martedì 30 aprile 2013

La voce nel deserto.

Sabato scorso, su Radiotre, in occasione della differita della 'Valchiria', si accennava per l'ennesima volta, alla situazione critica del 'Maggio' fiorentino, con tanto di messaggi di sostegno di personalità illustri, come Abbado ed sms di radioascoltatori, denotanti troppa superficiale emotività e scarsissimo raziocinio, come al solito in simili casi, tra i quali ne cito in particolare uno di un radioascoltatore che tira in ballo "lo stato criminale che manda a picco un'istituzione come questa, in grado di allestire una 'Valchiria' di livello internazionale, ... ecc. ecc.". Che questo sia uno stato criminale anche e soprattutto a livello generale e non soltanto in questo ambito specifico, mi sembra fuor di dubbio, quanto al livello interpretativo generale di quest'allestimento però, esiterei a definirlo di livello internazionale, soprattutto se tengo conto che, per esempio, il ruolo di Wotan era ricoperto, perlomeno in questa ripresa risalente al 18 gennaio scorso, da quel cantante finlandese, Juha Kuusisto, ovvero quello stesso che, salvo abbagli di memoria, poco tempo fa ha fatto sfracelli nel ruolo eponimo dell'Olandese volante, trasmesso in diretta dal San Carlo sempre su Radiotre e che nella fattispecie della 'Valchiria', faceva meno danni semplicemente perchè, in questo caso, la sua presenza era assai più circoscritta dall'andamento narrativo dell'opera, già mi viene da storcere un pò il naso; e pensando anche al direttore d'orchestra, Zubin Mehta, direi che, in questa come in molte altre sue esibizioni sia operistiche che concertistiche, non soltanto all'interno della stagione del 'Maggio', abbia dato prova più del suo consumatissimo mestiere di musicista, rivelandosi come al solito una guida sostanzialmente sicura ed affidabile, piuttosto che foriero di originali intuizioni interpretative e mi riferisco non solo a codesta 'Valchiria', ma anche alla recente esecuzione, sempre coi complessi corali e orchestrali del Maggio, della 'Risurrezione' mahleriana. Inoltre, pur tenendo presente che la cosa sia dovuta almeno in parte al clima d'incertezza che si respira, ho rilevato in orchestra, parecchie smagliature e incertezze, soprattutto nel settore dei fiati, tacendo del fatto che nella 'Risurrezione' ci sono state anche alcune entrate sbagliate e dei veri e propri piccoli errori esecutivi, alla fine ci andrei cauto con le iperboli, dato che lasciano il tempo che trovano. Anche pensando ai vari cartelloni, direi proprio che il prestigio del Maggio, come di tutte le altre istituzioni musicali nostrane, si sia parecchio appannato, nel corso degli anni. Nessuno sembra poi rammentarsi più di una dichiarazione fatta tempo addietro pubblicamente, dal medesimo Zubin Mehta, in cui il sommo musicista candidamente ammetteva di percepire, in quel di Firenze, un compenso 5 volte superiore, ovvero 25.000 euro, per un concerto sinfonico nell'ambito della stagione del Maggio, mentre a Vienna, per la stessa faccenda, non solo si accontentava di 5.000 euro, ma all'occorrenza ci sarebbe anche andato gratuitamente, poichè ai fini del curriculum di un musicista e del conseguente ritorno d'immagine, contano assai di più le sue presenze all'estero, di quanto non contino effettivamente le esibizioni effettuate nel nostro bel paese, praticamente irrilevanti ai fini del prestigio di un musicista. Per cui, anzichè limitarci esclusivamente a deprecare questo stato canaglia, prendiamocela anche con le nostre storture e il nostro assurdo andazzo, visto anche il fatto che, in tempi di vacche magre, a Firenze, si sia fatto il passo più lungo della gamba, erigendo per giunta un nuovo teatro, con tanto di tipica inaugurazione fasulla o quantomeno parziale, alla presenza dell'ineffabile prezzemolino sindaco Renzi, senza una qualsivoglia idea su cosa fare di quello vecchio, in un paese dove la voglia di arte e di cultura, è in caduta rovinosissima e incommensurabile, in un contesto generale da museo delle cere spocchiosissimo ed elitario. Se penso poi che certi melomani sovente sprecano i loro entusiasmi anche per giovani interpreti, di cui il minimo che si possa dire è che sono ancora troppo acerbi e immaturi, come per esempio quell'esimio battisolfa rispondente al nome di Daniele Rustioni, alla fine non posso fare a meno di sentirmi veramente un pesce fuor d'acqua, una voce nel deserto insomma (andatevi a sentire i grandi interpreti in disco e video, dopodichè ne riparliamo!), ma ribadisco il concetto che dare le colpe di questa situazione disastrosa soltanto a coloro che malamente ci governano, mi sembra in ogni caso ipocrita e superficiale! Teniamo presente che coloro che stanno al potere, rappresentano lo specchio fedelissimo della nostra autentica essenza di popolo, ossia ci rappresentano per ciò che noi siamo veramente, piaccia o non piaccia, volenti o nolenti!

sabato 27 aprile 2013

I re dei ciarlatani.

Oggi volevo verificare l'orario di una trasmissione radiofonica, non essendo quelli indicati sulle riviste e sulle pagine di televideo molto affidabili, consultando la cosiddetta guida elettronica dei programmi (EPG), disponibile sul digitale terrestre, ma purtroppo mi sono accorto che quella relativa ai canali radiotelevisivi della Rai, improvvisamente non è più disponibile, così come su tutti i canali Rai, non compare più la schermata col titolo della trasmissione in corso e di quella successiva, per cui, in conclusione, non ho combinato alcunchè, ovviamente. Era una piccola comodità che consentiva di verificare eventuali sviste, ma forse proprio per questo è stata disattivata, ennesima piccola dimostrazione di quanto questo cosiddetto ente pubblico rispetti la propria utenza. Se si tiene conto poi che abito in un capoluogo di regione con tanto di sede locale dell'emittente radiotelevisiva e non certo in un piccolo paesello sperduto, è proprio il colmo che succedano certe cose, in barba all'arcinoto slogan "di tutto, di più", anche se non me ne dovrei meravigliare affatto, dato che è la prassi usuale oggidì. Ho sempre trovato sommamente offensive le pubblicità pro pagamento del canone radio tv, sempre più irritanti e sfacciate nella loro scempiaggine. "Qualunque cosa voi facciate col vostro televisore ....", oppure il linguaggio terroristico adottato sul televideo in cui si parla di "detenzione di apparecchi televisivi", sono solo alcune delle perle con cui i soloni di turno, vorrebbero convincerci della liceità di una simile, assurda gabella, iniqua e anacronistica, anche perchè i soldi del canone vanno tutti all'erario, mica all'ente radiotelevisivo, non per niente adesso è l'Agenzia delle Entrate che è preposta alla riscossione. Io fino adesso l'ho pagato, pur sentendomi un cretino, ma conosco persone che non lo fanno e non riesco a dargli del tutto torto, visto che questo sistema è una continua istigazione a delinquere. Anche perchè, comunque sia, in ogni caso lo paghiamo tutti, sia pur indirettamente. In barba alla legge sul cosiddetto diritto all'informazione, chissà perchè non più citata, per tacere di tutta una serie di anomalie tipicamente nostrane. Innanzitutto il nostro cosiddetto ente pubblico è in realtà un pateracchio con una partecipazione mista di pubblico e privato, introita ricavi pubblicitari (ed è impossibile che noi non si usufruisca di qualcuno dei prodotti pubblicizzati), ha una partecipazione azionaria al 50% in Tele San Marino (emittente quindi di uno stato estero!), grazie alla quale quest'ultima percepisce 3 milioni di euro all'anno di contributi pubblici, ed anche una compartecipazione congiuntamente al Vaticano (altro stato estero!) in TV 2000. Se poi si considera che, tutti gli apparecchi radiotelevisivi, sono gravati, nel prezzo di vendita, di IVA ed eco-contributi, all'origine (a meno che non li acquistiate da un ricettatore o li rubiate!), direi che l'illegittimità di simile ladrocinio legalizzato, sia palese. Del resto, anche tutti i supporti audiovisivi, registrabili e non, ed anche quelli cartacei, sono già tassati all'origine. Il televisore è un soprammobile, non è un'abitazione, un autoveicolo, un apparecchio a noleggio o altro, non è assolutamente giustificabile tassarne il semplice possesso e utilizzo. L'unico motivo che potrebbe rendere l'iniqua gabella più digeribile, sarebbe il rendere i canali pubblici totalmente scevri da partecipazioni private e da pubblicità. Troppo comodo prendere soldi sia dal pubblico che dal privato! Ma questo, ovviamente, non accadrà mai, cari sudditi!

venerdì 26 aprile 2013

Spigolature.

Ogni volta che parlo di vinili da collezione e delle loro ristampe, mi accorgo di cadere regolarmente in una contraddizione. Ovvero, mi metto a spaccare il capello in quattro per qualsivoglia discrepanza estetica e grafica relativa a custodie, buste interne ed etichette dei dischi, criticandone anche la qualità di stampa, se ritenuta non conforme agli originali, mentre non applico la stessa pignoleria riguardo alla qualità sonora e allo stampaggio e persino per le iscrizioni impresse direttamente sulla superficie del vinile in ambo le facciate. Nel senso che, anche in questo caso, dovrei teoricamente esigere una perfetta corrispondenza con gli originali che dovrebbero quindi possedere una qualità sonora e di stampaggio nè migliore, nè peggiore degli originali, ma assolutamente identica (stesso discorso per le sigle sulla superficie del vinile). Mentre invece, se rilevo una qualità della ristampa migliore rispetto all'originale, non solo non me ne lamento, ma al contrario ne sono contentissimo (e qui casca l'asino!). E' ovvio che, per tutta una serie di motivi soprattutto di ordine tecnico, le ristampe non possono essere assolutamente identiche agli originali, ma in ogni caso sarebbe autolesionistico il pretenderlo, soprattutto quando la ristampa sopravanza udibilmente la qualità sonica dell'originale, anch'essa comunque non esente da compromessi. Morale della favola: le ristampe non devono essere affatto conformi all'originale, tantomeno peggiori di esso, altrimenti che senso avrebbe il progresso? Lapalissiano, paradossale e banale! Godiamocele con leggerezza, senza rovinarci l'anima con seghe mentali, orsù! / Noto che sul sito di "Audiophile Sound", vengono messi in vendita, a prezzi altissimi, dei nastri preregistrati in bobina, decantati come il non plus ultra in ambito analogico. Non ho mai ascoltato il suono di un registratore a bobine, ma conosco il suono di una fonte poco conosciuta in ambito strettamente audiofilo, che mi dicono essere di qualità molto prossima a quella di un registratore a bobine professionale, ovvero il videoregistratore stereo hi-fi! Non sto scherzando, personalmente l'ho usato in modalità solo audio, per registrare delle trasmissioni radiofoniche di opere e concerti, sia in FM che sul digitale terrestre, anche usando supporti molto economici, con risultati sonici strabilianti, anche perchè operando in questa modalità, spariscono tutti i disturbi e i difetti tipicamente associati alle videocassette e dovuti proprio in realtà allo stesso segnale video, con una qualità complessiva che pure il migliore dei vinili se la sogna! Certo bisogna mettere in conto la scarsa praticità, la deteriorabilità e l'ingombro delle videocassette, però se avete ancora in casa un videoregistratore funzionante, vi suggerisco di fare una prova e vedrete (o meglio udrete!), potendo ben tenere in questo caso spento lo schermo televisivo, se l'apparecchio vi consentisse di collegarne gli ingressi e le uscite audio all'impianto stereo. Vi assicuro che il vostro apparecchio mostrerà doti sonore insospettabili! Mi viene un'idea folle: perchè non proporre titoli dell'età dell'oro dell'analogico, anche in questo formato che, stante la sua maggiore reperibilità ed economicità anche riguardo agli apparecchi, potrebbe costituire una valida alternativa più economica, rispetto al nastro in bobina?

Classica in vinile 6.

