venerdì 31 maggio 2013

Classica in vinile n.8/De Agostini Editore.

Respighi: I pini di Roma / Feste romane - The Cleveland Orchestra / Lorin Maazel - disco Decca SXL 6822  (P) 1977 - uscito in edicola venerdì 17 maggio - Custodia opaca, unica discrepanza grafica da me rilevata, analogamente al disco precedente, sul dorso, dove al posto della scritta STEREO, dovrebbe stare un bollino nero con una S bianca all'interno, peccato però per quel bollino SIAE coprente alcune scritte sul retrocopertina! - Come nel disco precedente, la busta interna è generica, per contro, stavolta, mentre le etichette del disco sono giustamente del tipo FFSS a banda stretta, il piccolo logo pentagrammato è assente su ambo i lati, per il resto valgono i rilievi della volta precedente! - Fascicolo interno con testi di Bruno Baudissone e Pierre Bolduc, complessivamente discreto come al solito e con i consueti piccoli refusi, ma con qualche incongruenza testuale come quella a pag.3, nel riquadro all'estrema destra, in cui si afferma che i dischi Decca SXL 2000 coprono un arco cronologico dal 1958 al 1968. Io credo che in questo caso si arrivi fino al 1963 e comunque non oltre il 1965, dopodichè si passa alla serie SXL 6000 (come del resto dimostrerebbe proprio il numero 7 di questa collana, comprendente un disco Decca SXL 6263, uscito originariamente nel 1966, si veda anche la mia recensione su questo blog). - Dati di registrazione soddisfacenti (maggio 1976 - Masonic Hall, Cleveland - produttore Michael Woolcock, tecnico del suono Kenneth Wilkinson - sono stati impiegati 3 microfoni omnidirezionali in configurazione a T sopra la testa del direttore d'orchestra, 1 microfono all'estrema sinistra e un altro all'estrema destra dell'orchestra, più un microfono ciascuno sopra le sezioni dei legni, delle percussioni e degli ottoni, per un totale di 8 microfoni collegati a una consolle di missaggio "STORM" realizzata da Roy Wallace e in uso dalla Decca a partire dal 1966. Fu del resto lo stesso Roy Wallace a realizzare, in precedenza, sempre per la Decca, una prima consolle di missaggio a 5 canali, allora tecnicamente all'avanguardia, con cui la casa inglese diede inizio nel 1955 alle sue prime registrazioni stereofoniche, andando a riprendere dal vivo, a Bayreuth, l'Olandese volante, oltrechè l'intero ciclo dell'Anello dei Nibelunghi di Wagner, sotto la direzione di Joseph Keilberth, tra gli altri, registrazioni tutte recentemente pubblicate su cd dalla Testament. - Tornando al disco in questione, per la registrazione venne impiegato un apparecchio a bobine Studer B62, casse acustiche per il monitoraggio Tannoy Canterbury, pilotate da finali di potenza della Quad, un bell'assieme, non c'è che dire!), anche grazie alle indicazioni del retrocopertina del disco. - L'interpretazione dei 2 poemi sinfonici respighiani, pur essendo molto buona nel suo complesso, l'ho trovata un poco discontinua e comunque complessivamente più convincente ne "I pini di Roma" che nelle "Feste romane". - Anche la qualità sonora dell'incisione, pur complessivamente ottima e di grande effetto, mi ha lasciato alquanto perplesso, per una eccessiva sensazione di effettismo e artificiosità, troppo spettacolare insomma, che mi ha fatto pensare più a una tipica incisione della collana Decca Phase 4, che a una tipica incisione della casa inglese come quella del numero precedente (Russia romantica/Solti) - Qualità dello stampaggio accettabile e per fortuna migliore che nel numero precedente.   

giovedì 30 maggio 2013

"Il tronfio di Clelia"???

Ringraziando sentitamente Lidia Cavallari per la sua e-mail che mi ha praticamente confermato le mie nefaste supposizioni al riguardo della messa in scena de "Il trionfo di Clelia" di Gluck, nel frattempo anch'io avevo cercato di saperne di più al riguardo. Ieri notte su Rai3 in tv, alle ore 1.35 (!) so che dovrebbe essere andato in onda uno speciale di mezz'ora su questo allestimento per la rubrica "Prima della prima", ma essendomene dimenticato non ho potuto farmene un'idea, ma spulciando sulle riviste specializzate mi sono accorto che questo lavoro è stato inciso nel 2011 su disco uscito l'anno dopo, con lo stesso direttore d'orchestra e quindi nella medesima edizione critica, ma con un diverso cast di cantanti e un differente complesso strumentale. In effetti, andando al Ricordi Media Store di via Ugo Bassi qui a Bologna, ho rintracciato il cofanetto di ben 3 cd, per una durata complessiva di 3 ore 15 minuti e 29 secondi, a cura dell'etichetta discografica tedesca Mdg Scene, al prezzo di euro 39,99. Stante la durata 'wagneriana' e le mie condizioni economiche disperate, non me la sono sentita di accingermi a un acquisto quantomeno rischioso, ma sono riuscito a rintracciarne una recensione sul numero del novembre 2012 della rivista "Musica", alla quale rimando per ulteriori dettagli. Pur essendogli stato attribuito dal recensore il massimo dei voti, ovvero 5 stelle, mi sembra che il tono di questo giudizio riguardo al succitato cofanetto, sia circospetto e contradditorio, per cui attendo di leggerne altre eventuali recensioni. Riguardo all'opera in sè, va notato che in realtà, essendo stata composta nel 1763, risulterebbe quindi successiva di un anno rispetto alla prima versione dell' "Orfeo ed Euridice" e quindi verrebbe da supporre che ci dovremmo trovare in piena 'riforma' gluckiana, sennonchè leggo, che per motivi opportunistici e di 'cassetta', il compositore fece un passo indietro stilisticamente, ritornando ai modelli convenzionali italiani, soprattutto per quel che concerne il trattamento delle linee vocali, in più aggiungiamoci delle cronache del tempo decisamente contrastanti circa l'effettivo esito di questa prima, per cui il quadro complessivo resta decisamente nebbioso secondo me. Poi devo sinceramente ammettere di non avere mai sentito nominare il direttore d'orchestra e revisore della partitura, fierissimo alfiere convinto del valore intrinseco di quest'ultima (ovviamente, visto che come revisore può marciarci alla grande coi diritti d'autore, o quantomeno può sperarlo!), tale Antonio Sigismondi De Risio (carneade, chi era costui?), nè tantomeno il complesso greco di strumenti originali 'Atalanta Fugiens' da lui diretto nell'incisione Mdg (ma da dove cavolo sbucano, questi qua?), bell'ignorantone che non sono altro. Ho sperato di reperire l'imperdibile (si fa per dire, anzi per celia!) cofanetto alla biblioteca della Sala Borsa qui in Bologna, sperando così, tramite imprestito, di potermi togliere la curiosità senza spendere un centesimo, ma non c'è stato nulla da fare, non ce l'hanno, chissà com'è! Comunque l'e-mail giuntami, sembrerebbe proprio confermare che l'Orinale, cioè, ops! Il Comunale, anzichè celebrare il proprio 250° anniversario, abbia praticato un vero e proprio autodafè, benessum! In tal caso non si poteva proprio evitare di buttar soldi dalla finestra, nevvero? Ma andate a lavorare, branco di ciarlatani, cialtroni, incapaci! A proposito di anniversari, proprio mercoledì 29 maggio, ricorreva il centenario della prima assoluta del "Sacre" di Stravinski (e non il 26 come avevo erroneamente scritto), composizione che ha avuto ben altro destino rispetto a "Il trionfo di Clelia", ma guarda un pò i casi della vita!

venerdì 24 maggio 2013

"Il tonfo di Clelia"???

