ascolto e magari sia realizzata con filo per suture chirurgiche, sob! Inoltre poichè il disco, ai fini di una corretta riproduzione sonora, deve essere spianato alla perfezione onde aderire totalmente al piatto sottostante, oltre a inserire un normale stabilizzatore di quelli che si fissano sul perno centrale coprendo la zona dell'etichetta, occorre creare un vuoto d'aria al fine di appiattire per bene l'intera superficie del disco. Per far ciò si deve far ricorso a un costosissimo e rumorosissimo compressore esterno, che proprio per questo motivo deve essere situato fuori dall'ambiente d'ascolto e collegato sotto al piatto tramite un lunghissimo tubo esterno, il che rende il tutto praticissimo e immediato, come no! Inoltre i piedini d'appoggio della base dell'apparecchio, anzichè essere 4 disposti agli angoli estremi, devono essere 3 disposti a triangolo, chissà perchè! Aggiungiamoci altre amenità tipo portatestina basculanti e vi avrò dato solo un'idea parziale delle castronerie in tale ambito. E tutto questo in nome di miglioramenti sonici percepibili a malapena, nella migliore delle ipotesi, a livello di sfumature! Anche qui occorrerebbe avere il buon senso di rinunciare agli orpelli inutili, a patto però che tutto questo non vada troppo a discapito della praticità, poichè molti di questi apparecchi esoterici sembrano più adatti ad asettici laboratori che a normali ambienti domestici. Tanto più che, volendo ascoltare dei dischi con questi infernali marchingegni, la maggior parte del tempo va persa nei lunghi rituali di preparazione e messa a punto che necessitano ogni qualvolta si decide di usare questi ordigni. Ecco che il piacere dell'ascolto va a farsi benedire in nome di queste masturbazioni narcisistiche a cui sono soggetti i possessori di questi aggeggi. E stavolta mi sono limitato a parlare succintamente solo del giradischi, altrimenti andrei avanti ancora un bel pò. Alla prossima volta!
Degenerazioni audiofile.
Purtroppo un'inconveniente tecnico mi ha costretto a suddividere questo articolo, per cui riprendo dal punto in cui mi sono precedentemente interrotto. Stavo accennando al film d'animazione "Fantasia" di Disney e alle sue particolari tecniche avanzate di registrazione della colonna sonora; per riprendere l'orchestra si usarono ben 16 microfoni, collegati a una consolle di missaggio a 32 canali, fatto eccezionale per l'epoca; sarebbe un film da studiare attentamente anche ai fini di tracciare una storia dell'evoluzione nel tempo delle tecnologie di ripresa sonora. Ma andando ancor più a ritroso nel tempo, si hanno già registrazioni sperimentali in stereofonia nei primi anni '30, così come l'introduzione dei primi registratori a bobine della tedesca Telefunken, su nastri magnetici all'ossido di ferro prodotti dal colosso chimico Basf, si ebbe intorno al '35. A riprova che una qualità sonora adeguata era già ottenibile da parecchi lustri, ma si è dovuto aspettare ancora parecchio prima che divenisse appannaggio di un maggior numero di potenziali fruitori. Adesso per contro, con l'audio compresso in mp3 et similia si rischia di fare dei passi indietro in tal senso, tanto più che alle giovani generazioni, la qualità della riproduzione audiovisiva non sembra interessare più di tanto, l'importante è scaricare dalla rete quanto più possibile, basta poterlo fare gratis (fatto ancora più grave, non sembrano nemmeno preoccuparsi della qualità intrinseca della musica che ascoltano, ma tant'è!). In questo l'alta fedeltà si è rivelata un sostanziale fallimento, non riuscendo a diventare fenomeno di massa, ma al contrario, rimanendo conchiusa in un recinto ristretto di pochi adepti, una nicchia insomma. Per giunta l'alta fedeltà, portata alle sue estreme conseguenze, si è rivelata foriera di autentiche degenerazioni comportamentali da parte della comunità audiofila. Come già detto, lo scopo primario delle apparecchiature di