Sesto titolo della collana De Agostini, uscito in edicola il 18 aprile scorso / Autori vari: "Adagio", contenente musiche di Remo Giazotto (Adagio in sol min. per archi e organo, meglio noto come il 'falso' "Adagio" di Tomaso Albinoni), Johann Pachelbel (Canone e giga in re magg., per 3 violini e basso continuo, nell'arrangiamento per orchestra d'archi e clavicembalo di Max Seiffert), Luigi Boccherini (Quintettino "La musica notturna delle strade di Madrid" - brano all'origine della nota rielaborazione per grande orchestra di Luciano Berio -, nell'arrangiamento per orchestra d'archi) e Ottorino Respighi (Antiche arie e danze per liuto: suite n.3, per orchestra d'archi), interpretate dagli archi dell'orchestra filarmonica di Berlino, diretta da Herbert von Karajan, con Wolfgang Meyer all'organo (nel brano di Giazotto) e al clavicembalo (nel brano di Pachelbel)/ Deutsche Grammophon. / Stante alcuni lievi difetti grafici della copertina, la custodia, superficie opaca a parte, sembrerebbe clonata direttamente da un vecchio esemplare originale d'epoca, recante i tipici lievi segni di usura sui bordi; inoltre, secondo me, sul cartiglio giallo della copertina, all'estrema destra, dopo il numero di catalogo, dovrebbe essere presente il doppio circolo con la scritta "ST-33", qui assente. Per il resto, non noto evidenti discrepanze grafiche. / Busta interna accettabile, ma le etichette del disco non sono conformi a quelle della Dgg degli anni '70, stante la vistosa mancanza del riquadro centrale a 3 sezioni e delle scritte "D. P." e "Made in Germany". D'accordo che si tratta pur sempre di un prodotto da edicola, ma comincio veramente a pensare che queste trascuratezze siano volute e in tal caso, mi piacerebbe conoscerne il motivo. / Fascicolo accompagnatorio, con testi di Giovanni Tasso, Bruno Baudissone e Pierre Bolduc, di livello complessivamente discreto, ma con 2 bei refusi: il primo a pag.2, nel riquadro che dovrebbe essere dedicato alle 3 suites di antiche arie e danze per liuto di Respighi, nell'incisione Mercury della Philarmonia Hungarica diretta da Dorati, recante nuovamente, al suo interno, il trafiletto già comparso nello scorso numero, relativo a 'Goyescas' di Granados e quindi reiterando anche il refuso sul nome della pianista, menzionata erroneamente come Alicia De La Rocha, anzichè De Larrocha; il secondo a pag.3, nel riquadro relativo al disco di trascrizioni orchestrali bachiane di Stokowski, dirette dal medesimo con l'orchestra filarmonica ceca, che dalla foto si evince essere un Decca 'Phase 4', ma chissà perchè gli estremi di etichetta indicati sono di un Emi/Hmv! Ci sarebbe anche in realtà, un altro piccolissimo refuso all'interno del testo dell'articolo principale a pag.3, verso la fine, ma tralasciamolo per carità di patria. / Dati di registrazione nuovamente scarni (disco registrato nel 1969 a Sankt Moritz, in Svizzera, ed uscito nel 1972 - produttore, Otto Gerdes, supervisione di Hans Weber, tecnico del suono Guenter Hermanns). / L'interpretazione, pur in una chiave romanticizzata e non filologica, è sorprendentemente sobria ed estremamente musicale, rifinita e godibile. Ho solo trovato un pò troppo uniforme il clavicembalo nel brano di Pachelbel. / La qualità sonora è ottima, pur con una dinamica e un'estensione ovviamente limitata, stante il genere relativamente tranquillo e l'organico strumentale ristretto, con una timbrica calda, rotonda e avvolgente, anche se a volte con un eccesso di riverbero, soprattutto nei brani di Giazotto e Pachelbel. Inoltre, principalmente nel brano di Giazotto, sono avvertibili qui e là delle piccole sbocconcellature dell'audio, che farebbero pensare a dei tagli di montaggio. Il livello d'incisione è un pò più alto della media. / Qualità della stampa un pò rumorosa ma accettabile, anche se con qualche rumore impulsivo di troppo.

mercoledì 24 aprile 2013

Ora ti conto un fatto.

Intorno ai primissimi anni '70, un ragazzino abitante in una cittadina nei pressi di Bologna, appassionato di musica, un giorno, ascoltando alla radio l'ottetto per fiati di Igor Stravinski, rimane folgorato sulla via Damasco, decidendo all'istante di scrivere una letterina al sommo musicista in cui grosso modo dichiara: "Dopo avere ascoltato il suo ottetto alla radio, io credo che lei sia veramente il più grande compositore vivente, ecc. ecc. ...", indirizzando il tutto a: Igor Stravinski - Hotel Danieli - Venezia e spedendola il giorno successivo. Il bello è che, non solo questa lettera giunge a destinazione, ma il sommo artista si degna persino di inviare una breve lettera di risposta al fanciullo, invitandolo esplicitamente a fargli visita presso l'albergo. Al che, il ragazzino, sventolando trionfante la lettera di Stravinski sotto il naso del padre, chiede a quest'ultimo il permesso di intraprendere il viaggio verso Venezia. Purtroppo per lui, essendo che per il padre il massimo della modernità ammissibile in musica, veniva rappresentato da Ermanno Wolf-Ferrari, suonandogli perciò il nome stesso di Stravinski come anatema, si vide opporre dal genitore, un fermo diniego. Ma l'indomito soggetto non se la dà per inteso, dimodochè alla prima occasione, anzichè recarsi a scuola, prende l'autobus che lo porta alla Stazione ferroviaria di Bologna Centrale, deciso ad incontrare finalmente il suo idolo. Senonchè, una volta fatto il suo ingresso nell'atrio principale, si arresta di botto, poichè gli cade l'occhio sulle locandine dei giornali nei paraggi dell'edicola, che 'strillavano' l'appena avvenuta dipartita del grande compositore. A quel punto al fanciullino non rimane che ritornarsene mestamente a casa, con l'unica consolazione di essere riuscito a possedere una lettera autografa del musicista. Col passare degli anni, lui e la sua famiglia faranno diversi traslochi, cambiando sovente località, nel frattempo la famosa lettera finendo dentro a un grosso baule che, una volta trasferitisi in quel di Genova, viene collocato in cantina. Caratteristica nefasta delle cantine essendo quella di alluvionarsi facilmente, cosa che naturalmente succede anche in questo caso, si può ben immaginare quale sia stato il destino finale di questa lettera. Lo stesso protagonista, ovviamente adulto, raccontò per filo e per segno, questa amena storiellina ai microfoni di Radiotre, anni addietro. / Il giovane Johan Sebastian Bach, ai tempi del suo servizio come musicista di cappella presso la cittadina di Arnstadt, essendo un grande ammiratore di Dietrich Buxtheude, chiese ed ottenne dai suoi datori di lavoro, un permesso di 2 settimane, per andare a incontrare a Lubecca, il suo idolo, che si esibiva all'organo nei cosiddetti "Sonnenkonzerte", facendosi letteralmente a piedi, gli oltre 400 chilometri separanti le 2 città. Una volta giunto al cospetto di Buxtheude, quest'ultimo, già vecchio e stanco, gli dichiarò che volentieri l'avrebbe preso sotto la sua ala protettrice, poichè da tempo voleva lasciare ad altri il suo incarico di organista, ma a patto che Bach accettasse una clausola imposta anche dalla stessa municipalità di Lubecca, ovvero sposare l'orripilante figlia di Buxtheude. Al che Bach, la cui devozione per Buxtheude non arrivava a tanto, si produsse letteralmente nella prima delle sue memorabili fughe, tornandosene ad Arnstadt, dove nel frattempo, essendo passati nel frattempo, la bellezza di 4 mesi dalla sua dipartita, era stato licenziato in tronco dai suoi datori di lavoro, esasperati dalle sue intemperanze. La stessa proposta, ovvero sposare la figlia di Buxtheude, era già stata fatta in precedenza con analogo risultato, anche a Georg Philipp Telemann, successivamente anche Georg Friedrich Haendel e Johan Matheson, declineranno l'offerta. Altro che la figlia di Fantozzi, costei doveva essere veramente un'autentico scherzo di natura, non risultandomi che il suo illustre genitore sia mai riuscito, anche in seguito, a trovare un malcapitato disposto a inghiottire questo rospo (testualmente parlando!). / A proposito di Haendel e Matheson, grandi amici, durante la prima rappresentazione della "Cleopatra" di quest'ultimo, che tra l'altro impersonava anche Antonio sul palcoscenico, era previsto che, una volta che questo personaggio usciva di scena, Matheson avrebbe preso il posto di Haendel, che guidava l'organico strumentale seduto al clavicembalo. Senonchè quest'ultimo, ricacciò via il collega, continuando imperterrito a sedere al cembalo fino al termine dell'opera. Ne seguì una lite furibonda fra i 2, dopo la rappresentazione, sfociante in una sfida a duello. Il giorno convenuto, i 2 contendenti, decisi a sbudellarsi a vicenda, iniziarono la tenzone con gran lena, ma a un certo punto, la spada di Matheson colpì uno dei bottoni metallici della giacca di Haendel, spezzandosi in 2 tronconi. A questo punto, i duellanti, dapprima interdetti, si bloccano di colpo, finendo poi con lo scoppiare in una fragorosa risata reciproca, che li porterà a una subitanea riappacificazione. / Il primo biografo ufficiale di Bach, Thomas Spitta, rintracciò un suo vecchio ex allievo di canto corale alla Thomasschule di Lipsia, chiedendogli quali fossero mai i metodi d'insegnamento del sommo maestro. Al che, questi rispose: "Prima noi cantavamo come cani, dopodichè ci riempiva di ceffoni!". Semplice ed efficace, no?

martedì 23 aprile 2013

Il mondo è bello perchè è vario.

A Johannesburg, in Sudafrica, un appassionato di musica da camera, aveva delle poderosissime erezioni, ogni volta che ascoltava il quintetto per archi di Schubert (devo essere un caso disperato, poichè l'ascolto di questo brano non mi ha mai provocato un simile effetto!). Durante la seconda parte di un concerto pubblico, interamente occupata dal brano incriminato, il nostro era in loco, seduto al centro della platea, mentre complice il buio in sala, si stava dando da fare con impegno. Senonchè nel momento culminante, la musica termina, partono gli applausi del pubblico accendendosi al contempo le luci in sala, proprio nell'attimo più critico. Al che, il soggetto, rannicchiandosi alla bell'è meglio, lestamente sgattaiola via dalla sala come un ladro, imbarazzatissimo e rosso in volto come un peperone (altro che schizzi sinfonici!). / Verso la fine dell'800, al Teatro Bonci di Cesena, non so quale opera si desse in quell'occasione, fatto sta che si era optato per una messa in scena che, almeno nelle intenzioni, voleva essere particolarmente realistica, prevedendo a un certo punto, l'ingresso in palcoscenico, di un'autentica carrozza trainata da cavalli in carne e ossa. Ma evidentemente, il cocchiere non era pratico di movimenti scenici, poichè perse il controllo della situazione, i cavalli puntarono con decisione la fossa orchestrale, precipitandovi con annessi e connessi, fuggi fuggi di orchestrali e risate omeriche da parte di tutto il pubblico. / All'Arena di Verona, in tempi remoti, durante una rappresentazione di 'Aida', al secondo atto, nel momento della marcia trionfale, dei cavalli in processione, forse sull'onda emotiva suscitata in loro dalla musica, lasciarono sul palcoscenico un segno tangibile e odorosissimo della loro riconoscenza. / Al Festival di Salisburgo, metà anni '70, si stava provando il 'Trovatore' con Franco Bonisolli come protagonista ed Herbert von Karajan alla direzione. Fra i due non correva buon sangue, visti soprattutto gli atteggiamenti da prima donna del tenore, che arrivava alle prove regolarmente in ritardo. La misura fu colma il giorno in cui Bonisolli, oltre al consueto ritardo, irruppe in palcoscenico vestito da Batman, al chè Karajan senza degnarlo attacca con l'orchestra, dimodochè Bonisolli infuriato, gira i tacchi e se ne va via sbattendo rumorosamente la porta. / Al Metropolitan di New York, durante una rappresentazione del 'Don Giovanni', durante la scena in cui il protagonista invita a cena la statua del Commendatore, crollò il fondale del palcoscenico, ed essendo state dimenticate aperte le porte che danno sul retro, il pubblico vide, dietro la statua del Commendatore, gli agenti di polizia intenti a dirigere l'intricatissimo traffico della 56^ strada. / A Perth, in Australia, durante una rappresentazione di 'Salome', nella scena finale, quella in cui la protagonista ordina agli armigeri di Erode, di portarle su un vassoio d'argento la testa appena mozzata su suo ordine del profeta Jokanhaan, appena arriva il vassoio in scena, la protagonista, dopo averne sollevato il velo, esplode in una fragorosissima risata, tanto da costringere il direttore d'orchestra a bloccare gli strumentisti. Il motivo era dovuto al fatto che, sul vassoio, al posto della testa mozzata, stava una pila di tramezzini al prosciutto! Chissà, forse qualche tiro burlone di un barista del teatro? / A Bologna, concerto all'Aula Absidale di S. Lucia, il martedì 27 marzo 2012. Al clarinetto Giovanni Polo, al pianoforte Rina Cellini. In programma nella prima parte i Pezzi Fantastici op.73 di Schumann e la Sonata in fa diesis min. op.49 n.2 di Reger, nella seconda parte, sempre di Reger, la Sonata in la bem. magg. op.49 n.1 e l'Adagio e Allegro op.70 di Schumann. Tutto fila liscio nella prima parte, ma all'inizio della seconda, il clarinettista attacca con l'op.49 n.1 di Reger e la pianista col primo dei Pezzi Fantastici di Schumann! Sconcerto! La pianista rovista freneticamente fra gli spartiti, nuovo cenno d'intesa, si riparte, questa volta tutti e due con Reger, solo che lui con l'op.49 n.1, lei con l'op.49 n.2! Nuovamente sconcerto! Mentre lei ricomincia a rovistare spasmodicamente fra gli spartiti, lui, con un sorrisino stiracchiato e un tono imbarazzatissimo, rivolgendosi al pubblico, fa: "Scusatemi, ma la colpa non è mia. E' lei (indicando la pianista) che non me la vuole far suonare!" Risatine del pubblico, nuovo cenno d'intesa fra i due musicisti, si riparte questa volta, finalmente nella maniera giusta! Unico momento esaltante di un concerto altrimenti gelidamente accademico... / Parecchi anni fa, un pomeriggio che mi trovavo nel reparto cd di una grossa catena d'elettronica, a Forlì. Mentre ero lì che spulciavo fra gli scaffali, a un certo punto irrompe un individuo trasudante buzzurraggine da tutti i pori, che con gran vociare richiama l'attenzione del commesso e mettendosi ad indicare a casaccio le file dei cofanetti esposti nella sezione di musica classica, comincia a gridargli: "Mi dia un pò di quelli rossi, un altro pò di quelli verdi, ed anche di quelli blu e di quelli gialli...", come se si trovasse dal salumiere. Per la cronaca, i cofanetti in questione, facevano parte della 'Bach Edition' della Teldec, caratterizzati per l'appunto da un diverso colore dei dorsi a seconda del genere musicale. Purtroppo le smanie del tipo non si fermarono lì, poichè a un certo punto disse: "E adesso, mi dia anche qualcosa di moderno. " E il commesso, ovviamente lietissimo, svuotò una fila di cofanetti all'interno della quale, ovviamente, c'era un titolo rarissimo che m'interessava, mai più ristampato naturalmente! Va da sè che quel giorno me ne ritornai a casa con un certo magone, ma tant'è! Anni dopo, in un negozio di dischi del centro di Bologna, ebbi un piccolo soprassalto, poichè fra due avventori anziani, ce n'era uno che si stava gingillando pigramente un cofanetto contenente "Show Boat" di Kern, dicendo all'altro: "Ma tu che dici, quasi quasi mi piglio qualcosa di moderno?" (all'anima del moderno, visto che questo musical risale all'incirca alla metà degli anni '20). Per tacere di quelle due vecchie babbione, che in un altro negozio, chiacchierando fra di loro, convennero che Wagner era proprio una grande pizza, o di quella signora che chiese al commesso il 5^ concerto di Rachmaninov... / Tempo fa, in una stradina del centro storico, mi imbattei casualmente in un vecchietto che, senza troppi complimenti, la stava facendo nel bel mezzo della strada. Cortesemente gli chiesi se gli avessero mai conferito una 'minzione speciale' per la sua personale 'rassegna di organi antichi'. Chissà perchè si arrabbiò tantissimo. Dicono che il mondo sia bello perchè è vario, però se, qualche volta, lo fosse un poco di meno, non guasterebbe affatto!