Non sono ancora riuscito a raccogliere altre opinioni su "Il trionfo di Clelia" di Gluck, andato in scena martedì 14 al Comunale, ma siccome non mi risulta al momento che ne siano previste delle trasmissioni radiotelevisive in differita, sapendo che in Radiotre sono tutti compagnucci della parrocchietta sinistrorsa e che molti (anzi, troppi!) posti chiave in Rai, sono occupati da emiliano-romagnoli, questo mi continua a far pensare che non deve certo essersi trattato di un grande spettacolo, nè di una degna celebrazione del 250° del Comunale, se poi si considera che, per l'occasione, è stata appositamente approntata una nuova edizione critica della partitura, con tutto quello che comporta a livello economico (costa parecchio la realizzazione di una nuova edizione critica), se consideriamo che siamo in tempi di vacche magre, non è certo un bel modo d'impiegare le già magre risorse, da parte di un teatro. Se in genere non sono contrario alla proposizione di titoli desueti in cartellone, ciò non toglie che dette faccende vadano svolte con criterio, ovvero con senso critico, altrimenti si fa più danno che altro. Dimenticavo di dire che la mia amica che mi ha riferito il giudizio negativo, ha assistito allo spettacolo in compagnia di un ragazzo ancor più melomane sfegatato di lei, il quale si sarebbe annoiato altrettanto, sempre stando a quanto mi ha riferito la soggetta. Sperando ancora di conoscerne di più, al momento comunque non sembra proprio che questa riesumazione di un probabile centone, abbia suscitato qualche clamore. Se veramente non dovesse mai essere radiotrasmessa, allora non si potrebbe che avere l'ennesima conferma del continuo declino dell'Orinale, pardon Comunale, di Bologna. 

martedì 21 maggio 2013

Un pezzo di pizza pazza in un pozzo che puzza.

Oggi ho incontrato una mia amica ventisettenne melomane reduce dalla serata commemorativa dei 250 anni del Comunale, che mi ha riferito chiaro e tondo di non essersi mai annoiata così tanto in uno spettacolo lirico. Ricordo che, per la cronaca, martedì 14, si dava nel suo primo allestimento moderno, l'opera "Il trionfo di Clelia" di Gluck, ovvero il lavoro con il quale, a suo tempo, venne inaugurato il Teatro Comunale di Bologna. Rammentandomi di avere già manifestato in questa sede le mie perplessità al riguardo di questa riesumazione, soprattutto dopo avere letto quanto riportato nell'opuscolo riguardante l'attuale stagione del Comunale, in particolare riguardo alle scelte registiche dell'allestimento, l'opinione espressa dalla mia giovane amica, sembrerebbe confermare in pieno le mie più nefaste previsioni, a cominciare dall'allestimento scenico modernamente astruso, che l'interessata ha definito 'incomprensibile', oltrechè di avere trovato la musica decisamente noiosa. In attesa di ulteriori verifiche, se è vero che quest'opera, dopo la sua prima assoluta di 250 anni fa, pur essendo di un autore importante nella storia del teatro lirico, a cui ha donato dei capolavori assoluti in seguito, non era mai più stata ripresa fino ad oggi, viene quanto meno il dubbio che, salvo colossali abbagli sempre possibili, ci debbano essere delle valide ragioni che ne giustifichino la sparizione. Per cui, pur prendendo con beneficio d'inventario le opinioni della mia giovane amica e nella speranza di ulteriori verifiche ed eventuali trasmissioni radiofoniche che mi consentano di farmi un'opinione personale, se il suo giudizio negativo venisse confermato, allora non si potrebbe che constatare amaramente come si sia sprecata un'altra occasione, trasformando la celebrazione di un anniversario in un funerale d'infima classe, dopo essersi risollevato un poco con la recente "Norma", propinando ai melomani una bella 'pizza', che probabilmente era meglio lasciare nel dimenticatoio. Insomma, il Comunale sembrerebbe ritornato l'Orinale, che sprecando soldi in tempi di crisi, ti appioppa una sòla, alla fine rendendo un pessimo servizio anche a Gluck medesimo. Se proprio così fosse, stiamo tranquilli, è tutto nella 'norma'! Buonanotte a tutti! 

martedì 14 maggio 2013

Facezie.

Ieri sera, risentendo per l'ennesima volta alla radio, il preludio al pomeriggio di un fauno di Debussy, mi è ritornato in mente che una volta ho conosciuto un simpatico tristanzuolo bolognese che si piccava di essere un fine intenditore, dichiarare spudoratamente che Debussy compose questo brano (che, pure essendo stato composto nel 1894, viene considerato come una sorta di apripista per la musica moderna, stante la sua particolarità, a cominciare dall'agogica fluttuante) pensando 'al fauno col cazzo duro'; scusatemi per il turpiloquio, ma in questo caso la citazione è, ahimè, proprio letterale. Infatti, quando sgranai gli occhi mettendomi a ridere pensando ingenuamente che il soggetto scherzasse sia pure in maniera grossolana, il mentecatto s'infervorò ancora di più, arrivando ad arrabbiarsi, poichè mi rifiutavo di prenderlo seriamente. Alla fine dovetti arrendermi all'evidenza, lasciando cadere il discorso, poi non ci si meravigli se a volte cado in profonde crisi depressive, per fortuna che attualmente ne sto alla larga da simili ossessi! / Negli anni '50 a Bologna, di prima mattina, un gruppetto di giovani appassionati fa la fila alla biglietteria del Comunale per assicurarsi dei posti in loggione per il concerto serale. Quella sera era prevista l'esibizione del grande Arturo Benedetti Michelangeli. E difatti la sera il gruppetto si sistema in loggione in attesa, senonchè poco dopo l'orario d'inizio, sbuca un addetto da dietro le quinte, annunciate che, quella sera, causa indisposizione del maestro, il concerto non avrebbe avuto luogo. Al che, uno del gruppetto, sornione, dice rivolgendosi agli altri: "Se venite con me, ve la faccio vedere io l'indisposizione del maestro!", inducendoli a seguirlo all'esterno del teatro e appostandosi tutti nei paraggi dell'ingresso retrostante. Dopo un poco di attesa, ecco uscirne il 'maestro', visibilmente ubriaco fradicio, sorretto a spalla da 2 nerboruti addetti che lo trascinano via...... / Il direttore d'orchestra Franz Konwitschny (il cui figlio Peter, è attualmente noto come regista teatrale e lirico) era conosciuto dagli amici col nomignolo di 'Konwhisky', chissà com'è! / Otto Klemperer, la notte era solito ubriacarsi di birra, infastidendo i passanti per strada e facendosi regolarmente arrestare, passando sovente la notte in guardina. Inoltre, essendo un impenitente donnaiolo, succedeva spesso che il cornificato di turno, irrompesse nel bel mezzo delle prove orchestrali, gonfiandolo di botte come una zampogna, sotto gli sguardi esterrefatti dei musicisti. Spesso era costretto ad accettare incarichi defilati in teatri di provincia, proprio per sfuggire all'ira di coloro che cornificava!

sabato 11 maggio 2013

Riflessioni inevitabili.