riproduzione sonora, è o dovrebbe essere, quello di farti ascoltare la musica in maniera consona. E invece esistono diversi invasati che considerano la musica non come il fine ultimo della riproduzione audio, ma come un mezzo per far tuonare, esaltare il proprio feticcio elettronico. E non ci si ferma certo qui. A un ulteriore stadio di degenerazione, si arriva a considerare sia la musica, sia le apparecchiature atte alla sua riproduzione, come un mezzo per consentirti di udire il suono dei cavi di collegamento. Ma si può andare ancora oltre, ovvero considerare anche questi ultimi come un mezzo per consentirti di ascoltare il suono degli spinotti e delle prese. Benessum! In questo molta colpa ce l'hanno anche le riviste specializzate, che in nome di perversi e ovvii interessi commerciali, assecondano questa demenziale tendenza; basta andare a sfogliarsi il numero di giugno di "Fedeltà del Suono", in cui ho trovato diverse pagine dedicate ad analizzare le presunte caratteristiche soniche di alcuni costosissimi cavi di collegamento, per averne l'ennesima dimostrazione. Mi ricordo sempre, parecchi anni fa, quando abitavo in quella tetramente ridente cittadella di Cesena, un giorno che mi trovavo all'interno di un negozio di alta fedeltà, di un cliente facoltoso che chiese e ottenne dal negoziante che gli prestasse un costosissimo cavo di segnale, affinchè potesse andare a casa sua per provarlo, al fine di testarne le caratteristiche soniche, argh! Ma il 'famolo strano' impera più che mai in ambito audiofilo e di questo mi riprometto di riparlarne anche in seguito.
I degenerati.
In giro per il mondo esiste un morbo sconosciuto e invisibile alla stragrande maggioranza delle persone, che però continua a mietere silenziosamente delle vittime; mi riferisco alla cosiddetta degenerazione audiofila, che produce sfracelli nelle menti delle persone che ne vengono intaccate, spesso con conseguenze irreversibili. Di questo orrido flagello ne scrisse già nel 1994, Stefano Rama, alla pagina 33(!) del suo bello e prezioso libro "I dischi dell'età dell'oro", edito nell'autunno del '94 dalle edizioni Voltaire, con prefazione di Bebo Moroni, precisamente al paragrafo 12 del 4° capitolo intitolato proprio "L'audiofilo degenerato" che mi permetto di riportare integralmente qui di seguito: "Quali i sintomi della malattia irreversibile, della Grande Degenerazione Audiofila o GDA? Qual'è l'audiofilo degenerato? Chiunque ha un grande impianto? No certamente. Chi cambia spessissimo le sue apparecchiature? Ci avviciniamo, ma non è detto: concediamogli l'attenuante di essere alla ricerca non ancora compiuta di un impianto fatto a misura dei propri gusti. Esiste insomma un segno, un indizio precoce di degenerazione audiofila, utile a fare un'autodiagnosi per chi si trova sull'orlo della voragine? Esiste, esiste. Definizione della malattia: è irreversibilmente degenerato - solo da un punto di vista audiofilo, ammettiamolo - colui che ha perso la capacità di ascoltare serenamente un disco intero. Alle prese col suo impianto, al momento di giudicarlo, il tipico audiofilo 'a rischio' si sente insicuro, alterna momenti di entusiasmo, di vera esaltazione - 'Bello bello bello' a momenti di delusione 'credevo che..', di scoramento 'è inutile. Non riuscirò mai a farlo suonare', di rabbia 'fra un minuto butto via tutto'. Piano piano la ripresa 'proviamo con un altro disco, forse chiarirà le idee'. Poi con un altro pezzetto di disco...... E' trapassato insensibilmente nella Piccola Degenerazione Audiofila o PDA. Ed ora, ora, s'innesta la grande infezione GDA. Sintomi: anche la grande malattia comincia insidiosamente con un piacevole-spiacevole sdoppiamento della capacità di attenzione musicale: '........ e mentre ascolto, vediamo di capire se tutto va bene, anzi che cosa è a non andare bene: le alte frequenze? La messa a fuoco? La profondità? O la dinamica? Che confusione. Voglio provare con quella traccia di quel disco... Non ce l'ho sottomano. E' lo stesso, finalmente capisco qualcosa. Perdo il mirinvengo, non mi raccapezzo più. Non riesco bene a tenere dietro a tutte le componenti che vorrei giudicare, naturalmente non posso permettermi di fare attenzione alla musica, ora, figuriamoci. Quella me la godrò dopo, con calma, quando avrò messo tutto a punto. Vedremo domani che cosa dice il mio amico. Tutto diverso? Forse ha ragione. E che cosa dice quel negoziante esperto? Che non capisco niente? Sarà lui a non capire niente di musica. Ed ora che finalmente so tutto, non posso, non voglio ammettere di essere ancora insicuro. Diverrò sicuro. Ora posso insegnare qualcosa ai negozianti, anche ai recensori delle riviste che non capiscono niente. Ora so tutto per davvero.' (Questo si chiama delirio di onnipotenza, è una turba psichica comune alla psicosi maniacale ed alle ultime fasi della GDA). Gli anni sono passati, le frenesie si sono attenuate. 'Ce l'ho fatta eh a non avere un vero e proprio disgusto per l'alta fedeltà - anche se posso capire i mei amici che hanno venduto tutto e si sono dati alla pesca con la lenza - ma certo sono diventato più saggio, più ponderato, è arrivato il momento di godermi finalmente quella musica in nome della quale ho tanto penato.' 'Perbacco, mi voglio mettere comodissimo con le gambe distese per sentire finalmente dopo anni un disco tutto intero. Ah ah, non mi riesce. Non mi riesce? Mi viene quasi da ridere. Sono un tipo buffo. M'interrompo per mille sciocchezze, una piccola regolazione del bilanciamento, ora uno spostamento della seggiola di circa 5 centimetri. Basta, ora! Mi devo obbligare ad arrivare in fondo al disco. La mia mente però divaga. Porca miseria, ora m'incazzo per davvero: se tengo fermo il culo sulla poltrona, è il cervello che mi scappa via. Che succede? Non m'interessa più la musica? Via, come è possibile?'. Ahimè caro audiofilo, sei degenerato. A te quei bei dischi non possono proprio piacere. Se è per questo, nessun disco ti può piacere, anche per il fatto che non sei mai arrivato alla fine di uno. Puoi guarire - al malato si deve sempre cercare di dire qualcosa di positivo - però devi avere l'onestà, il coraggio di ammettere la tua malattia. "Probabilmente non guarirà più: potremmo provare con l'elettroshock...", lo specialista audiofiliatra allarga le braccia davanti alla moglie e ai figli del paziente, in lacrime. CONCLUSIONI: I DISCHI POSSONO ESSERE APPREZZATI SOLO DAGLI AUDIOFILI SANI DI MENTE, NON DA QUELLI DEGENERATI." Un plauso va all'autore di questo bel libro, che non mi risulta che sia mai stato più ripubblicato, non solo per l'efficacia dell'esposizione, ma anche per l'impagabile ironia, cosa sempre più rara in un popolo di tetri soloni quale siamo da tempo immemorabile! Simile senso dell'umorismo costituisce una merce sempre più rara, ahimè, in un paese muffo, stantio, apatico, mortifero come il nostro, è proprio come una boccata d'aria fresca, in questa cappa asfissiante che attanaglia le nostre esistenze grige! Purtroppo quello che ha scritto allora, non solo è ancora validissimo, ma, nel caso della degenerazione audiofila, si producono ulteriori conseguenze. In effetti il concetto di alta fedeltà avrebbe dovuto avere non solo valenze commerciali, ma anche educative a un corretto ascolto della musica. E invece alla fine quest'ultimo obiettivo è stato sostanzialmente mancato sempre a causa dell'intrinseca stupidità del genere umano, aduso a rovinare e corrompere ogni cosa. Anzi, fra gli appassionati, sembra esserci uno iato incolmabile fra gli audiofili a oltranza e i musicomani sfegatati, quando, a rigor di logica, non vi dovrebbero essere questi compartimenti stagni. Non ci si dovrebbe mai dimenticare, molto banalmente, che il fine ultimo della riproduzione sonora (per non dire audiovisiva) è quello di consentire un ascolto