lunedì 22 aprile 2013

DAB, questo sconosciuto 4 (a volte ritornano).

Ho già accennato più volte all'esistenza, anche qui nel bolognese, della radio digitale terrestre (DAB) e della difficile reperibilità e dei costi eccessivi degli apparecchi predisposti a riceverla. Esiste comunque un'alternativa assai più economica se siete come me, in possesso di un PC, notebook o netbook che dir si voglia. Fra i moduli via usb, che consentono a questi apparati la ricezione radiotelevisiva, vi è anche quello prodotto dalla 'exaggerate' che, al modico costo di 29,99 euro, consente la ricezione dei canali radiofonici anche in DAB (banda III e banda L), oltrechè in FM e del digitale terrestre radiotelevisivo (DVB-T). Questo gingillo, dichiarato come il più piccolo al mondo, è anche telecomandabile e collegabile, tramite adattatore, anche all'impianto d'antenna domestico o a qualunque tipo di antenna esterna, ed è reperibile, qui a Bologna, alla libreria Mondadori di via D'Azeglio. Per quel che ho potuto constatare, il suo funzionamento è più che valido, soprattutto se collegato all'impianto d'antenna domestico. Colgo la palla al balzo, per constatare, come anche nella città che ha dato i natali a un certo Guglielmo Marconi, stante anche la presenza del museo 'Mille voci, mille suoni', mi sarei ingenuamente aspettato un maggior interesse generale da parte della cittadinanza, nei confronti di questo mezzo di trasmissione. Al contrario, conosco poche persone che seguono con una certa assiduità la radio e per giunta ad un livello di fruizione che mi sembra un poco superficiale, non sembrandomi interessati punto alla sua evoluzione storica e tecnologica. Insomma, anche Bologna, in questo mi sembra allineata al resto della nazione, con la sua predominante pseudo-cultura para-televisiva! Infatti, nel mio condominio di 12 appartamenti, sono l'unico a seguire la radio, solo per fare un banalissimo esempio. Vorrei tanto sbagliarmi ed essere smentito dai fatti, però! Anche in ambito audiofilo nostrano, la radio è assai poco considerata, anche come fonte di audio di alta qualità! In tal caso, vi posso assicurare che, una diretta radiofonica in modulazione di frequenza, ripresa dal punto di vista ovviamente sonoro, con tutti i crismi e a patto di avere una buona ricezione del segnale, ha una freschezza e un'immediatezza che, anche il disco in vinile più stratosferico, se la sogna!

Catacombae (sepulchrum romanum).

Mi ricordo sempre di quel conduttore di Radiouno che, in tempi remoti, fece più o meno questo annuncio: "Il prossimo brano che stiamo per mandare in onda, lo dedichiamo alla nostra intera classe politica!" E partirono immediatamente le celeberrime note di "Cortigiani, vil razza, dannata!" dal "Rigoletto". Quanta acqua è passata sotto i ponti da allora! Adesso probabilmente più nessun conduttore oserebbe tanto! Occuparsi a qualunque titolo di cultura, in questa geronto-mafio- crazia, diventa sempre più un'autentico strazio dell'anima, anche perchè avverti sempre più il vuoto, il disinteresse generale, che aleggia intorno. Non c'è da meravigliarsi che un'importante istituzione culturale, come il polo museale 'La città della Scienza', sito nella zona industriale di Bagnoli, presso Napoli, sia andato letteralmente in fumo nel sostanziale menefreghismo generale! Io dico che, non solo abbiamo il paese che ci meritiamo, ma che ci meriteremmo anche ben di peggio, visto che siamo diventati proprio, per dirla con Massimo Fini, senz'anima! Altro che fermenti culturali e rivoluzionari, qui gli unici fermenti che continuo a ravvisare, sono i fermenti lattici! Ecco il mondo, grande e tondo! Peccato che il nostro italico ingegno si esplichi soltanto negli ambiti più deleteri. Questa mattina, dentro la buca delle lettere, ho rinvenuto un ameno opuscoletto del "Partito dei Nuovi Villaggi" (non si tratta ovviamente di figli illegittimi di Paolo Villaggio): ohibò, sembrerebbe esserci un nuovo partito, cosa di cui la nostra nazione, ha senz'altro un grande bisogno, stante la penuria di simili associazioni nel nostro panorama politico! Quale sarà mai il nobile intento di questi bipedi implumi? Costruire 'Nuovi Villaggi' ossia dei paradisi terrestri, ma per far ciò occorre ovviamente che noi li votiamo! Insomma, questi zuzzurelloni, vogliono farsi le seconde e le terze case a spese di noi contribuenti (in tal caso hanno proprio trovato i fessi!), o no? A meno che non si tratti di un pesce d'aprile ritardato (ma temo proprio il contrario), se da un lato mi viene da sorridere a cotale ennesima dimostrazione di faccia tosta, dall'altro sono sempre più sconfortato da questi miseri espedienti. Qui è tutta una grottesca marcia funebre, non c'è antidoto alcuno, questi sono gli unici parti (podalici) che fuoriescono dalle nostre menti bacate! Tutto sempre stramaledettamente nella norma! A proposito di partiti, andatevi a leggere una certa poesia di Yevgeni Yevtushenko al riguardo, peccato solo che ogni cosa cada regolarmente nel vuoto! Un bel dì vedremo... P.S.: a proposito dei 'Quadri di un'esposizione' di Mussorgski, in epoca remota, ne ascoltai alla radio anche una discutibilissima versione per pianoforte e orchestra, realizzata dal direttore d'orchestra Gennady Rodzhdestvenski, per la moglie pianista Viktoria Postnikova, tutto sommato superflua. In questi giorni, a Bologna, anche a 2 passi da casa mia, si stanno inaugurando delle piccole, se non addirittura lillipuziane, gallerie d'arte moderna. Stante le nostre scarsissime propensioni culturali, ed essendo prevalentemente deserte o al massimo con 2 gatti al momento dell'inaugurazione, visti i soldi che occorrono comunque per allestirle, in questi tempi di crisi, la cosa non mi torna, forse dietro c'è qualche intrallazzo o riciclaggio di denaro sporco, o peggio, visto che sembrano sbucare come funghi? Mah!...

domenica 21 aprile 2013

Cum mortuis in lingua mortua.

No, non mi sto riferendo alla rielezione di Giorgio Napolitano (chissà perchè a questo punto mi viene in mente anche 'L'affare Makropoulos' di Janàcek), ma al fatto che la terribile mietitrice mi sembra si sia data particolarmente da fare per far scomparire dalla faccia della terra, diverse personalità artistiche nei vari ambiti dello spettacolo e dell'intrattenimento, a partire dall'inizio di questo nefasto anno. Mi riferisco non solo alle dipartite di musicisti illustri nel campo della musica colta, come Wolfgang Sawallisch, Sir Colin Davis, James De Preist, Marie-Claire Alain, Van Cliburn, ma anche all'ambito della musica più popolare (Enzo Jannacci, Franco Califano), del teatro di prosa (Regina Bianchi), del cinema (Bigas Luna, Damiano Damiani). Mi sembra che ne siano morti talmente tanti, da farmi perdere il conto e confondermi le idee (mi sembra di avere dimenticato anche Dietrich Fischer-Dieskau). Ho sempre notato che le morti 'celebri' non vengono mai isolate, ma a grappoli, ciò nonostante mi sembra di notare una preoccupante concentrazione, in questi ultimi tempi. Non vorrei fare la figura dello iettatore, ma se penso che, ultimamente, anche Yuri Temirkanov, Seijii Ozawa, per non dire di James Levine, hanno dovuto annullare diverse esibizioni, per motivi di salute, non posso evitare di sentirmi ancora più inquieto. A proposito di Sir Colin Davis, vorrei far rilevare l'insulsa perfidia del conduttore di Radiotresuite che, all'inizio della serata di sabato 12 aprile, poco dopo aver dato la mesta notizia, ha chiamato in diretta via telefono, il maestro Zubin Mehta, appena reduce dalle prove e quindi in procinto di esibirsi di lì a poco, con l'orchestra del Maggio, in un concerto alla Scala, dicendogli senza preavviso: "Senta maestro, lei saprà senz'altro della notizia della scomparsa di Sir Colin Davis, vuole darci un suo ricordo personale su questo musicista?". A questo punto, nel tono della voce di Zubin Mehta, mi è sembrato di percepire una considerevole sorpresa ed imbarazzo, come se fosse stato colto alla sprovvista, tant'è che alla fine ha farfugliato qualche frase generica. Siccome secondo me il maestro, probabilmente, non era ancora a conoscenza del luttuoso evento, cosa del resto plausibilissima e comprensibilissima essendo fra prove e imminenza del concerto, in tutt'altre faccende affaccendato, la domanda mi sorge spontanea: non poteva, il conduttore della trasmissione, telefonargli preventivamente prima dell'inizio, in maniera sia da sincerarsi che ne fosse informato, sia in caso contrario di prepararlo, evitandogli così di farlo cadere in imbarazzo, durante il collegamento telefonico in diretta? Evidentemente il buon senso, il tatto, non alberga nei meandri dei cervelloni dei conduttori di Radiotre, tutto nella norma! Quanto a quello che succede quotidianamente in ambito politico e governativo, non posso che concludere che tutto nel mondo è burla, l'uomo è nato burlone, burlone. Peccato che, qui da noi, la burla degeneri regolarmente in farsa tragicomica! Sempre più, tutto nella norma!

sabato 20 aprile 2013

L'Olandese sfracellato e altre facezie.