Disquisizioni intorno alla musica colta, con particolare riferimento alla realtà contemporanea. Già, così a suo tempo ho intitolato il mio blog, ma purtroppo, se rileggo i miei ultimi scritti, direi proprio che la realtà contemporanea mi stimoli poco o niente, visto che, monotanamente, non faccio altro che ripetermi all'infinito, così come alla fine trovo stancante non trovare quasi mai nulla di positivo nell'attuale ambito musicale, pur non rinnegando affatto il mio pensiero al riguardo, tutt'altro! Proprio per questo, ovvero per il fatto che la realtà contemporanea, forse sarà anche per via della mia arteriosclerosi galoppante, della vecchiaia che avanza con relativa demenza senile e compagnia bella, non mi fornisca alcuno stimolo positivo, inducendomi al contrario alla depressione più cupa, che, incerto se valesse la pena di proseguirlo questo blog, ho alla fine deciso, salvo eccezioni, di cambiarne l'assunto, ovvero di dedicarlo strenuamente, scientemente ed esclusivamente, alla pornografia più smaccata, al fine di rialzarne le sorti (e non solo quelle!), per uscire definitivamente da questo clima di ammosciamento generalizzato con relativo spappolamento testicolare!!! In realtà stavo scherzando, anche se fino ad un certo punto, nel senso che, d'ora in avanti, cercherò di dare uno spazio preminente a faccende eminentemente musicologiche o quanto meno più concentrate sulla musica in quanto tale, almeno nelle intenzioni e limitatamente alle mie scarse capacità in materia, magari rischiando forse anche più di prima di tediare eventuali lettori, ma visto che la realtà contemporanea è quello che è e non ci si può fare alcunchè (e fa pure rima), soltanto qualora ne ricevessi stimoli inusuali ne tornerò a disquisire, altrimenti non farei altro che ripetermi stancamente all'infinito, annoiandomi io per primo. Tra le ideuzze che avrei in mente, a parte proseguire la mia indagine su Bruckner, avrei voglia di trattare ampiamente riguardo alla decima sinfonia di Mahler, così come di dedicarmi nel mio piccolo a trattare di compositori di musica da film come Herrmann, Easdale, Korngold, Waxman e altri, semprechè le circostanze e le mie frequenti crisi depressive me lo consentano, anche se in tali evenienze potrebbe rivelarsi tonificante proprio il discettare senza peli sulla lingua di sana pornografia, dando sfogo al mio intimo di vecchio erotomane sbrindellato (sto scherzando di nuovo, o no?). Quanto vorrei averlo, questo giardino da coltivare, lasciando che il mondo si sfracelli gaiamente per conto proprio, sarò vigliacco, ma tanto non c'è rimedio. Un porno al giorno leva il sessuologo di torno (sto proprio delirando, ahimè!). Oggi non so perchè, mi sento decisamente suonato, in più ho anche una fastidiosa allergia da polline, sono un vecchio rimbambito stonato! Rimaniamo comunque fiduciosi nelle magnifiche sorti e progressive e facciamo gli scongiuri!

venerdì 10 maggio 2013

Corbellerie assortite.

Devo essere sincero, il cambio di programma di ieri sera su Radiotre, non mi è dispiaciuto affatto, anzi! Al posto di una "Stanza della musica" con un programma musicale che aveva forti probabilità di risultare banale e scontato, è stato trasmesso in differita, un concerto sinfonico proveniente dalla Radio della Svizzera Italiana, con delle musiche, almeno in parte senz'altro più desuete dell'usuale. Gli interpreti erano il violoncellista Miklos Pereny, l'orchestra della Svizzera italiana e il direttore Heinz Holliger, in un programma comprendente l'ouverture "Le Naiadi" di William Sterndale Bennett, il concerto per violoncello di Schumann, l'elegia per violoncello e orchestra di Faurè e "Ma mère l'oye" di Ravel nella sua versione più estesa in forma di balletto. In particolare il brano di Bennett (1816-1875), è stato una piacevolissima scoperta, pur nei limiti di un'evidentissimo stilema mendelssohniano, meritevole senz'altro di essere riproposto, per non dire anche del bel pezzo di Faurè, ingiustamente negletto. Comunque, anche i 2 brani più conosciuti, ovvero quelli di Schumann e di Ravel, sono forse comunque meno inflazionati di quelli che avrebbero dovuto costituire originariamente il cartellone di Radiotre, ieri sera. Poichè era prevista, nello studio A di via Asiago, l'esibizione in diretta dell'ennesima giovanetta promettente, la pianista Leonora Armellini, in un programma tutto chopiniano (e dubito che si trattasse almeno delle sue musiche meno note), ma guarda un pò che grande originalità e coraggio nelle scelte, come del resto la stragrande maggioranza dei suoi colleghi. Per fortuna che una provvidenziale indisposizione le avrebbe impedito di ammanirci la solita minestra, almeno io la penso così. Ribadisco per l'ennesima volta che a me questi giovincelli che mi sembrano tutti prefabbricati con lo stampino, li trovo già vecchi nell'animo nel loro voler pervicacemente perseguire strade già ampiamente ribattute, per comodità, opportunismo o chissà cos'altro. Se già da giovani ci si dimostra così conformisti, allora il futuro non potrà che essere nero. Se anche nei secoli passati ci si fosse comportati tutti in tal guisa, non ci sarebbe mai stata alcuna evoluzione nel linguaggio musicale, come ho già affermato in precedenza, non per niente trovo che il clima culturale e musicale odierno sia caratterizzato da una decisa involuzione. Viviamo in un'epoca decisamente reazionaria, ed essere un comune mortale, ti pone in una condizione troppo atroce, insostenibile. / Come ho già detto precedentemente, io mi sento innanzitutto un musicofilo che in conseguenza di ciò è diventato discofilo, bibliofilo e audiofilo, ma ho dovuto constatare che per gli altri le cose stanno assai diversamente. Qui come al solito, si va a compartimenti stagni, col tempo ho dovuto constatare che, fra i musicofili, coloro che vanno a teatro e nelle sale da concerto, non necessariamente sono anche acquirenti di dischi e viceversa, così come coloro che ascoltano la musica attraverso la radio e la televisione non sono interessati alla musica dal vivo e viceversa, così come ci sono audiofili sfegatati minimamente interessati alla musica in sè e viceversa, molti poi non leggono libri e riviste specializzate, insomma come al solito, anche in questo ambito si va ognuno per i cavoli propri, il che è la norma. / Nell'ultimo numero di "Audiophile Sound" attualmente in edicola, vi è allegato un cd con la 4^ di Mahler diretta da Paternostro, peccato che questo stesso disco fosse già stato proposto, anni fa, allegato ad un numero della defunta "Cd classica", diretta sempre dall'ineffabile Pierre Bolduc, ahi ahi! / Lo so che ci faccio la figura del rompiscatole, ma, credetemi o no, mi piacerebbe tanto di trovare qualcosa di positivo di cui parlare, se i tempi sono grami, la colpa non è mia!

giovedì 9 maggio 2013

Note scarse.

Ieri sera Radiotre ha trasmesso in differita un concerto sinfonico che ha avuto luogo al Manzoni di Bologna, il 17 gennaio scorso, con i complessi del Comunale diretti da Arturo Tamayo (maestro del coro Andrea Faidutti) e la partecipazione nei primi 2 brani del programma, del soprano Carole Sidney Louis. Detto concerto comprendeva, nella prima parte, il monodramma "Erwartung" di Schoenberg, seguito dal preludio e morte d'Isotta dal "Tristano" di Wagner, mentre la seconda era interamente occupata dal balletto "Il mandarino miracoloso" di Bartòk. Poco da dire sul livello complessivo della serata, senz'altro buono, anche se soprano e direttore mi sono parsi più a loro agio in Schoenberg che in Wagner, così come ho trovato quest'ultimo un poco discontinuo in Bartòk; non potrei giurarci, ma mi sembra che in questo caso siano stati operati anche dei piccoli tagli; un sospetto di bilancino ce l'ho, la 1^ parte è durata circa 38' in totale, la 2^ circa 34'. Il discorso che vorrei fare, o meglio riprendere è un altro; a giudicare dagli applausi in sala, tanto per cambiare, il pubblico non doveva essere numerosissimo, ti pareva! Il programma proposto, nonostante i brani non fossero certo sconosciuti, era senz'altro inconsueto stante la nostra arretratezza culturale, ma come al solito, la risposta del pubblico è stata sconsolante. In particolare il brano di Schoenberg ha avuto degli applausi decisamente tiepidi. Tutto nella norma, come sempre! Il sole splende sulla nostra patria! Tutti al mare a mostrar le chiappe chiare! Siamo un paese balneare! / Riguardo ai dischi a 78 giri, tanto per dire che certi vizi dell'industria discografica datano da tempi remoti, sappiate che quello che distingue a colpo d'occhio un 78 giri prodotto prima della 2^ guerra mondiale, da uno prodotto a partire dall'immediato dopoguerra, è lo spessore e quindi il peso: quelli anteguerra pesavano 400-420 grammi, quelli successivi 360 grammi.

Quisquilie.