adeguato della musica, che ha tutto da guadagnare da un impianto in grado di renderne con sufficiente attendibilità le sfumature e i contrasti dinamici alla base dell'espressività della medesima. Insomma dovrebbe essere naturale che un musicofilo avverta il desiderio di fruire in maniera adeguata l'oggetto della sua passione, così come un audiofilo dovrebbe sentirsi indotto anch'esso a esplorare a fondo l'universo musicale e a non considerare l'arte dei suoni come un mero pretesto per baloccarsi col suo feticcio stereofonico. In media stat virtus, ovviamente. Purtroppo non è così, avendo avuto modo di constatarlo personalmente in quanto musicofilo/audiofilo, ovvero con la passione per l'alta fedeltà indottami in primis dalla mia infatuazione per la musica. Se penso che, in quanto facente parte dell'attuale generazione di cinquantenni, da giovane squattrinato quale ero, come la stragrande maggioranza dei miei coetanei, riuscivo ad ascoltare la musica da apparecchiature semplicemente atroci, come la fonovaligia stereofonica portatile Europhon, pesantissima e ingombrantissima, o come le fantozziane radioline a transistor con custodia protettiva in similpelle, o anche il registratorino portatile a cassette Panasonic, che già quando in casa finalmente arrivarono la radio Grundig e il famigerato compattone di Selezione dal Readers Digest mi sembrava di toccare il cielo con un dito! Poichè all'epoca la vera alta fedeltà era veramente appannaggio di pochi invidiatissimi eletti, se penso a quanto invidiavo un mio compagno di scuola che possedeva un modestissimo coordinato Akai, composto da giradischi, amplificatore e casse, si era costretti ad ascoltare la beneamata musica con degli ordigni sonicamente atroci in una maniera inimmaginabile oggidì. Il che però ha avuto l'effetto positivo di sviluppare al massimo grado la mia capacità d'introspezione, giacchè veramente ti toccava di lavorare parecchio di fantasia, almeno per riuscire ad intuire una buona parte delle sfumature musicali da quel coacervo di muggiti, crepitii, rimbombi, miagolii e quant'altro producessero quei trogloditici arnesi di cui ci si doveva accontentare in simili frangenti. Al confronto, anche il più modesto apparecchietto di produzione attuale, risulta di livello decisamente stratosferico! Se penso che, persino quando collego le cuffiette al mio telefonino cellulare tutt'altro che costoso e sofisticato, per ascoltare la radio incorporatavi, la qualità della riproduzione sonora riesce a non farmi rimpiangere troppo quella del mio impianto domestico, si evince proprio che ne è passata veramente tanta di acqua sotto i ponti, se si tiene conto che un cellulare non è certo progettato coi criteri vigenti nel campo dell'alta fedeltà. Il progresso è riuscito a rendere sostanzialmente più abbordabile l'alta fedeltà, o quanto meno a garantire una riproduzione sonora più adeguata anche dalle apparecchiature più economiche, giacchè se vogliamo stare a pignolare, come testimonia la storia della riproduzione sonora, una qualità sonica elevata era già ottenibile almeno a partire dagli anni '50 del secolo trascorso, come testimoniano le famose registrazioni delle collane Rca/Living Stero, Mercury/Living Presence, così come da parecchie incisioni Decca, Deutsche Grammophon, Emi, di quel periodo, solo che nemmeno le migliori apparecchiature dell'epoca erano in grado di renderle come si deve. Andando ancora più indietro nel tempo, si pensi al famoso film d'animazione "Fantasia" di Walt Disney, per il quale era stato ideato, per la registrazione della colonna sonora, un sistema denominato "Fantasound" dall'effetto circolare e avvolgente, con un concetto che sembra precorrere gli attuali sistemi multicanali, soltanto che all'epoca, persino negli Stati Uniti, erano pochissime le sale cinematografiche attrezzate come si deve. (Continua....)
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