Ieri sera ho ascoltato la diretta radiofonica dell' 'Olandese Volante' dal San Carlo di Napoli, nell'allestimento importato direttamente dal Comunale di Bologna e quindi con la stessa regia e con lo stesso direttore d'orchestra, Stefan Anton Reck. Di diverso rispetto a Bologna, a parte ovviamente i complessi corali e orchestrali, c'erano solo i cantanti impiegati per la rappresentazione, ma purtroppo, come temevo, questo non ha mutato in meglio le cose, almeno dal punto di vista musicale, anzi tutt'altro! Se sostanzialmente identico è il discorso che si può fare per la direzione orchestrale, forse un pò meno erratica che al Comunale, ma sostanzialmente confinata sempre nell'ambito di una solida ed impersonale routine, per contro l'orchestra, anche se tutt'altro che impeccabile, mi è parsa leggermente migliore, mentre il coro, soprattutto nel settore femminile, l'ho trovato un poco confusionario. Ma il peggio, anche stavolta, viene proprio dai cantanti, a cominciare dal protagonista, impersonato dal cantante finlandese Juha Kuusisto, un autentico strazio dell'anima, una catastrofe totale che si è rivelata fin dal monologo iniziale, veramente pietoso. A fronte di questa autentica calamità poco potevano un Daland, un Erik, non più che discreti, una passabile Senta, una Mary alquanto greve e affaticata di Elena Zilio ed un timoniere mediocre, anche se un pò meno disastroso di quello ascoltato da Bologna. E se in un'opera come questa, viene a mancare il protagonista, come in questo caso, facendo apparire stratosferico, al confronto, il non più che decoroso omologo bolognese, non c'è che da concludere: povero Wagner! Ma da quale clinica per malattie mentali l'hanno tirato fuori, un simile scherzo di natura? Poi non si incolpi la crisi e i tagli alla cultura, se le cose non vanno! Anche se non sono un esperto di vocalità, nè tantomeno un vociomane, quello che ho ascoltato ieri sera, per me gridava decisamente vendetta! Per contro direi che note più liete le ho riscontrate, almeno sul piano musicale, con la diretta scaligera dell'Oberto verdiano, in cui l'orchestra e il coro, veramente frizzavano, mi si passi il gioco di parole e i cantanti, pur non essendo tutti irreprensibili, mi sembravano più convinti e impegnati. A differenza dei sedicenti verdiani oltranzisti, che mi sembrano l'equivalente dei famigerati bidelli del Walhalla, concordo con l'autorevole opinione di Chailly, che afferma che in Verdi non ci sia alcunchè che non sia quantomeno degno di interesse. E in effetti, sotto la direzione di Riccardo Frizza, pur tra evidenti debiti donizettiani ed acerbità giovanili varie, mi sembra che, anche in questo lavoro, la zampata della forte personalità emerga in più punti, a cominciare dall'ouverture. Inoltre c'era un ulteriore motivo d'interesse, costituito dal ripescaggio di un duetto inedito delle 2 protagoniste femminili all'interno del 2^ atto, da Verdi stesso espunto prima che l'opera fosse rappresentata, su consiglio dell'impresario Sperelli, al fine di non affaticare troppo le cantanti, poichè a questo faceva seguito un quartetto con i 2 protagonisti maschili. Dai commenti del conduttore radiofonico e dei suoi ospiti, si evinceva che la regia teatrale di Mario Martone fosse modernamente astrusa come d'abitudine, del resto se penso al suo brutto allestimento scaligero di Pagliacci e Cavalleria con la direzione di Harding, non me ne meraviglio affatto, ma tant'è! Per fortuna che la parte musicale era degna di nota!

Ci risiamo!

Una delle eterne diatribe in ambito musicale, ma anche specificatamente audiofilo, riguarda la superiorità (presunta) dell'ascolto dal vivo, rispetto a quello mediato dai mezzi di riproduzione. Come credo di aver già fatto capire in precedenza, io propendo più per quest'ultimo, stante la mia modesta esperienza in merito. Mi ero comunque ripromesso di tornare sull'argomento alla prima occasione, cosa che mi accingo a fare ora, poichè ieri, navigando sul sito di AS-Extra, ho letto quella lunga intervista di Pierre Bolduc, in cui anche lui ribadisce l'intrinseca superiorità dell'ascolto dal vivo. Oramai non mi arrabbio più per simili dichiarazioni, venendomi al contrario da sorridere, pensando a quanto coloro che fanno simili asserzioni, vivano in un altro mondo, rispetto a noi comuni mortali. Come dimostrato anche dalle asserzioni fatte dallo stesso Bolduc in questa come in altre occasioni, salta sempre fuori che i fautori di simili tesi, non si rendono conto di essere enormemente privilegiati rispetto alla massa, avendo frequentato le sale da concerto e i teatri lirici più rinomati nel mondo, avendo assistito alle esibizioni dei più grandi artisti, dei migliori complessi strumentali e corali ed avendo avuto l'opportunità, grazie a provvidenziali relazioni, di sedere in mezzo agli orchestrali, di assistere alle prove, di avvicinare in prima persona i sommi artisti oltrechè gli addetti ai lavori, anche grazie alle loro notevoli possibilità economiche: difatti, quasi sempre, queste persone, dispongono anche di diversi impianti di riproduzione da mille e una notte, in barba agli audiofili-Cipputi a cui fa riferimento Stefano Rama nel suo libro! E' chiaro che, se uno ha avuto la possibilità di andarsi ad ascoltare alla Philarmonie, i filarmonici di Berlino diretti da Karajan, solo per fare un esempio, può trovare l'esperienza dal vivo superiore, grazie al porco! Ma la realtà di noi comuni mortali, stretti fra problemi economici che certo non ci consentono di girovagare per il mondo e spesso condizionati dal luogo di residenza, è che il più delle volte, ci dobbiamo accontentare letteralmente di quel che passa il convento, sia per quello che concerne l'acustica dei luoghi, che per quello che riguarda il livello interpretativo. Soltanto in condizioni veramente ottimali, l'ascolto dal vivo può superare quello riprodotto, ma queste condizioni sono più teoriche che reali, assai rare a verificarsi all'atto pratico. Quando risiedevo a Cesena, ho frequentato per diversi anni il Teatro Bonci, ben prima che venisse restaurato riducendone la capienza complessiva, che era effettivamente caratterizzato da un'ottima acustica, peccato però che il livello artistico dei cartelloni proposti, fosse estremamente discontinuo, ovvero non sempre esaltante. Per tacere dell'acustica non certo esaltante di alcune chiese e dei disastri che succedevano a volte durante i concerti all'aperto nel cortile della Rocca Malatestiana; ne ricordo uno in particolare, ventoso, in cui volava di tutto, spartiti compresi. Qui a Bologna, non ho trovato malvagia l'acustica del Comunale, così come quella del Manzoni, anche se un pò troppo secca e debole sui registri gravi, ma per contro ho trovato frustrante l'acustica dispersiva e riverberante di luoghi come la Basilica dei Servi, mentre per contro una ripresa in differita di una Missa Solemnis di Beethoven, effettuata nello stesso luogo dai tecnici di Radiotre, aveva compiuto il miracolo di farmi ascoltare questa musica con una qualità sonora talmente notevole, che di sicuro me la sarei sognata, qualora mi fossi trovato in loco! Sono stato in diversi altri luoghi come Santa Cristina, SS. Annunziata, Aula absidale di Santa Lucia, San Martino, Cappella Farnese, Cortile dell'Archiginnasio, sala Bossi, Oratorio di Santa Cecilia, San Petronio e compagnia bella, arrivando alla conclusione inesorabile che spesso le condizioni di ascolto erano in prevalenza troppo deficitarie e quelle interpretative troppo discontinue, per pervenire a una fruizione ottimale della musica proposta, sorvolando poi sulle scelte repertoriali. Secondo un articolista di Fedeltà del Suono, la capacità di distinguere un suono naturale da uno riprodotto, è istintiva nel genere umano, anche prescindendo da eventuali esperienze d'ascolto. Non so se le cose stiano proprio così, però quel che è certo è il fatto che, nell'esperienza dal vivo, esiste un elemento tutt'altro che trascurabile, in grado di rovinare in partenza una situazione di per sè ottimale, ossia il pubblico stesso, rumoroso, caciarone e indisciplinato, nella stragrande maggioranza dei casi, una delle ragioni che mi hanno indotto a stare alla larga dalle sale da concerto. Nel mio piccolo, avendo anche frequentato il teatro di prosa, ho visto e sentito veramente di tutto e di più. Mi hanno anche raccontato di un concerto ravennate con l'orchestra di Chicago diretta da Muti, in cui il pubblico ne ha fatte veramente di tutti i colori, guadagnandosi delle occhiatacce furibonde da parte del maestro, cadute purtroppo nel vuoto, come è nella norma ovviamente. Inoltre, mi sono accorto che, alcune piccole distorsioni del suono che attribuivo ingiustamente al mio impianto di riproduzione, le riscontravo pari pari nell'ascolto dal vivo. Se a ciò aggiungo un paio di esperienze deprimenti all'Arena di Verona, il quadro direi che sia completo, almeno per il momento.

venerdì 19 aprile 2013

Il trucco c'è ma non si vede, però si sente (anche se magari non lo sappiamo!).

Non crediate che il cd sia l'unico supporto audio ad abbisognare di trucchetti e aggiustamenti vari per rendere al meglio, anche il vinile ne ha bisogno, poichè se fosse allo stato brado, sarebbe ben scadente come fonte sonora. Due i principali punti deboli: scarsa separazione stereo e risposta in frequenza. Fateci caso ai valori dichiarati nei dati tecnici delle testine fonografiche, relativi alla separazione fra i canali, al massimo raggiungono i 35 decibel quando va bene e limitatamente alla frequenza di 1khz, in questo inferiori persino ai registratori a cassette; col digitale, si superano facilmente i 100 db, tanto per dare un'idea. Questa deficienza di base da parte delle testine fonografiche porterebbe di fatto a un palcoscenico sonoro scadente, se non fosse corretta, in fase di masterizzazione, aumentando elettronicamente la separazione dei canali, in maniera da compensarla, non facendola così avvertire all'ascolto. Più complesso il trucco ideato per ovviare all'intrinseca ristrettezza della risposta in frequenza, ovvero la cosiddetta curva di equalizzazione. Nessun volume ha preso seriamente in esame, fino ad ora, questo argomento che pure è d'importanza affatto trascurabile. Credo che questo espediente sia stato adottato, per la prima volta, con l'avvento della tecnica d'incisione elettrica, intorno alla metà degli anni '20, poichè all'epoca dell'incisione acustica, la tipica risposta in frequenza di un disco era compresa, salvo eccezioni, fra i 200 hz e i 2khz, mentre con l'introduzione del sistema elettrico si raggiunsero di botto i 4-5khz, arrivando già all'inizio degli anni '30 a una gamma compresa fra gli 80hz e gli 8-9khz. Il problema è costituito dal fatto che le ondulazioni del solco a bassa frequenza sarebbero troppo ampie, occupando non solo troppo spazio sulla facciata del disco, ma anche rendendo impossibile il tracciamento del solco da parte di qualsivoglia testina, mentre all'opposto per l'estremo acuto le modulazioni si riducevano in misura tale da mettere in difficoltà il tornio incisore e da non essere avvertite dalla testina fonografica. Occorreva dunque inventarsi un espediente che agisse in maniera speculare, ossia contraria, in maniera da ottenere una risposta in frequenza pressochè piatta, in fase d'incisione. Questo espediente si chiama per l'appunto curva di equalizzazione e pur essendo esistita in innumerevoli varianti, identico ne resta il principio in fase di funzionamento. Al momento dell'incisione, per facilitare il lavoro del tornio, così come il tracciamento, ossia la riproduzione, da parte della testina fonografica, del prodotto finito, le basse frequenze vengono progressivamente attenuate, man mano che si scende, in maniera da contenere l'ampiezza della modulazione del solco, mentre al contrario si esaltano via via quelle progressivamente più acute, in maniera da aumentare l'ampiezza della modulazione del solco. In fase di riproduzione avviene l'esatto contrario e qui entra in ballo il cosiddetto preamplificatore fono, integrato in un amplificatore o separato che sia, che oltre ad elevare di livello il debole segnale della testina, svolge attraverso una curva interna di equalizzazione speculare ovvero contraria, questo compito, cioè esaltare i bassi e attenuare gli acuti, al fine di ottenere un segnale in uscita con una risposta in frequenza teoricamente piatta. Dico teoricamente, poichè la piattezza dipende anche dalla bontà progettuale e costruttiva del dispositivo medesimo. Nel corso degli anni si sono avute svariate curve di equalizzazione (NAB, CCIR, RIAA, WESTREX, DECCA/LONDON, ECC.), tanto che un preamplificatore della Marantz della metà degli anni '50, pare ne contasse la bellezza di 36! Soltanto nel 1956, si arrivò a una standardizzazione mondiale, adottandosi unicamente la R.I.A.A. (Recording Industry Association of America), che è quella attualmente in uso anche nei preamplificatori fono. Se si cerca un preamplificatore fono che disponga anche di almeno una parte delle precedenti equalizzazioni, o lo si pesca nell'usato, oppure si cerca di reperirne faticosamente uno di produzione attuale, dal prezzo generalmente stratosferico, visto che generalmente simili apparecchi sono prodotti da piccole case artigianali o semi-industriali, in pochi esemplari di scarsissima reperibilità. In alternativa, ci si può servire di un normale equalizzatore, cercando di compensare le differenze approssimativamente ad orecchio. Quel che è certo è che nessun esperto ha sviscerato a fondo l'argomento, non stilando tabelle che indichino chiaramente quali curve di equalizzazione venissero adottate dalle singole case discografiche, nè tantomeno discettando e comparando le differenti caratteristiche soniche di queste curve. Tantomeno qualcuno ha pensato di realizzare un programma per computer che ne simuli, quanto meno, il maggior numero possibile. In effetti, mi sono sempre chiesto come si comportino i tecnici esperti nei restauri sonori e riversamenti in formato digitale, di vecchie lacche a 78 giri e di vetusti vinili a 33 giri, visto che, presumibilmente, dovrebbero essere ben consapevoli della problematica. Mi auguro che prima o poi tale lacuna venga colmata. Tornando per un attimo alla questione della separazione stereofonica, faccio notare che il massimo valore nel dominio analogico viene raggiunto alla frequenza di 1khz, diminuendo progressivamente man mano che ci si avvicina agli estremi della gamma udibile, rimanendo al contrario più elevato e costante nell'arco dell'intero spettro delle frequenze, nel dominio digitale.