E' da poco più di un paio di anni che scrivo, sia pure a fasi alterne su questo sito, ma mi riesce un poco difficoltoso tracciarne un primo bilancio. Per certi versi, stante l'argomento non certo popolare che mi sono scelto, i risultati, stando almeno alle semplici visualizzazioni risultanti dalle statistiche, anche se di attendibilità molto relativa, sarebbero comunque superiori alle mie aspettative, visto il nefasto clima generale. Ma purtroppo la cronica assenza di qualsivoglia commento da parte di ipotetici lettori, salvo quei 3 piuttosto generici praticamente sollecitati dal sottoscritto, mi spiazza parecchio, così come il capire quali scritti siano stati più o meno graditi, visto che anche in questo caso, la rilevazione statistica non mi sembra completamente attendibile, per ragioni sulle quali, per il momento, non mi dilungo. L'unico lato positivo della faccenda, sembrerebbe, salvo smentite, l'assenza di spam, forse anche perchè l'argomento musicale da me prescelto, intimidisce anche i cosiddetti spammer, stante la sua specificità. Insomma, potrei dire di essere il migliore antispammer di me stesso, almeno fino ad ora. Questo però è l'unico aspetto positivo che rilevo, per il resto trovo la conseguente mancanza di interazione, alquanto frustrante. D'altronde mi accorgo che, se esploro altri siti ed altri forum di argomento simile, mi accorgo, il più delle volte, di quanto la carne al fuoco sia assai scarsa, per cui alla fine mi consolo almeno un poco. Peraltro, la mia intenzione era comunque quella di tentare qualcosa di diverso dagli altri blog, imperniati prevalentemente su politica, economia, giornalismo, cucina, viaggi, turismo, pettegolezzi, considerazioni sulla vita e compagnia bella. Per me non avrebbe avuto alcun senso seguire strade già troppo trafficate, fare un inutile doppione di ciò che la rete già ci vomita addosso con fin troppa generosità; credo di essere quantomeno, fra i pochissimi non addetti ai lavori, ad aver intrapreso una cosa del genere, anche se questo mi rende più difficoltoso trovare nuovi spunti. Io credo proprio che soprattutto nei momenti di crisi, anzichè seguire la massa, ci si debba ingegnare a tentare qualcosa di diverso, anche a costo di sbatterci il grugno, per avere una vaga speranza di venirne fuori in qualche maniera, altrimenti è inutile. Ma purtroppo la massa idiota, se pensa che un qualsivoglia settore possa offrire anche solo un ipotetico sbocco, ecco che regolarmente ci si butta a capofitto, portando conseguentemente quel settore a rapidissima saturazione, cosa inevitabile se tutti ci si mette a fare le stesse cose. Mi consola anche il fatto che, altre persone che come me gestiscono un blog, pur essendosi scelti argomenti più frivoli, alla fine abbiano ottenuto risultati persino inferiori ai miei, peraltro non eclatanti in senso assoluto. Certo purtroppo, per quel che concerne il confronto con le persone, all'atto pratico anche il virtuale, cioè la rete, si è rivelato altrettanto deludente del reale, ma effettivamente che altro mi sarei dovuto attendere? Così come si è rivelata una bugia assoluta il fatto che se si fanno affermazioni errate in rete, c'è sempre subito qualcuno che ti corregge, un corno! Qui l'unico che se ne accorge è solo quell'idiota del sottoscritto, in realtà potrei scrivere tranquillamente anche le peggiori corbellerie, che tanto nessuno ci fa caso. La cosa si presterebbe a riflessioni sconsolanti che mi porterebbero troppo lontano, mi limito solo a dire che fra le mie "perle", ho parlato di un impresario teatrale che ha lanciato il giovane Verdi chiamandolo Sperelli anzichè Merelli, ho parlato di un concerto sinfonico al Manzoni di Bologna, dicendo che iniziava con Intègrales e invece si trattava di Offrandes, sempre di Varèse, ma ne ho fatti degli altri senza dubbio, ancora più gravi. Se poi consideriamo che in questo insulsissimo paese, ogni volta che arriva la cosiddetta bella stagione, tutto si svolge all'insegna del consueto disimpegno, ossia dello svaccamento più totale, diventando imperativo categorico mandare in vacanza anche il cervello, almeno per chi ne possiede ancora uno, hai l'ennesima conferma di una nazione eternamente sclerotizzata nei suoi triti rituali, insomma di un'Italia che non vuole proprio cambiare, manco a morire. Sono stanco di sentirmi l'inerme passeggero di una nave che sta colando a picco, io vorrei smettere di meritarmelo questo paese, ma evidentemente i miei simili sono di ben altro avviso! Fra i triti rituali tipici del periodo, vi sono anche queste mandrie, orde barbariche di sedicenti studenti, che infestano le città con i loro lavativissimi docenti, forse ancora più scansafatiche degli stessi ragazzi. Ma quando mai si terranno lezioni in queste scuole sfornanti somari titolati, se sono o in sciopero, o sempre in giro a bighellonare? E anche stavolta, non diamo tutta la colpa allo stato canaglia!

mercoledì 8 maggio 2013

Pillole (ma non di saggezza, purtroppo per me!).

Altrochè se gli anni passano, esternamente puoi anche dimostrarne di meno, ma ciò non toglie che la faccenda abbia le sue conseguenze inesorabili e inevitabili. Me ne sono per l'ennesima volta reso conto l'altra sera, quando ogni volta che dovevo posizionare la puntina all'inizio della facciata del disco, mi ci voleva una buona mezz'ora per trovare la posizione giusta e sì che il mio giradischi è dotato di lampada periscopica, così come lo stabilizzatore dinamico della mia testina reca incisa una tacca per il posizionamento della puntina. Ma quando, col passare del tempo, ti si acuiscono i problemi di vista, tipo miopia, astigmatismo, congiuntivite cronica con inizio di cataratta, tanto per non farsi mancare alcunchè, che già ti creano difficoltà anche solo nel poggiare il disco sul piatto, ecco che ringrazi il cielo che sia stato inventato anche il cd, con la sua maggiore comodità operativa. Il giradischi, insomma, è un oggetto per audiofili in perfetta salute, il chè col passare degli anni diventa sempre più difficile. In linea teorica la presenza di eventuali automatismi, potrebbe attenuare il problema, senonchè questi ultimi, per mia esperienza, oltre a degradare sensibilmente il suono, non sono mai del tutto precisi ed affidabili, per cui è comunque giocoforza, nel trascorrere dell'esistenza, ricorrere sempre più alla comodità operativa del dischetto digitale, tantopiù che il suo complessivamente maggiore minutaggio totale, consente di salvaguardare maggiormente la continuità musicale delle composizioni più estese, soprattutto nelle sue evoluzioni tecnologiche da cd a dvd e a bd. Questi sono aspetti non secondari da tenere in considerazione nell'eterna diatriba fra supporti analogici e digitali. Questi ultimi mi sembra anche che 'digeriscano' meglio anche le composizioni per organici vastissimi, mentre mi sembra che, a volte l'analogico manifesti, in questi casi, dei limiti di 'contenimento fisico'. / Le cosiddette stampe speciali su vinile vergine, se vogliamo dirla tutta, celano in sè una mistificazione, poichè in realtà dovrebbero rappresentare la norma per tutte le stampe commerciali. Il fatto è che così operando, si trova il sistema per giustificarne il prezzo più elevato in commercio. I primi dischi microsolco in vinile, introdotti nel 1948 dalla Columbia/CBS in America, avevano un peso di 180 grammi, equivalente alla metà del peso, 360 grammi, dei coevi 78 giri, quindi quello inizialmente era il peso corrente delle stampe dell'epoca. Il concetto di stampa speciale è stato introdotto, mano a mano che, col passare del tempo, le case discografiche assottigliavano sempre più, per motivi biecamente commerciali, le stampe dei loro titoli (come per esempio, nel caso dei famigerati 'Dynaflex' introdotti dalla Rca americana nei primi anni '70, flessibilissimi, sottilissimi come un'ostia, rumorosissimi, ma spacciati come un'innovazione migliorativa!). Ecco che si sono avute ristampe speciali da 210, 200, 180, 150, 125, 90 grammi, di conserva al progressivo alleggerimento e assottigliamento delle stampe commerciali. Inoltre la grammatura, ossia il peso e lo spessore del vinile, non è l'unico fattore a determinarne la qualità, ma anche il fatto che il vinile utilizzato sia interamente vergine, ossia non riciclato da precedenti scarti di lavorazione. Va da sè che, nelle stampe commerciali, col tempo, la percentuale di vinile riciclato fosse progressivamente sempre più superiore a quella di vinile vergine, se a ciò aggiungiamo pure il passaggio dai controlli di qualità manuali a quelli automatici (ovvero disastrosi!), le volute trascuratezze in materia di immagazzinamento, stoccaggio e confezionamento, ci rendiamo conto di quanto siamo stati (e veniamo presi tutt'ora) per i fondelli! E non diamo sempre la colpa alla crisi, anche in questo caso! / Ho rinvenuto degli lp Dg 'italiani', recanti la sigla D.R. con sotto la sigla SIAE,  nel riquadro a sinistra, sull'etichetta; inoltre, ho individuato dei Dg, dalla nazionalità di stampa non identificabile sull'etichetta, recanti in basso la scritta "Polydor International", mah!.....