Bibliografia spicciola per musicofobi sciamannati (segue).

Il terzo volume di cui vi vorrei dar conto, è di formato ancora più grande rispetto al precedente, infatti è racchiuso in un robusto involucro esterno. Trattasi di "Deutsche Grammophon: State of the Art - Celebrating over a century of musical excellence" di Rémy Louis, Thierry Soveaux e Olivier Boruchowitch (iconografia di Yannick Coupanec), edito dalla Rizzoli International Publications a New York nel 2010 e stampato in Cina anch'esso (l'edizione originale francese è stata pubblicata nel 2009, dalla casa editrice Verlhac Editions di Parigi), prezzo indicativo di 75 euro, a suo tempo reperito alla libreria Feltrinelli Internazionale in via Zamboni a Bologna. Qui, oltre a lustrarsi gli occhi, c'è anche da sturarsi le orecchie, poichè sono acclusi, all'interno della copertina, anche un paio di cd, comprendenti una silloge di estratti di incisioni vecchie e nuove dell'etichetta gialla). Ovviamente, anche in questo caso, trattasi esclusivamente di titoli di musica classica. Il volume, riccamente illustrato, com'è facilmente immaginabile, quindi anche in questo caso con diverse foto e illustrazioni di copertine, etichette discografiche, dépliant pubblicitari, foto di repertorio inerenti gli artisti e i responsabili dell'etichetta gialla, gli stabilimenti di produzione, i loghi e quant'altro sia desiderabile, oltre a costituire, fino ad ora, la trattazione più ampia della storia dell'etichetta, comprende parecchie interviste e aneddoti, costituendo, nonostante qualche piccola svista e incongruenza, un'autentica miniera di informazioni. Ultimo ma non meno importante tomo di questa breve lista provvisoria, il volume "360 Sound - The Columbia Records Story" di Sean Willentz, edito da Chronicle Books, San Francisco, sotto l'egida della Sony Music Entertainment, nel 2012, trovato sempre alla Feltrinelli Internazionale di Bologna, al prezzo di 36 euro. Questo corposo volume, di grande formato, stampato sempre in Cina, traccia la storia della casa discografica che, per prima, introdusse nel lontano 1948, il microsolco, con dovizia di particolari. Il solo appunto che gli muovo è una trattazione un pò troppo marginale del settore relativo alla musica classica, con uno spazio eccessivo, concesso ai divi dell'attuale scena musicale pop, per il resto anche qui, dovizia di foto e illustrazioni anche di copertine, etichette e dépliant pubblicitari: trovo anzi che la copertina del libro in questione, sia talmente bella, con tutte quelle etichette discografiche in evidenza, da farti venire un orgasmo, se mi si passa il termine!

Bibliografia spicciola per vinilofobi/discofobi impallinati, sfegatati e incalliti (nient'altro?).

I libri di cui darò succintamente conto al lettore, sono unicamente quelli in mio possesso, ovvero quei titoli da cui traggo la maggior parte delle informazioni. Anche in questo caso, non ho alcuna pretesa di esaustività e completezza, voglio soltanto fornire un piccolo aiuto all'appassionato desideroso di immergersi in questo mare magnum, che per il sottoscritto è peggio di una droga, ma forse questo si era già capito, ohibò! Il primo titolo di cui intendo dare conto è per l'appunto il pluricitato "I dischi dell'età dell'oro" di Stefano Rama, con prefazione di Bebo Moroni, unico testo del genere in lingua italiana, attualmente da tempo fuori circolazione, purtroppo (Edizioni Voltaire - 1^ edizione autunno 1994 - finito di stampare nel 1995), in realtà mai più ripreso in seguito, per quel che mi consta. Questo libro, tuttora in gran parte validissimo, nonostante le peraltro inevitabili sviste e piccole lacune, è come ho già detto, quello che mi fece letteralmente da apripista, facendomi scoprire diverse cosette che in parte avevo già sotto il naso, ma delle quali, da perfetto idiota, non mi rendevo affatto conto. A suo tempo lo reperii proprio presso il negozio 'Alta fedeltà Ges. Co. Ser.' di Cesena, in effetti non era certo un titolo di facile reperibilità. I dischi considerati, prevalentemente di musica classica, sono compresi essenzialmente in un arco temporale che va dal 1958 al 1965, con particolare riguardo ai Mercury Living Presence ed Rca Living Stereo americani, degli Emi inglesi e degli Angel americani, dei Decca/London inglesi/americani, oltrechè con accenni sintetici anche agli Everest, Nonesuch, Vanguard, Urania, Miller & Kreisel e Lyrita. In questa pubblicazione vengono anche illustrati i criteri di classificazione internazionale, le regole per la pulizia, il restauro, la conservazione dei delicati supporti, con annesse classifiche tratte dalla rivista "The Absolute Sound" e una discreta bibliografia ed elenco di venditori del settore, anche se queste ultime, per forza di cose, non sono più tanto valide, stante l'estrema mutevolezza della situazione. Comunque sia, un gran bel volume, fonte tuttora di frequenti consultazioni da parte del sottoscritto. Il secondo libro del genere in cui mi sono imbattuto casualmente è di Horst Scherg: "Classique - Cover art for classical music", in lingua inglese come tutti gli altri che citerò in seguito (edizioni Die Gestalten Verlag GmbH&Co. KG, Berlino 2008; una seconda ristampa, per conto della stessa casa editrice, venne effettuata in Cina nel 2009 e infatti il prezzo varia dai 43 ai 52 euro, per quel che ho potuto constatare). Signori, a cominciare dalla copertina, essendo il volume di grande formato, c'è veramente di che lustrarsi gli occhi. Come dichiarato sul frontespizio, sono illustrate la bellezza di 777 copertine, tutte inerenti i dischi microsolco, salvo un paio relative a dei 78 giri, esclusivamente riguardanti la musica classica, con l'aggiunta di 154 etichette e 4 buste interne! Viene mostrata l'evoluzione grafica delle copertine dei dischi di classica, grosso modo a partire dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni '80, con suddivisioni in varie categorie stilistiche, cenni storici delle principali etichette, provenienti da gran parte del mondo, Italia esclusa, chissà com'è, ed annessa bibliografia. Bel tomo anche questo, nonostante anche qui non manchino piccole sviste ed imprecisioni. Vivendo a Bologna, io l'ho ordinato a suo tempo alla libreria "Igor" in via San Petronio Vecchio (continua)...

giovedì 18 aprile 2013

Qualche altra considerazione sul collezionismo vinilico.

Proprio oggi ho acquistato in edicola il sesto numero di "Classica in vinile" della De Agostini, rilevando subito il fatto che la copertina del disco sembra clonata direttamente da una copertina originale d'epoca, con i tipici segni di usura sui bordi, viste certe piccole imperfezioni grafiche, che ho già rilevato un refuso nel fascicolo allegato e che le etichette del disco sono un pò troppo grossolane, cosa che sembrerebbe tradire una certa frettolosità e trascuratezza di realizzazione. Inoltre, anche questa volta, i dati inerenti la registrazione, sono nuovamente troppo scarni, come da inveterata "tradizione", ahimè! Ovviamente ne riferirò in dettaglio prossimamente, però non posso esimermi dal rinnovare il mio invito ai responsabili editoriali, di non incorrere mai più in simili grossolanità, facilmente evitabili con un minimo di attenzione. Avendo appena navigato nel sito di "AS-Extra", nonostante gli errori di visualizzazione di Windows, ho notato con piacere che, nell'elenco delle prime 25 uscite, ci sono ancora i titoli Decca, anche se con un diverso ordine, per cui speriamo bene che le sorprese siano terminate! A proposito sempre della collana De Agostini, mi chiedo come mai, i 3 portadischi compresi nell'offerta riservata a coloro che ordinano la collana per posta, abbiano ciascuno una capacità dichiarata di 16 dischi, quando i titoli della collana sono 50. Visto che, se la matematica non è un'opinione 16x3=48, gli altri 2 dischi dove li si dovrebbe collocare? Oddio, non in quel posto, non siate volgari, per favore, eh! Tornando ai dischi in vinile che si trovano nell'ambito dell'usato, vi ho già parlato dei famigerati Joker/Saar, dimenticandovi di dire che, oltre ad aumentare di prezzo, nel corso degli anni, arrivando se non sbaglio a costare anche 2500 lire nei negozi, la qualità del loro stampaggio, se possibile divenne ancora più scadente, a riprova che al peggio non c'è mai fine, per cui quelli con l'etichetta gialla sono ancora più schifosi di quelli con l'etichetta scura. Inizialmente, nonostante l'aria pretenziosa, la veste editoriale di questi dischi era ovviamente in linea con l'effettiva qualità intrinseca del prodotto, essendo totalmente priva di qualsiasi cosa che assomigliasse anche lontanamente a delle note di copertina, impossibile avere poi la più pallida idea di quale fosse l'epoca effettiva delle incisioni proposte; sul retrocopertina era presente soltanto un elenco degli altri titoli disponibili nella collana, dapprincipio anche illustrato. In seguito, le cose cambiarono di poco,con la saltuaria comparsa di note di copertina che il più delle volte erano in lingua straniera anzichè in italiano. Per quanto concerne i vecchi Rca italiani, sbiadita copia in genere degli originali americani, rispetto a questi ultimi erano peggiori anche a livello di grafica, sia per ciò che concerne le copertine, che le etichette sul disco, decisamente più spartane rispetto a quelle coeve statunitensi, spesso piuttosto belle esteticamente. Sono dischi da prendere in considerazione soltanto se si è più interessati al lato interpretativo, stante la bontà intrinseca del catalogo, che a quello della qualità sonora, da comprare solo se il loro prezzo non supera i 5 euro, almeno secondo la mia modesta opinione, anche se c'è chi ha provato a venderli al doppio, con scarso successo, almeno per quello che ho potuto constatare. Conosco non più di 2 o 3 eccezioni alla regola, ovvero titoli nostrani con qualche particolarità che li renderebbe un pò più appetibili, anche se comunque non a livello eclatante, ma guarda caso, fino adesso, non mi ci sono mai imbattuto. Discorso simile anche per gli Emi italiani...

Classica in vinile 5ter.

(Segue) Ricordo che il disco in esame comprende musiche di Mussorgski (Quadri di un'esposizione; estratti dalla "Kovanchina"), eseguiti dall'orchestra sinfonica di Minneapolis diretta da Dorati, ed è stato inciso originariamente per la Mercury. Veniamo finalmente al lato interpretativo del titolo in questione: secondo me, il suo limite è simile a quello che avevo già rilevato in precedenza, riguardo alla "Symphonie fantastique" di Berlioz, diretta da Paray sempre per la Mercury. Ovvero che se l'essere aliena da effettismi di qualsivoglia natura, la mette al riparo da volgari sottolineature spettacolari fini a sè stesse, dall'altro lato ha, come contropartita, una certa perdita d'incisività e personalità che la rendano comunque identificabile fra tutte le altre, associata a tratti a un'eccessiva sbrigatività prossima a una frettolosa superficialità, in aggiunta a degli oggettivi limiti tecnici dell'orchestra, con legni forse un pò troppo nasaleggianti e un'intonazione incostante e degli ottoni un pò debolucci, soprattutto nel quadro n.8a, Catacombae, ed anche nella parte finale del n.10 La grande porta di Kiev. Più convincenti i 2 estratti dalla Kovanchina, anche se pure qui l'oboe, soprattutto nel preludio, ha un'intonazione precaria e l'esecuzione della danza delle schiave persiane è meno convincente di quella che, parecchi anni dopo, la stessa orchestra in forma assai migliore e con la dicitura attuale di 'Minnesota Orchestra', inciderà col direttore Eijii Oue, per l'etichetta Reference Recordings. Insomma si tratta, nel complesso di letture senz'altro attendibili e di buon livello, viziate però da un eccesso di ritegno, quindi non certamente di riferimento, all'interno di una discografia vastissima. Concordo con quanto affermato all'interno del fascicolo d'accompagnamento, riguardo all'interpretazione datane da Arturo Toscanini e della qualità sorprendentemente buona per l'epoca di questa registrazione monofonica del 1953, con l'unica avvertenza che, il direttore parmense, si concede un piccolo arbitrio, rispetto all'orchestrazione di Ravel, ovvero l'aggiunta di suo pugno di una rullata di timpani verso la fine de La grande porta di Kiev. Contrariamente ai luoghi comuni, simile arbitrio rispetto alla fedeltà della lettera della partitura, non è affatto l'unico che il maestro si concesse, qualcosa di simile lo fece anche nella parte finale dell'ultimo movimento della prima sinfonia di Brahms, per tacere di alcuni piccoli cambiamenti nei tre poemi sinfonici 'romani' di Respighi e di arbitrii ben più rilevanti che, ahimè, si permise nel Manfred di Ciaikovski, solo per fare alcuni esempi. Tornando al nostro disco, note ben più liete, vengono dalla qualità sonora dell'incisione, decisamente ottima, per l'epoca. Non per niente Stefano Rama, nel suo libro da me ripetutamente citato, gli assegna un punteggio complessivo di 90/100. In buona parte concordo con quanto affermato nel fascicolo interno, in effetti la dinamica è buona, i bassi hanno una discreta estensione, l'immagine è quella tipica della casa discografica ovvero un pò ravvicinata e non profondissima e l'acustica un pò secca, con qualche limite nell'estremo acuto. Il master è un pò rumoroso e disturbato, tra l'altro, a tratti, sono chiaramente udibili alcuni incitamenti del direttore all'orchestra, soprattutto uno verso la fine dell'ultimo quadro. La qualità complessiva della stampa è accettabile, anche se non impeccabile, almeno nella mia copia, un pò rumorosa, crepitante e frusciante a tratti. La ripresa sonora venne effettuata con l'impiego di 3 microfoni valvolari Telefunken M201. In effetti, a proposito delle catene di registrazione valvolari, in uso all'epoca, ho sempre notato in tutte le registrazioni del periodo, una certa eufonicità, ossia colorazione timbrica, che tende ad arrotondare, a smussare, a rendere ancora più dolciastra e nasaleggiante di quanto non sia in natura, la timbrica di certe famiglie di strumenti, in particolare legni ed ottoni, cosa che ovviamente non riscontro nelle riprese effettuate con catene di registrazione transistorizzate, che per certi versi sembrerebbero in grado di restituire un quadro sonoro più veritiero dell'evento originale,con buona pace degli estimatori ad oltranza dei tubi elettronici, tendenti forse a delle sonorità eccessivamente zuccherose. Il discorso resta aperto...

mercoledì 17 aprile 2013

Classica in vinile 5bis.

(Segue) La custodia del disco Mercury in esame (musiche di Mussorgski dirette da Dorati), a parte la consueta opacità, non mi sembra presenti grosse discrepanze grafiche, eccetto forse per le scritte sul dorso, che anche questa volta mi sembrano spostate troppo a destra, ovvero troppo in basso, così come nel retrocopertina la presenza delle cosiddette scritte di servizio al posto di quelle originali e l'inevitabile invasività del bollino SIAE, come già accaduto in precedenza; anche per quel che riguarda la busta interna e le etichette del disco, vale quanto già detto per le uscite precedenti. Anche stavolta, il fascicolo d'accompagnamento interno, con testi di Enzo Carlucci e Pierre Bolduc, è complessivamente accettabile, se non fosse che si persevera nella tradizione inveterata dei refusi di stampa; a pag.2, nel riquadro relativo a Goyescas di Granados, si scrive il nome della pianista Alicia De Larrocha, nella maniera errata De La Rocha; per contro mi viene da aggiungere che, nel riquadro a pag.3, relativo al Trittico Botticelliano di Respighi,  viene dato come indisponibile il cd Emi della registrazione di Marriner con l'Accademy of Saint Martin in the Fields; per fortuna non è proprio così, stante il fatto che all'interno del catalogo Brilliant Classics, esiste un triplo cofanetto comprendente proprio anche le incisioni del Trittico, de Gli uccelli e delle 3 suites di antiche arie, proprio con gli stessi interpreti, cofanetto comprendente anche l'arcinoto trittico romano, nell'interpretazione di Muti con l'orchestra di Filadelfia, se la memoria non m'inganna! Ad ogni buon conto andiamo avanti nell'analisi del suddetto fascicolo: a pag.6, si afferma che l'impiego da parte di Ravel del sassofono nel 2^ quadro della suite (Il vecchio castello), sarebbe una sua ardita innovazione; nutro parecchi dubbi al riguardo, stante il fatto che lo strumento venne inventato dal francese Adolphe Sax (da qui il nome) intorno al 1843 e venne già impiegato, tra gli altri, anche dal compositore Georges Bizet, nelle sue musiche di scena per "L'Arlesienne" di Alphonse Daudet, composte nel 1872! A parte la consueta presenza del riquadro "Note sparse" a pag.7, noto con piacere che, anche grazie alle informazioni direttamente desumibili dal retrocopertina del disco, finalmente abbiamo dei dati di registrazione più esaurienti (la registrazione è avvenuta in un solo giorno, il 21 aprile del 1959, al Northrop Memorial Auditorium, sito nel campus della University of Minnesota, a Minneapolis; produttrice discografica Wilma Cozart, supervisione musicale di Clair van Ausdall, tecnici del suono C. Robert Fine e Robert Eberenz, masterizzazione George Piros; il disco è uscito originariamente nel 1960). Riguardo agli estratti dalla "Kovanchina", ci si limita ad accennare solo fuggevolmente all'orchestrazione di Rimski-Korsakov, senza dare conto dei problemi testuali della stesura originale, largamente incompiuta, e degli interventi sia pur limitati operati da Stravinski, oltrechè dallo stesso Ravel (richiesti da Diaghilev ad ambedue i musicisti) e meno che mai si fa accenno alla versione realizzata negli anni '50 del secolo scorso da Shostakovich, versione che pur essendo quasi altrettanto discussa di quella di Rimski-Korsakov, va attualmente per la maggiore da tempo, sulla scena operistica odierna. Ma forse questo è un inevitabile compromesso, essendo questi fascicoli giustamente destinati soprattutto ai neofiti, che si potrebbe incorrere facilmente nel rischio di tediare, qualora ci si dilungasse in simili dettagli. Al prossimo scritto, rimando la trattazione degli aspetti interpretativi e sonici (continua).

Classica in vinile 5.

Sia pure con un certo ritardo ulteriore da parte mia, torno a sviscerare le uscite di questa comunque interessante collana della De Agostini. La prima cosa che noto, a livello generale, avendo anche letto gli ultimi 2 numeri usciti in edicola, della rivista "Audiophile Sound", a cui la collana in questione è legata in qualche misura, è il fatto che, dall'elenco dei titoli in uscita, sembrerebbero essere completamente spariti quelli tratti dal catalogo Decca, cosa di cui mi piacerebbe scoprirne la ragione, a meno che il sito "AS-Extra", non dia dei chiarimenti in proposito, onestamente non lo so, avendo navigato in internet di rado, negli ultimi tempi (tra parentesi devo segnalarvi che il cd allegato all'ultimo numero di "AS", pur contenendo un brano arcinoto, ovvero la 6^ sinfonia di Mahler, eseguita dall'orchestra filarmonica di San Pietroburgo diretta da Thomas Sanderling, non è affatto un cosiddetto "cd della mutua", poichè trattasi di un'interpretazione che, anche se non stravolge la discografia copiosa inerente questa composizione, è purtuttavia un'interpretazione non inutile, il che non è poco, decisamente sopra la media e con una qualità sonora eccellente, pur essendo stata incisa nel lontano 1995 -si fa per dire!-, la qual cosa ha la sua importanza; attenzione al volume, poichè la dinamica e l'estensione sono realistiche; per la cronaca, la casa discografica è la Real Sound). Mi chiedo se, dietro a tutto ciò ci siano dei problemi con la Universal, oppure con la Speaker's Corner e/o il suo distributore italiano Sound and Music di Lucca; trovo comunque odiose ed irritanti queste variazioni di programma! Ma veniamo all'ultimo titolo della collana, uscito questa volta, forse per via delle festività pasquali, con ben 6 giorni di ritardo sulla tabella di marcia, ovvero venerdì 5 aprile. Il contenuto musicale questa volta comprende musiche di Mussorgsky, ovvero i celeberrimi "Quadri di una esposizione" nell'usuale orchestrazione di Ravel, ed in appendice, il preludio (alba sulla Moscova) e la danza delle schiave persiane dall'opera Kovanchina, nell'allora usuale orchestrazione di Rimski-Korsakov, interpretati dall'orchestra sinfonica di Minneapolis, sotto la direzione di Antal Dorati. A proposito dei "Quadri", ritengo sia utile e interessante, elencarne la successione con le relative indicazioni agogiche, desunte dall'originale per pianoforte, anche perchè vorrei farvi notare una certa faccenda. Questa dunque la successione all'interno della suite: Promenade I, allegro giusto nel modo russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto; - n.1 Gnomus, sempre vivo; poco meno mosso, pesante-vivo; vivo; poco a poco accelerando; - Promenade II, moderato commodo assai e con delicatezza; - n.2 Il vecchio castello, andantino molto cantabile e con dolore; - Promenade III, moderato non tanto, pesantemente; - n.3 Tuileries (dispute d'enfants après jeux), allegro non troppo; capriccioso; - n.4 Bydlo, sempre moderato; pesante; - Promenade IV, tranquillo; - n.5 Balletto dei pulcini nei loro gusci, vivo; leggiero (scherzino-trio-scherzino-coda); - n.6 Samuel Goldenberg und Schmuyle, andante; grave-energico; andantino; andante; grave; - Promenade V, allegro giusto nel modo russico; poco sostenuto ( e proprio qui vorrei farvi notare come Ravel si sia consentito l'unica evidente libertà rispetto all'originale stesura pianistica, cosa che non faranno gli altri numerosi arrangiatori di stesure orchestrali, che prima o dopo di lui si sono accinti a cotale impresa, salvo Leopold Stokowski, che si concederà tagli e arbitrii ben più rilevanti; Ravel, nel suo arrangiamento omette questa quinta Promenade, la ragione di ciò non la conosco, anche se la similarità di indicazioni agogiche con la prima, mi fa supporre che questo potrebbe essere il motivo che lo ha indotto a una simile scelta); - n.7 Limoges. Le marché (la grande nouvelle), allegretto vivo, sempre scherzando; meno mosso, sempre capriccioso; - n.8a Catacombae (sepulcrum romanum), largo; n.8b Cum mortuis in lingua mortua, andante non troppo, con lamento; all'interno di questa seconda sezione del n.8 dei "Quadri", ricompare per l'ultima volta nella partitura, in pianissimo, il tema della Promenade; - n.9 La capanna su zampe di gallina (Baba Jaga), allegro con brio, feroce; andante mosso; allegro molto; - n.10 La grande porta di Kiev, allegro alla breve (maestoso, con grandezza); meno mosso, sempre maestoso; grave, sempre allargando. Da notare che il pianista russo Vladimir Horovitz, non eseguiva l'originale di Mussorgski, ma una sua personale trascrizione desunta proprio dall'arrangiamento orchestrale di Ravel e quindi mancante anch'essa della quinta Promenade (continua).

martedì 16 aprile 2013

Tutto nella norma!