Bazzecole e pinzillacchere.

Questo mese ricorrono almeno 2 anniversari importanti, almeno sulla carta: il 14 maggio 1763, con la prima rappresentazione assoluta de "Il trionfo di Clelia", dramma per musica in 3 atti di Christoph Willibald Gluck su libretto di Pietro Metastasio, con scene e costumi di Antonio Galli Bibiena, si inaugurava proprio 250 anni fa il Teatro Comunale di Bologna, progettato proprio dallo stesso architetto Bibiena. Dopo di allora, quest'opera sembra non sia mai più stata rappresentata e quindi proprio martedì 14 alle ore 20, dovrebbe avere, in una nuova edizione critica appositamente realizzata per l'occasione, la sua seconda rappresentazione assoluta, oltretutto nello stesso luogo per cui venne realizzata originariamente. Speriamo bene che si tratti di una riesumazione degna di nota, che vada ben al di là dell'occasione contingente così come spero, prima o poi, almeno tramite Radiotre, di poterlo verificare almeno con le mie orecchie, una volta tanto che non si va a pescare nella solita minestra. L'unica cosa che, al momento, mi mette un poco in apprensione, è quanto si legge riguardo ai criteri registici adottati, stando all'opuscolo ufficiale dell'attuale stagione del Comunale. A pag.6, nelle note del consulente artistico Nicola Sani si legge testualmente: "Occasione preziosa per la riscoperta di un titolo di rarissima esecuzione, presentato in una veste semplice e innovativa (sic!) dal giovane regista inglese Nigel Lowery." Più oltre a pag.19, nelle note anonime a fianco della locandina degli interpreti si aggiunge: "In questa nuova produzione, che ambienta l'azione in un parallelismo tra il mondo classico e i moti rivoluzionari dei primi decenni del ventesimo secolo (sic!), la regia e le scene sono affidate al giovane regista inglese Nigel Lowery......" Insomma il rischio di doversi sciroppare l'ennesima regia teatrale modernamente astrusa come da norma, mi sembra dietro l'angolo, per cui speriamo che l'occasione preziosa non si riveli, alla fine, come l'ennesima occasione sprecata. Purtroppo, se penso a quello che ho visto e sentito sia attraverso Radiotre che Rai5, degli spettacoli più recenti del Comunale (Trovatore, Macbeth, Olandese Volante, mentre sorvolo sulla Norma, non avendola ancora ascoltata), stante il livello complessivamente non esaltante, questo non m'induce a essere ottimista, anzi direi proprio che i 250 anni, il Comunale, li porta decisamente malissimo, salvo smentite. Vedremo e soprattutto, sentiremo! Ma il fatto è che la resa artistica dei complessi corali e orchestrali del teatro, risente moltissimo del livello di chi li dirige, essendo stata massima come testimoniato anche dalle incisioni discografiche, quando a dirigerli c'era un certo Riccardo Chailly, mentre già con Daniele Gatti, si andava più a corrente alternata, ovvero a buone riuscite si affiancavano anche serate mediocri, in cui il nostro, mi si passi il bisticcio, dirigeva da cani! L'attuale direttore stabile, figlio guarda caso del sovrintendente del Festival Rossini di Pesaro, non è secondo me la guida ideale per questi complessi, in quanto interpretativamente ancora acerbo, anche se riconosco che la sua direzione della bellissima "Matilde di Shabran" proprio al Festival Rossini, mi è sembrata una delle rare volte in cui desse un'interpretazione più convincente. Tra l'altro proprio quest'anno dovrebbe affrontare la sfida enorme rappresentata dal "Guillaume Tell" nella stessa sede, in agosto, per cui incrociamo le dita! Il secondo anniversario a cui volevo accennare, riguarda la prima rappresentazione assoluta di quello che è il capolavoro simbolo di tutto il '900 musicale, ovvero la tumultuosa prima de "Le sacre du printemps" di Stravinski, avvenuta il 26 maggio 1913, ovvero 100 anni fa. Pensare che una musica del genere stia per tagliare il traguardo del secolo di vita, produce un singolare effetto. Aspettiamoci anche, come trita consuetudine in questi casi, che le varie istituzioni musicali, approfittino dell'occasione, per riproporci questo brano arcinoto e strainciso, fino alla nausea, intanto già venerdì scorso si è riascoltato nella seconda parte del concerto dell'orchestra sinfonica della Rai, in più ne sono già uscite recentissimamente altre 2 ennesime edizioni discografiche ma, faccenda curiosa, in video, ossia in dvd, non è reperibile alcuna edizione in forma di balletto, ossia con tanto di danzatori e coreografia, trovandosi esclusivamente poche riprese di esecuzioni in forma concertistica, cosa abbastanza singolare se raffrontata alla pletora di edizioni discografiche. Sempre tutto nella norma!

lunedì 6 maggio 2013

Classica in vinile 7/De Agostini.

Uscito martedì 30 aprile / AA. VV.: "Russia romantica": Glinka: "Russlan e Ludmilla", ouv., Mussorgski: preludio (alba sulla Moscova) da "Kovanchina", "Una notte sul Monte Calvo" (arr.i di Rimski-Korsakov), Borodin: ouv. e danze polovesiane da "Il principe Igor" (arr. di Glazunov e Rimski-Korsakov) / coro e orchestra sinfonica di Londra / Georg Solti / m. del coro: John Alldis / disco Decca SXL 6263, (P)1966 / Custodia del disco opaca ma senza rilevanti discrepanze grafiche, busta interna generica in quanto priva delle tipiche iscrizioni informative e promozionali tipiche della Decca all'epoca, le etichette del disco non sono propriamente conformi a quelle del periodo di uscita, in quanto nel '66 si adottavano ancora le etichette "FFSS" cosiddette a "banda larga" (12 mm.), usate fino al Decca SXL 6448 e quindi fino all'incirca alla fine degli anni '60, mentre quelle qui grossolanamente riprodotte sono le cosiddette "FFSS" a banda stretta (8 mm.), adottate a partire dal 1970. Inoltre il colore delle etichette è di un grigio troppo chiaro, le scritte sono bianche anzichè argentate e per giunta sul lato 2 viene omesso, sulla sinistra, il piccolo logo pentagrammato con le 2 chiavi di violino all'estremità inframmezzate da alcune note musicali, recante inferiormente la scritta "DECCA REGD. TRADE MARK", solo per dire delle pecche più rilevanti! / Fascicolo interno, con testi di Giovanni Tasso e Pierre Bolduc, come al solito accettabile ma con qualche piccolo refuso, come per esempio a pag.5, nel riquadro in basso relativo al disco Mussorgski/LSO/Abbado-Rca, in cui gli estremi di etichetta indicati per la versione cd sono completamente errati ed inoltre, contrariamente a quanto affermato, nel successivo disco con programma parzialmente identico inciso con la filarmonica di Berlino nel '93 per la Dg, di "Una notte sul Monte Calvo", viene nuovamente proposta la versione originale e non quella di Rimski-Korsakov. Trovo inoltre l'articolo a pag.8, relativo alle registrazioni mono, un pò grossolano come trattazione. Dati d'incisione scarni (primavera 1966, Kingsway Hall, Londra, prod. Ray Minshull, tecnico del suono Kenneth Wilkinson) / NOTAZIONE A PARTE: trovo discutibile non aver cercato di evitare, nella scelta dei titoli da proporre in edicola, eventuali doppioni, che magari possono non dispiacere a un appassionato evoluto offrendogli occasione di eventuali confronti interpretativi, ma che ritengo possano infastidire un neofita, a cui la collana sembra principalmente rivolta. Nella fattispecie mi riferisco al preludio dalla "Kovanchina" di Mussorgski, già presente nel disco allegato alla quinta uscita della collana, in appendice ai 'Quadri' incisi da Dorati per la Mercury. /  Tornando al Decca, l'interpretazione di Solti e dell'orchestra londinese è veramente notevole, fatto salvo per una punta di superficialità nell'ouverture di Glinka e nel preludio alla "Kovanchina", risulta decisamente superiore, sotto tutti gli aspetti, all'interpretazione di Dorati. Ma il meglio di sè, questo disco, sia come interpretazione che come fasto sonoro, lo dà nel lato 2, con i brani di Borodin, a cui si aggiunge il validissimo apporto del coro nelle danze polovesiane. Una vera festa per le orecchie!!! / La qualità sonora è all'altezza della fama dell'etichetta, con quella tipica ambienza sontuosa, avvolgente, suadente, eufonica, tipica delle grandi registrazioni della Decca, la quale, con buona pace degli audiofili, secondo me, surclassa quella di tutte le altre etichette, Mercury compresa. Tutto questo avviene senza che ne scapiti la chiarezza e il dettaglio, l'equilibrio fra le varie sezioni orchestrali e il coro misto, con un'immagine sonora realistica, buona dinamica, estremi gamma ben presenti pur senza strafare, solo con qualche lieve sintomo di saturazione del master, a tratti, nei brani di Borodin. / Peccato che, questa volta, a guastarmi un pò la festa, ci sia da mettere una qualità di stampaggio modesta, con diversi disturbi dovuti a difetti superficiali sul lato 1, nella parte finale di "Una notte sul Monte Calvo". Qualche rumore impulsivo di troppo anche sul lato 2. Spero proprio che la cosa non si ripeta mai più!!!

sabato 4 maggio 2013

Dilettanti allo sbaraglio (segue).

Dicevo, al riguardo dello "storico" concerto dell'8 maggio 2012, all'aula absidale di S. Lucia, in Bologna, che il peggio doveva ancora arrivare. La seconda parte, infatti, era pressochè interamente occupata dal concerto di Chopin in riduzione cameristica, il che significava che ai nostri baldi figli di papà, si sarebbe aggiunto il 'sommo pontefice' Leone Magiera, che nonostante vanti un curriculum rispettabile, puntualmente riportato nel programma di sala, mi è sempre sembrato di livello assai modesto come interprete, non superando mai la soglia del cosiddetto battisolfa, cosa che la serata in questione mi ha riconfermato anche al di là delle mie più fosche previsioni. A parte che fin dalle primissime battute, durante la lunga introduzione strumentale che precede l'ingresso del solista, il gruppo strumentale si rivelava ancora più sbrindellato, sbertucciato, scombiccherato, sgangherato, di quanto già non si fosse rivelato nella prima parte della serata, quando il "grande solista" ha fatto il suo esordio, si è comportato come suo solito, procedendo con la grazia di un elefante in una cristalleria, ignorando bellamente qualsivoglia sfumatura agogica, dinamica, espressiva, sbranando leoninamente interi gruppi di note, ingozzandosi come un tacchino, sbagliando e saltando interi passaggi disinvoltamente, procedendo al fulmicotone con la delicatezza di un maglio, in un fragore perenne, degno di un tritaliquami, oltrechè in totale mancanza di sintonia con i poveri disgraziati che cercavano di accompagnarlo in qualche maniera; va da sè che, in un simile contesto, di intonazione manco a parlarne! Insomma, una quarantina di minuti di totale abominio, al termine della quale, la claque plaudiva festante e pestante i piedi, mentre il sottoscritto se ne stava muto e silente, guadagnandosi qualche occhiata perplessa. Dopo tale, mi si passi il francesismo, "standing ovation", il nostro perseverante mentecatto, concedeva un paio di bis, a una platea sempre più tumultuante, in cui massacrava con allegra sfrontatezza, in maniera se possibile ancor più micidiale, un paio di studi di Chopin. Ma mai nessuno che lo 'freni' questo leone e lo rinchiuda in qualche zoo sperduto a pane e acqua, impedendogli di sbranare impunemente altre prede musicali, per carità, forse sono io che mi sono rimbambito, ma a me il tutto è parso più deprimente che assistere all'ora del dilettante! E meno male che era gratuito, altrimenti ci avrei come minimo guadagnato una colossale emicrania! Per giunta sul palco erano stati piazzati una prolusione di microfoni, almeno 8-9 per un totale di 6 esecutori, in aggiunta a una telecamera piazzata fra le file delle poltrone, probabilmente per immortalarne per i posteri il "grande evento" e stante la multimicrofonia spinta, per essere arcisicuri di non perdersi nemmeno la benchè minima 'nuance' (mi si passi l'anglicismo!) espressiva, prodotta da geni tali! Insomma direi proprio che in questo caso una "MINZIONE D'ONORE" (non è un refuso) è sommamente d'obbligo. Tra l'altro, proprio in quei giorni, sul bancone del negozio 'Discorama' troneggiava in bella vista l'ultimissima incisione del nostro Beone Megera, comprendente (ohibò!) la raccolta integrale degli studi per pianoforte di Chopin, ma che strana coincidenza! E poi non lamentiamoci della crisi del mercato discografico! Idiota che non sono altro, poichè non mi sono fiondato precipitosamente ad acquistarlo! Altrochè quegli innocui 'zuzzurelloni' di Pollini, Ashkenazy, Horowitz, Rubinstein e compagnia bella! Questa sì che è arte! Impara l'arte e mettila da parte!!!...Aridatemi "La corrida" di Corrado e Pregadio!

venerdì 3 maggio 2013

L'ora del dilettante.