Ieri sera Radiotresuite ha trasmesso, in differita, un concerto ripreso il 16 marzo scorso al teatro Manzoni di Bologna, con l'orchestra sinfonica della Radio Svedese diretta da Daniel Harding, nell'ambito della rassegna Bologna Festival 2013. Il programma, comprendente anche l'arcinota 5^ sinfonia di Mahler, era preceduto da una pagina breve e di rarissimo ascolto, del compositore tedesco del 18° secolo, Joseph Martin Kraus, ovvero una breve sinfonia funebre scritta per commemorare la morte di Re Gustavo III di Svezia, avvenuta per mano di congiurati, a cui il Kraus, oltrechè esserne il musicista di corte, era legato da profonda amicizia (è proprio quello stesso Gustavo III che, in futuro, fornirà lo spunto iniziale a Verdi per l'omonima opera, poi profondamente mutata, per motivi di censura oltrechè di opportunità politica, nel celebre "Un ballo in maschera", con un cambio radicale di ambientazione da Stoccolma a Boston, come è noto). Questo brano è stato per me una piacevolissima scoperta, stante il fatto che non conoscevo per nulla il compositore in questione e tenendo conto che la musica del '700 non rappresenta il mio territorio di elezione, costituendo anzi, secondo il mio modesto parere, la parte più interessante del concerto, poichè la 5^ di Mahler, pur piacendomi enormemente, l'ho sentita talmente tante volte da conoscerla letteralmente a memoria fin nei minimi dettagli, per cui mi esce letteralmente dalle orecchie! Inoltre, l'interpretazione quivi datane, pur buona nel suo complesso, mi pareva a tratti viziata da qualche manierismo ed effettismo di troppo, soprattutto quella accelerata nelle ultimissime battute del movimento finale, non trovandola alla fine particolarmente rivelatrice, ma proprio per questo non mi aspettavo granchè in tal senso. Penso comunque di non essere stato l'unico a rimanere positivamente colpito dal brano di Kraus, perciò mi ha dato enorme fastidio quando, al termine della differita, il conduttore di Radiotresuite, ha letto, fra gli altri, anche l'sms mandato da un certo Duccio di Bologna, il quale affermava che la composizione di Kraus gli sembrava ancora più noiosa in radio di quanto non gli fosse risultata assistendo al concerto in sala! D'accordo che i gusti sono soggettivi, però questo mi conferma la mia impressione su quanto i melomani bolognesi siano chiusi e provinciali, stante la loro scarsa propensione a qualsivoglia novità. Perchè, caro Duccio, mi devi continuare a far vergognare di essere nato proprio in questa città, stante il fatto che il brano in questione era certamente ben più orecchiabile di tanta musica contemporane che vi manda fin troppo facilmente in crisi? Perchè devo continuare a sentirmi letteralmente un pesce fuor d'acqua? Che ho fatto di veramente male per meritare tutto ciò? Poi non ci si risenta se dico che bolognesi fa rima con cerebrolesi, purtroppo l'atteggiamento di quelli come Duccio, rappresenta la norma (peraltro anche quella di Bellini si conclude tragicamente con un rogo in cui periscono i 2 protagonisti), non c'è proprio niente da fare, ahinoi!

Dischi veramente fetenti!

I dischi Joker, forse i più scadenti in assoluto, erano ovviamente prodotti in Italia e non poteva essere altrimenti, vista la nostra vecchia tradizione in tal senso (generalmente variabili dal mediocre al catastrofico erano anche le stampe delle succursali italiane della Cbs, Emi ed Rca, tacendo poi di quelle penosissime della Fonit Cetra, ecc. ecc.). Ma chissa perchè nei primi anni recavano le copertine e le etichette scritte esclusivamente in tedesco, salvo in anni successivi alternare a quest'ultima sia l'italiano, che l'inglese e il francese. Inoltre, a volte le etichette, che all'inizio erano nere o grigio scuro, talvolta sembravano scimmiottare quelle della Capitol americana, caratterizzate dal logo "Fds", che stava a significare Full Dimensional Sound per i dischi mono e Full Dimensional Stereo per quelli stereofonici. Le etichette Capitol, scure anch'esse, avevano la caratteristica di una vivace fascia colorata sul bordo, simile a quella che talvolta compariva anche sui dischi Joker (attenzione che esistono dei Capitol Fds stampati anche in Italia, pressochè simili agli originali, ma comunque distinguibili se osservate bene il retrocopertina, dove è indicato l'effettivo stabilimento di fabbricazione. Gli originali venivano stampati in una fabbrica a Scranton, in California e a volte ristampati anche dalla Emi inglese.). Le copertine, inoltre, con una grafica che ambiva forse a essere raffinata ma che io trovavo alquanto greve, avevano inizialmente la superficie lucida, divenendo poi successivamente opaca. All'iniziale etichetta scura sulle facciate dei dischi, ne succedette negli anni '70, una gialla caratterizzata da un nuovo logo "Joker International", presente anche sulle copertine, scimmiottante quello della Dgg. Le incisioni che proponevano nel loro catalogo di classica talvolta provenivano anche da case come Remington, Everest, Saga, Musidisc, ma molte erano di dubbia provenienza. Probabilmente il belletto grafico a cui erano sottoposti aveva il solo scopo di dare del fumo negli occhi, all'acquirente tipo, generalmente neofita, dandogli l'illusione di comprare a poco prezzo, un prodotto di prestigio. La qualità dello stampaggio variava dal mediocre al catastrofico, la qualità sonora dal miserrimo all'ectoplasmico e quella interpretativa dallo scadente al discreto, salvo sporadiche eccezioni. Anche quando gli interpreti del disco erano nomi celebri, il tutto veniva comunque vanificato dalla scadentissima resa del supporto fonografico. Sono dei dischi-zombie, dei titoli da Helza-Poppin! Con l'avvento del cd, questo catalogo ne è stato almeno parzialmente riversato, io però me ne sono tenuto alla larga, saggiamente. Va da sè che le versioni in musicassetta di questi titoli siano, se possibile, ancora più obbrobriose, perciò gettatele direttamente nel cassonetto: le uniche che salvo, anche se non c'entrano per niente con la musica, sono quelle contenenti i vecchi monologhi del cabarettista romagnolo noto con lo pseudonimo di Sgabanaza, perchè almeno sono divertenti e la qualità sonora è meno critica in questo caso, però è un po' poco per mutare di opinione generale. Ovviamente le mie osservazioni in materia di collezionismo discografico, sono riferite massimamente all'ambito della musica classica, con la leggera e gli altri generi, il discorso cambia. Ricordo di aver letto, per esempio, che nel caso dei dischi di Elvis Presley, stampati all'epoca, varrebbero di più collezionisticamente gli esemplari fabbricati in Italia, rispetto agli originali provenienti dagli Stati Uniti, in quanto i primi avrebbero avuto una tiratura complessiva inferiore a questi ultimi, ma la cosa mi fa sorgere dei dubbi sulla sua attendibilità, essendo le stampe italiane non molto considerate in generale, stante la loro intrinseca qualità, di norma non esaltante. Tutto è possibile però!

Dischi come l'aids (ovvero, se li conosci, li eviti come la peste bubbonica, garantito al limone!).

Prima di entrare nello specifico, ancora 2 parole sui Dg "italiani": il timbro S.I.A.E. talvolta era impresso sul lato 1 anzichè come usuale sul lato 2 dell'etichetta del disco, mai però su ambedue le facciate. Inoltre, a volte i titoli Philips stampati in Olanda, venivano esportati a volte direttamente negli Stati Uniti; in questo caso, in evidenza sul fronte della copertina compariva un bel bollino dorato, in genere situato nell'angolo in basso a destra, con la dicitura, in caratteri neri: "Imported from Europe/Manufactured in Holland". Detto questo, adesso passiamo a trattare dei dischi forse più sciamannati in assoluto, secondo lo scrivente: i Joker/Saar, croce e delizia della mia infanzia e adolescenza, poichè all'epoca, fra la seconda metà degli anni '60 e i primissimi '70, erano purtroppo gli unici ad avere un prezzo abbordabile, si reperivano anche nei grandi magazzini tipo Upim e Standa (a Bologna, li potevi trovare anche all'Omnia di via Marconi, nella stessa sede in cui attualmente è situata l'Oviesse), ovvero anche in punti vendita diversi da quelli canonici ed erano reperibili anche nelle cittadine come Cesena; il catalogo era ampio, comprendente in pratica tutti i generi musicali e non, comprese le fiabe per bambini, in un insieme estremamente eterogeneo. Erano dischi estremamente popolari e diffusissimi. Inizialmente costavano 650 lire dell'epoca, ma già quelli che iniziò a comprare mia madre erano aumentati a 950 lire. Per darvi dei termini di raffronto, gli economici dischi della Rca Victrola italiana, costavano 1800 lire per i monofonici e 1980 lire per gli stereofonici, in ambedue i casi tasse escluse (allora vigeva la cosiddetta IGE, antenata dell'attuale IVA, oltrechè percentualmente assai meno gravosa di quest'ultima), i Dgg a prezzo intero arrivavano alle 4000/4500 lire, a seconda degli interpreti coinvolti (e difatti i dischi incisi da Herbert von Karajan erano naturalmente i più costosi), costituendo il sogno proibito della maggior parte di noi appassionati (rammento ancora, nei primi anni '70, nella vetrina del poi defunto negozio di dischi "Nannucci" in via Oberdan a Bologna, l'esposizione con grande evidenza di un Dgg inciso da Karajan, in offerta speciale a 2500 lire!). Nel 1963, un disco monofonico ad alto prezzo della Rca italiana, costava la bellezza di 3900 lire (di cui 360 di tasse, come specificato nel retrocopertina). Negli anni '50, in Germania, un Dgg a prezzo intero, costava 24 marchi, quando lo stipendio medio di un lavoratore era di 350! In effetti, il formato ridotto da 25 cm. di diametro, era stato introdotto per consentire a un pubblico più ampio di poter acquistare un disco, stante la sua maggiore economicità, anche se poi venne progressivamente abbandonato dalle case discografiche (la Dgg ne produsse solo fino al 1962), sopravvivendo ancora per un certo numero di anni, nelle collane destinate alla diffusione tramite le edicole, venendo poi successivamente soppresso anche in quell'ambito. Per cui non lamentiamoci più di tanto del caro-disco attuale, poichè non c'è nulla di nuovo sotto al sole! O mondo ladro, o mondo rubaldo! Ritorniamo ai Joker, di cui accenna anche Roberto Diem-Tigani nel suo interessante libro "Custodi del suono. Un secolo e mezzo di storia della riproduzione sonora.", uscito l'anno scorso per la casa editrice Zecchini. Secondo me, ne dà un giudizio persino troppo tenero, poichè la quasi totalità dei titoli pubblicati non sarebbero buoni nemmeno per giocarci a frisbee! Altro che dischi volanti, autentica spazzatura, sono. Non dovrebbero nemmeno trovarsi nei mercatini dell'usato, a rigor di logica: va da sè che mi sono letteralmente sbarazzato di questi dischi con grande sollievo, sbolognandoli gratis a suo tempo, al primo malcapitato; non li vorrei nemmeno se me li regalassero, figuriamoci se li acquisterei alla bellezza di 5 euro, il prezzo a cui li si può fin troppo facilmente trovare nei mercatini. Il discorso prosegue nel prossimo scritto...

lunedì 15 aprile 2013

Cenni sommari sui dischi Philips.