Per pianoforte e (minima) orchestra (ma i danni sono stati massimi, secondo il sottoscritto!). Così recitava il titolo del concerto gratuito (per fortuna, altrimenti avrei preteso a grandissima voce il rimborso!), tenutosi martedì 8 maggio 2012 alle ore 21, nell'aula absidale di Santa Lucia, in Bologna (ahimè!), con il "sommo" Leone Magiera al pianoforte (più forte che piano, però!), accompagnato dall'Harmonicus (ma piuttosto dis-harmonicus!) Concentus (tormentus!). Il programma comprendeva l'adagio e fuga in do min. KV546 di Mozart e il quartetto in mi bem. magg. D87 op.125 n.1 di Schubert, nella prima parte, mentre la seconda era occupata dal concerto n.1 in mi min. op.11 per pianoforte e orchestra di Chopin, nella versione cameristica per pianoforte e quintetto d'archi, edita da Kistner nel 1830. Mi corre l'obbligo di riportare i singoli nomi dei componenti del complesso strumentale, stante l'esito (s)travolgente della serata, degni senz'altro di una "minzione d'onore": GABRIELE RASPANTI, (nomen omen, altrochè se raspava!) e MANUEL VIGNOLI ai violini; NICOLA CALZOLARI (anche qui nomen omen, avente l'animo più di un ciabattino che di un musicista!) alla viola; MARTA PRODI (e infatti fra il pubblico era presente Flavia Franzoni, cuore di mammà!) al violoncello; LUIGI PARISI, al contrabbasso. Insomma la tipica accozzaglia italica di cognomi celebri raccomandati, il che è la norma, stante il fatto che, anche prescindendo da ciò, il livello esecutivo è stato veramente basso! Leggendo le note del programma di sala, si apprende anche che gli sciagurati hanno anche inciso un disco dal vivo, comprendente i Vespri di Pergolesi, allegato a suo tempo alla rivista 'Amadeus' in occasione del terzo centenario dalla morte del compositore (e così gli avranno rifatto i funerali, per giunta d'infima classe!), per tacere di partecipazioni a festival più o meno illustri (sic!), ecc. ecc. Poi non lamentiamoci ipocritamente di come vanno le cose in ambito musicale qui da noi! Tornando al concerto dell'8 maggio 2012, fin dal brano di esordio ho ravvisato in costoro una gelidità d'approccio, una freddezza, in aggiunta a una scarsa fusione d'insieme, a una precarietà d'intonazione, a una disomogeneità generale, che dava la netta sensazione che ognuno andasse per i cavoli propri, impressione confermata anche dal brano successivo, caratterizzato da un'eccessiva legnosità d'approccio, per cui ho applaudito debolmente e più per riflesso condizionato che per altro. Ma il peggio doveva arrivare nella seconda parte, con l'ingresso del "sommo solone (nel senso di grande 'sòla')", Leone Magiera, che evidentemente non pago degli sfracelli combinati come accompagnatore di cantanti lirici, cerca di riciclarsi come improbabile e improponibile camerista (io uno così non lo metterei nemmeno nel cesso, figuriamoci!). Tanto per fare 2 esempi della sua somma arte direttoriale, ricordo di averlo visto dirigere in tempi remoti in tv, l'orchestra filarmonica di New York, in una ouverture dalla "Luisa Miller" piattissima e piallatissima, senza alcuna variazione agogica e dinamica purchessia, con un gesto che era quanto di più metronomico si potesse immaginare. In un altro concerto, sempre in tv, scaraventava con malgarbo dal suo podio, tonnellate di suono al 'povero' Pavarotti, costringendolo a forzare, durante l'esecuzione di 'Pourquoi me réveiller' dal 'Werther' di Massenet; e potrei continuare ancora, ma rischio di dilungarmi troppo. Per cui torniamo a parlare della seconda parte di quel "memorabile" concerto, in cui il nostro ineffabile musicista ha dato veramente il meglio (o il peggio?) di sè (continua).......

Sul concerto giovanile di Respighi, con riferimento al tassametro.

Rileggendomi le note di commento del pianista Almerindo d'Amato inerenti il lavoro giovanile di Respighi, di cui ho parlato in precedenza, ritengo utile soffermarmi ancora. Contrariamente a quanto affermato dallo stesso nel suo commento, ho già rilevato il fatto che, questa composizione poco ci dica dell'autentica personalità del suo autore, a malapena ravvisabile in certi tratti orchestrali e molto ci dica dei suoi iniziali influssi, quello liztiano essendo il più evidente. Non sono per niente d'accordo quando d'Amato afferma testualmente: "Con una fisionomia propria, marcata e del tutto originale, l'opera appare in naturale sintonia con il ricco strumentalismo rachmaninoviano ed il sinuoso lirismo pucciniano." Potrei essere in accordo tutt'al più riguardo all'influenza di Rachmaninov, avvertibile qui e là, così come si possono trovare labili tracce di influenze scriabiniane e chopiniane, ma sinceramente il sinuoso lirismo pucciniano non l'ho proprio avvertito. Nelle note di commento del disco in mio possesso si accenna anche a Grieg e Schumann, ma questo credo si debba soprattutto al fatto che la tonalità d'impianto del lavoro di Respighi, 'La minore', è la stessa dei 2 analoghi lavori dei summenzionati compositori. Sull'originalità della struttura che, sempre secondo d'Amato sarebbe in: "11 cambi di tempo inglobati in 3 parti fondamentali: 1) un fantasioso Allegro moderato, ... , introdotto in modo originale ed anticonformistico da una spericolata cadenza pianistica; 2) un ... Adagio molto, ......... 3) un ... Presto, includente un ...... Andante ......... ecc. ecc." avrei per l'appunto qualcosa da obiettare, in quanto all'ascolto la sua struttura complessiva non risulta dissimile dagli analoghi lavori liztiani, che pur con diversi cambi d'agogica al loro interno, sono sostanzialmente concepiti come un blocco unico, intervallato al massimo da brevissime pause. Anche Rimski-Korsakov, da cui il giovane Respighi prese lezioni d'orchestrazione, compose un lavoro similare, anch'esso di chiara ascendenza liztiana. Nel caso della composizione di Respighi, prendendo per buona la suddivisione suggerita da d'Amato, l'allegro moderato e l'adagio molto si susseguono senza soluzione di continuità e solo una brevissima pausa precede l'avvio del presto-andante conclusivo. Insomma, qui sostanzialmente Respighi ci fa la figura di un buon epigono e nulla più, pur riconoscendo l'estrema piacevolezza di questa musica, per cui se si fosse fermato a questi livelli, non penso che il suo nome sarebbe assurto a rilevanza internazionale, assicurandogli un posto d'onore nell'ambito della storia della musica, se il suo linguaggio non avesse poi assunto quelle caratteristiche personali che ne tratteggiano l'unicità. Tra l'altro anche il suo contemporaneo Ildebrando Pizzetti, scrisse successivamente un suo concerto per pianoforte e orchestra, classicamente strutturato in 3 movimenti separati, dove i tratti liztiani sono meno preponderanti, per contro quelli personali più evidenti, un lavoro più esteso e di livello superiore del giovanile concerto respighiano, purtroppo immeritatamente pochissimo conosciuto anch'esso. Trattasi dei "Canti dell'alta stagione", per pianoforte e orchestra, di cui per fortuna ne esistono almeno 4 edizioni discografiche. Tornando al lavoro di Respighi, nelle sue note d'Amato indica una durata complessiva di 27 minuti circa, contro i 20-22 delle 2 edizioni discografiche attualmente reperibili e i circa 30 da me rilevati proprio quella fatidica sera dell'11 luglio 2012. Oltretutto proprio quell'arbitrario allargamento di tempi operato nella suddetta esecuzione, oltre a sfilacciare l'architettura complessiva del brano, ne faceva avvertire assai poco i tanti mutamenti di agogica rilevati dallo stesso d'Amato nelle sue note di commento, non rendendogli alla fine adeguata giustizia. Ma guarda caso, a esso seguiva l'Italiana di Mendelssohn, che finiva così per avere, pressappoco, lo stesso minutaggio del brano di Respighi. Magari sarò anche pedante e poi aggiungiamoci gli evidenti limiti tecnici e virtuosistici del solista, più volte in affanno nel corso dell'esecuzione, ma non direi proprio che Bologna renda adeguato merito al suo illustre concittadino. E' anche vero che, conoscendo altri lavori per pianoforte e orchestra di Respighi di epoca più tarda, direi che questi non assurgano mai però agli stessi livelli di originalità toccati nei suoi lavori per violino e orchestra, strumento quest'ultimo di cui, guarda caso, il musicista era virtuoso provetto.

giovedì 2 maggio 2013

La dittatura del cronometro (segue).

Del malevolo comportamento di coloro che definisco volgarmente ragionieri della musica, posso fornirvi un ulteriore esempio. La sera dell'11 luglio 2012, mi trovavo in piazza Verdi, sempre a Bologna, ad assistere a un concerto all'aperto con l'orchestra del Comunale. Avendo smarrito il programma originale, non ricordo chi fosse il direttore d'orchestra, se non sbaglio però, il breve concerto principiava con un'ouverture di Rossini, 'L'Italiana in Algeri', a cui seguiva un lavoro giovanile di Respighi, ossia il concerto in la min. per pianoforte e orchestra, mentre la conclusione veniva affidata alla quarta sinfonia 'L'Italiana' di Mendelssohn-Bartholdy. Il solista al pianoforte era un certo Almerindo d'Amato, che sinceramente, confesso la mia ignoranza, non avevo mai sentito nominare prima d'ora ed obiettivamente, dopo averlo ascoltato in loco, non me ne meraviglio affatto! Ho per fortuna rintracciato un foglietto, distribuito la sera stessa prima dell'inizio dello spettacolo, recante le note di commento di mano dello stesso pianista, inerenti il brano di Respighi, che veniva eseguito nuovamente a Bologna, per la prima volta, a poco più di 110 anni dalla sua prima esecuzione assoluta, avvenuta proprio a Bologna, l'8 giugno 1902. Il mese prima, ossia nel giugno del 2012, questo stesso brano, con altri interpreti, figurava nel programma di un concerto tenutosi in quel di Brescia. Dico questo per puntualizzare il fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe supporre leggendo il foglietto summenzionato, la riscoperta di questo brano non si deve affatto ad Almerindo d'Amato, tanto più che già a metà degli anni '90 ne sono uscite ben 2 edizioni discografiche, una (quella in mio possesso) per la Naxos, col solista Konstantin Sherbakov accompagnato dall'orchestra filarmonica slovacca diretta da Howard Griffits, l'altra per la Chandos, col pianista Geoffrey Tozer e la BBC Philarmonic diretta da Sir Edward Downes. Ecco che il motivo principale di interesse della serata, veniva costituito dal brano di Respighi, in cui però a parte la piacevolezza dell'ascolto, erano ancora scarsamente presenti i tratti tipici personali del suo stile, mentre risultavano evidenti gli innumerevoli debiti stilistici, in primis quelli liztiani. Pur con questi limiti, in ogni caso il brano è in sè più che degno di riproposta, anche se per coloro che non conoscono l'autore ( e sono tantissimi anche qui a Bologna), non dà un'idea precisa della personalità dell'autore. Peccato poi che, quella sera, l'esecuzione proposta, fosse ben lungi dall'essere ottimale, soprattutto per demerito del pianista, che rivelava evidentissimi limiti virtuosistici. Questo forse spiegava in parte gli sfacciati aggiustamenti agogici che il suddetto vistosamente si concedeva nella prima parte, quella più lenta del brano, rischiando in più punti di sfilacciarne la struttura complessiva, cosa che mi ha confermato il riascolto del disco in mio possesso, una volta tornato a casa. Innanzitutto, la durata complessiva del brano, quella sera risultò di 30 minuti, contro i circa 20 del disco in mio possesso e i 22 dell'edizione Chandos, tant'è che mi era sorto il dubbio che al mio disco mancasse qualcosa. E invece no, una volta che l'ho riascoltato mi sono accorto che non mancava un bel niente, solo che nel concerto bolognese, avevano letteralmente stiracchiato la prima parte del brano, facendola durare all'incirca il doppio rispetto al disco, ossia 20 minuti anzichè 10, mentre nella seconda (quella più veloce) i tempi risultavano pressochè coincidenti, rimanendo contenuti in ambo i casi, nell'arco della decina di minuti. Ma guarda caso, operando in maniera così disinvolta, il minutaggio complessivo del lavoro di Respighi nel concerto bolognese (30 minuti), risultava pressochè coincidente con quello del brano seguente, ovvero la sinfonia di Mendelssohn (27 minuti), una casualità? Tanto il pubblico ignorante mica se n ne accorge! Anche all'estero il malvezzo dilaga: ricordo un concerto ascoltato alla radio, in cui il direttore Lorin Maazel faceva durare la sinfonia n.38 di Mozart e la sinfonia n.2 di Schumann, esattamente 36 minuti cadauna, semplicemente eseguendo tutti i ritornelli nella prima ed omettendone alcuni nella seconda. O tempora, o mores! 

Concerti col tassametro!

E' da parecchio tempo che rilevo un singolare malvezzo fra i musicisti, sia per quel che concerne le loro esibizioni a cui ho assistito di persona, sia attraverso quelle che ho ascoltato tramite la radio, faccenda che mi sembra sfugga ai più, ma che considero sommamente deleteria, ovvero il proliferare di quelli che io definisco concerti col tassametro, in cui i criteri interpretativi in fatto di scelte agogiche e di eventuali tagli in sede esecutiva, sembrerebbero essere subordinati a una sorta di bilancino da ragionieri della musica anzichè da esigenze artistiche, le quali, in questi casi, se ne vanno bellamente a farsi benedire. Innanzitutto, in tali casi, sembra che l'esigenza primaria sia quella, a tutti i costi, di far durare la prima parte del concerto, esattamente al minuto spaccato o quasi, quanto la seconda, ovvero allargando o stringendo i tempi e magari anche tagliando interi passaggi, al fine di fare in modo che il minutaggio complessivo di ciascuna delle 2 parti che usualmente compongono un'esibizione pubblica, sia pressochè identico. Insomma le scelte in fatto di agogica e di tagli, non sono per nulla dettate da sia pur discutibili criteri interpretativi, ma unicamente dal cronometro! Ho rilevato questa cosa troppe volte, nel corso degli anni, ritenendola decisamente grave e deleteria, in barba anche alla deontologia professionale, che mi sembra manchi sempre più ai musicisti. Vi faccio un esempio inerente proprio Bologna. L'anno scorso rammento che Radiotre trasmise in differita un concerto dal Manzoni con l'orchestra e il coro del Comunale diretti da Arturo Tamayo. Il programma comprendeva 'Intègrales' di Varèse, 'Les nuits d'été' di Berlioz, nella prima parte; la seconda era interamente occupata dal balletto 'Daphnis et Chloè' di Ravel (e questo spiega la presenza del coro). Sottolineo che in questo caso trattavasi del balletto integrale (o meglio avrebbe dovuto) e non delle 2 suites generalmente eseguite in concerto nella maggior parte dei casi. Fin dal brano d'avvio, notai che il direttore staccava dei tempi larghi; il brano di Varèse, che normalmente dura 6-7 minuti qui ne durava 10, il ciclo di Berlioz che usualmente non supera la mezz'ora, in questa occasione raggiungeva i 33 minuti. E quindi il minutaggio complessivo della prima parte (10'+33') era di 43 minuti. Per cui, quando il conduttore radiofonico annunciò l'esecuzione integrale del balletto di Ravel, indicando una durata totale di 44 minuti, pensai avesse preso un abbaglio, poichè la durata media di questo lavoro si aggira sui 53-54 minuti (per la cronaca, le edizioni discografiche variano dai circa 51' dell'incisione Dg diretta da Ozawa ai 60 della registrazione Adès diretta da Rosenthal). Tanto più che fin dall'inizio, anche in questo caso, il direttore adottava dei tempi decisamente larghi. Purtroppo l'annunciatore non si sbagliava affatto, il minutaggio complessivo era effettivamente di 44' e tale risultato veniva ottenuto tagliando 2 sezioni della prima delle 3 parti di cui si compone il balletto e una sezione anche nella seconda parte. Peccato però che il brano in questione sia stato spacciato, anche al pubblico presente in sala, come un'esecuzione integrale, il che grida vendetta, stante anche l'illogicità di tale scempio, spiegabile solo come un'assurda esigenza cronometrica, visto che alla fine i minutaggi delle 2 parti risultavano per l'appunto di 43 e 44 minuti rispettivamente. Peraltro di tale incongruenza se ne accorse anche il conduttore radiofonico al termine della trasmissione. Tagliare 10-15 minuti di musica senza alcuna ragione logica, contando sull'ignoranza del pubblico, non è mica roba da ridere! Se fossi stato presente in loco, avrei inveito pesantemente contro il direttore, innanzitutto, in questi casi la serietà va a farsi benedire. Si poteva evitare un simile scempio, optando per l'esecuzione soltanto delle ultime 2 parti come fecero al Maggio, oppure eseguire le 2 suites tratte dallo stesso lavoro, od anche scegliere un altro lavoro, come per esempio 'Bacchus et Ariane" di Roussel, rimanendo in area francese, che dura circa 37', oppure l'intero 'Uccello di fuoco' di Stravinski, che dura circa fra i 41 e i 46 minuti, a seconda delle esecuzioni. Insomma, la maniera di conciliare l'integrità della musica con le esigenze del cronometro c'era, fermo restando che si tratta comunque di un criterio esecrabile, poichè se anche la seconda parte di quel concerto fosse durata 10-15 minuti più della prima, non vedo una ragione plausibile perchè ciò non sia avvenuto. Se non bastasse, ho un altro esempio al riguardo, tanto più che in questo caso, vi ho assistito di persona (continua).