I dischi Philips, sono stati anch'essi prodotti in varie parti del mondo, ma in questo caso, sono tutti chiaramente riconoscibili già anche da un semplice esame della loro custodia, poichè la loro provenienza è esplicitamente dichiarata, anzi nel caso di quelli italiani, francesi e tedeschi, tutte le scritte sulla custodia sono nella lingua di provenienza. La faccenda più curiosa riguarda la variabilità del colore delle etichette, poichè, per esempio quelli olandesi avevano delle etichette inizialmente rosse, seguite da una tonalità di marrone rossiccio molto simile a quella dei dischi Mercury, ma talvolta mi sono imbattuto anche in esemplari con etichette di colore blu elettrico o violetto; quelli francesi avevano generalmente un blu scuro, i tedeschi erano arancioni, gli italiani neri, gli statunitensi grigi, mentre nulla so dei giapponesi, non essendomene mai capitati a tiro. Collezionisticamente, credo che valgano di più le stampe olandesi, ma al momento non saprei essere più preciso al riguardo. Ovviamente, mi sto riferendo soprattutto alle collane a prezzo intero, essendo poco pratico di quelle a medio prezzo ed economiche, salvo quella denominata "Fontana serie Argento", stampata anche qui in Italia e dal valore collezionistico scarsissimo. Valore modesto presenta anche la collana "Mercury Golden Imports", presente soprattutto in area anglosassone e stampata in Olanda, che comprendeva ovviamente titoli tratti dal catalogo della prestigiosa etichetta, ma con una qualità sonora variabile che non sempre rendeva giustizia alle incisioni originarie, anzi quelle monofoniche venivano persino stereofonizzate artificialmente, con esiti ovviamente nefasti, quindi evitatele come la peste! A parte che alcune incisioni della stessa Mercury sono state ristampate anche qui da noi, con esiti se possibile anche peggiori, proprio nell'ambito della collana "Fontana serie Argento", da prendere eventualmente in considerazione solo se a prezzi stracciatissimi, ovviamente. I dischi originali Mercury erano stampati inizialmente negli Stati Uniti, dalla Rca americana, poi successivamente da un proprio stabilimento con sede a Richmond; quelli inglesi erano stampati dalla Emi, quelli francesi e tedeschi, dalle rispettive succursali della Philips. Per saperne di più al riguardo, rimando al libro di Stefano Rama "I dischi dell'età dell'oro", edizioni Voltaire 1995, che mi ha fatto letteralmente da apripista. Peccato che non ne sia mai stata realizzata una seconda edizione, anche perchè è l'unico testo in lingua italiana sull'argomento. Collezionisticamente parlando, c'è un'altra collana da cui dovreste stare decisamente alla larga, venduta nell'ambito dell'usato a prezzi un tantinello assurdi: i dischi Joker/Saar, che sono come l'aids, ovvero se li conosci, li eviti! Alla prossima (continua).

I dischi Deutsche Grammophon "italiani", ovvero: se li conosci, li eviti!

In realtà, questa vuole essere una battuta provocatoria, al fine di catturare l'attenzione. Voglio dire che, anche se doveste imbattervi in questi esemplari, stante la qualità leggermente inferiore del loro stampaggio, non è che siano da evitare a priori, anzi tutt'altro, purchè li si trovi in vendita a prezzi ragionevoli, ovvero secondo la mia stima, a non più di una decina di euro, nel caso siano in ottime condizioni. Chiedere di più da parte del venditore, sarebbe quantomeno discutibile e arbitrario, anche se ognuno può ovviamente regolarsi come più gli aggrada. Come ho già affermato in precedenza, poichè le custodie, gli involucri esterni, eventuali libretti, le buste interne, di codesti dischi, sono comunque prodotte in Germania e quindi identiche agli originali, in tutto e per tutto, per riconoscere questi titoli, occorre esaminarne attentamente l'etichetta, che può apparire facilmente, a un esame superficiale, pressochè identica a quella del corrispettivo tedesco, poichè anche in questo caso, la totalità delle scritte riportatevi, resta in lingua tedesca. Le lievi differenze risiedono nella zona centrale dell'etichetta, dove c'è un riquadro, suddiviso in 3 sezioni. Se mettiamo a confronto visivo due esemplari degli anni '70, uno "tedesco" con un altro "italiano", sul tedesco troviamo generalmente: nella 1^ sezione del riquadro, all'estrema sinistra, la sigla "D. P.", nella 2^ sezione, ovvero quella di mezzo, a sinistra del foro centrale, troviamo la scritta "Made in Germany" o talvolta "Made in West Germany", mentre a destra del foro centrale è allocato il numero di catalogo, composto generalmente da 3 o 4 cifre, seguite dopo breve spaziatura, da altre 3 (0000 000); nella 3^ sezione, all'estremità destra, appare la scritta "STEREO 33". Sull'italiano, nella 1^ sezione, rarissimamente troviamo, sotto la sigla "D. P.", la scritta piccolissima SIAE, ma nella stragrande maggioranza dei casi, come nelle copie tedesche, troviamo solo la sigla "D. P."; invece, nella 2^ sezione, quella a sinistra del foro centrale, non ci sta scritto alcunchè! A destra del foro centrale, così come nella 3^ sezione, tutto risulta assolutamente identico agli esemplari germanici. Inoltre, quasi sempre solo sull'etichetta del lato 2 del disco, ma a volte nemmeno lì, è presente il timbro, regolarmente slavatissimo e quasi invisibile, della S.I.A.E., che sembrerebbe collocato a casaccio, stante l'estrema variabilità di posizionamenti dal sottoscritto riscontrati in diversi dischi, nel corso degli anni. Tra l'altro, mi sovvengo vagamente, di alcuni esemplari recanti una strana dicitura, il cui significato mi pare fosse: "fabbricati in Germania per conto del mercato italiano", salvo scherzi della memoria. Ribadisco che, essendo la casistica molto varia al riguardo, qualcosa potrebbe anche essermi sfuggito, tacendo del rischio di essermi preso dei colossali abbagli. Per cui, acquistate soltanto quei dischi usati, di cui potete visionare anche l'etichetta, poichè il solo esame della custodia e della busta interna, spesso diversa da quella originale, può essere fuorviante, come giustamente rilevato anche dai massimi esperti del settore. In caso contrario diffidate, poichè la fregatura ha serie probabilità di stare dietro l'angolo, o tutt'al più rischiate solo se il prezzo di vendita, risultasse decisamente stracciato. Per concludere, dirò che, generalmente, i titoli Dgg a minor rischio di "italianizzazioni", sono quelli in prevalenza dediti alla musica del '900 e contemporanea, anche quando riguarda autori nostrani come Berio, Bussotti, Maderna, Manzoni, Nono, Rota, così come quelli inerenti compositori come Henze, Hindemith, Stockhausen, Holst, Schoenberg, Berg, Webern, Orff, Busoni, Honegger, ecc., anche se pure in questi casi ho riscontrato eccezioni; per esempio, a distanza di anni mi sono accorto che la mia copia del disco in cui Claudio Abbado dirige, a capo dell'orchestra sinfonica di Chicago, la Suite scita e la suite dal "Tenente Kijè" di Prokofiev, era "italica", mentre invece un altro disco contenente musiche di Berg, (3 pezzi per orchestra, Altenberg lieder e Lulu suite), diretto sempre dal medesimo, era un originale tedesco. E potrei continuare con altri esempi, ma rischio di tediarvi, per cui vi invito sempre a verificare per bene, prima di procedere a qualsivoglia acquisto (continua).

sabato 13 aprile 2013

Come riconoscere i dischi Deutsche Grammophon "italiani".

Innanzitutto questo problema non credo sussista per i dischi prodotti col marchio Archiv Produktion, costola della stessa Dgg, creata nell'immediato secondo dopoguerra, stante la natura eminentemente specialistica che ne ha caratterizzato fin dagli esordi l'operato, rivolta ai cultori del periodo musicale che parte grosso modo dal primo medioevo fino al primo '800, con ambizioni prevalentemente filologiche, in antitesi quindi alla filosofia per così dire generalista della stessa Dgg (pur essendo quest'ultima prevalentemente concentrata sul repertorio che va dal classicismo al tardo romanticismo), riguardo alla quale, fino adesso, mi sono imbattuto esclusivamente in stampaggi tedeschi o giapponesi. Ma, ritornando alla Dgg, mentre non vi è alcuna difficoltà nel riconoscere le varie nazionalità degli stampaggi tedeschi, inglesi, francesi, spagnoli, americani, argentini, brasiliani, giapponesi, in quanto esplicitamente dichiarati sia sulle copertine che sulle etichette dei dischi, con le stampe italiane, sovente quasi indistinguibili dagli originali tedeschi, il discorso si fa decisamente più insidioso. Salvo certi titoli delle collane economiche e a medio prezzo tipo la "Resonance", in cui anche le copertine recavano in questo caso scritte interamente in italiano, il pericolo maggiore d'incorrere inconsapevolmente in una stampa italiana, viene dalla collana ad alto prezzo. In effetti, nemmeno io mi capacitavo del fatto che alcuni titoli rivelassero all'ascolto, una qualità di stampa leggermente inferiore ad altri della stessa collana. Ci pensò, a metà anni '90, a mettermi letteralmente una pulce nell'orecchio, un negoziante, Salvatore Gennaro, tuttora titolare del negozio "Ges.Co.Ser Alta fedeltà" di Cesena, facendomi notare le piccole differenze a livello di etichetta (col quale, vi assicuro, non ho stipulato alcun accordo pubblicitario, essendo il medesimo del tutto ignaro di questa mia menzione nonchè in senso assoluto del mio sito). Ma procediamo con ordine: innanzitutto i titoli a maggior rischio, per così dire, sono quelli in primis di richiamo più popolare, ovvero relativi a compositori come Bach, Beethoven, Brahms, Ciaikovski, ecc. ecc., o con compositori nostrani molto conosciuti come Albinoni, Corelli, Vivaldi, Paganini, Verdi, Puccini, Rossini, Respighi, Mascagni e compagnia bella, o con musicisti nostrani come Accardo, Benedetti-Michelangeli, Ciani, Pollini, Abbado, Chailly, Sinopoli, Votto, Santini, Gavazzeni, ecc., o con complessi tipo quelli del Teatro alla Scala, solo per fare alcuni esempi. Oppure anche con interpreti stranieri di grandissimo richiamo come Karajan. Queste considerazioni di massima vanno però verificate di volta in volta, poichè ho riscontrato parecchie eccezioni. Inoltre, queste stampe italiane, sembrerebbero partire cronologicamente dal '70 in poi, non avendole fino ad ora riscontrate in esemplari di epoca antecedente, che sembrerebbero di provenienza esclusivamente germanica per quel che ho potuto vedere. Sono esenti da questo problema, tutti o quasi i titoli derivati da registrazioni digitali, che sembrerebbero essere stati stampati esclusivamente in Germania, ma che, in quanto tali, non hanno comunque grande valore collezionistico, essendo di produzione tarda. Tornando alle ristampe nostrane, quello che rende la faccenda insidiosa è il fatto che solo il disco vero e proprio è fabbricato in Italia, mentre cofanetti, libretti, custodie, buste interne e quant'altro li corredi, sono fabbricati in Germania! Inoltre le etichette di questi dischi, recano le stesse scritte interamente in lingua tedesca, degli originali. Ma volendomi dilungare su quest'ultimo aspetto, rimando il tutto al prossimo scritto, essendo la casistica assai varia al riguardo (continua).

Collezionismo vinilico: come riconoscere i dischi Decca "italiani".

(Segue) Come affermavo nello scritto precedente, i dischi Decca, venivano generalmente importati dal distributore ufficiale nostrano, direttamente dall'Inghilterra e saltuariamente, in piccola percentuale, anche dalla Germania, stampe chiaramente e nettamente distinguibili ossia riconoscibili, le une dalle altre, ma talvolta succedeva che, per i titoli di musica classica che si presumevano di maggior richiamo per il mercato nostrano, venissero di conseguenza ristampati di sana pianta (comprese le custodie e le buste interne), nel nostro paese, ovviamente con una qualità di stampa e quindi un valore collezionistico inferiore rispetto agli originali stampati dalla casa madre nel Regno Unito. Questi dischi Decca nostrani, non sono sempre chiaramente distinguibili dagli originali inglesi, per un neofita, anzi a un esame superficiale potrebbero persino apparire quasi identici, poichè non sempre le loro etichette recavano iscrizioni nella lingua nostrana e spesso, nemmeno nel retrocopertina, erano presenti note di commento in italiano. L'indizio principale per distinguerli può essere, nella maggior parte dei casi, una lettera I presente negli estremi di etichetta, ossia nei numeri di catalogo assegnati alle varie incisioni. La Decca usava delle sigle alfanumeriche composte da una serie di lettere maiuscole seguite da 3 o 4 cifre (per la collana ad alto prezzo si trattava delle sigle SXL, SXDL, SET limitatamente ai dischi di musica sinfonico-corale e alle selezioni operistiche, PFS; queste sigle venivano tutte seguite da un numero a 4 cifre, tranne la SET recante un numero a 3 cifre, tutto quanto detto fino adesso, vale per i dischi singoli, mentre per i cofanetti multipli la sigla distintiva era SET seguita da un numero complessivamente di 4 o 5 cifre, ma di cui l'ultima o le ultime 2, erano separate dalle precedenti da un trattino, poichè indicavano il numero dei dischi contenuti nel cofanetto; altre volte la sigla era una D seguita da un numero a 3 cifre, a cui seguiva un'altra D con 1 o 2 cifre, sempre a seconda del numero di dischi presenti. Per le collane a medio prezzo le sigle erano SDD o GOS - nella serie "Ace of diamonds" -, ACL -nella serie "Ace of clubs"-, SPA -nella serie "The world of..."-, JB -nella serie "Jubilee"-, LE -nella collana "London Enterprise". Per la collana economica "Eclipse", la sigla era ECS. Dimenticavo però di dire che, verso la fine degli anni '70 e fino ad almeno la metà degli anni '80, la casa madre inglese faceva stampare i vinili in Olanda, anch'essi comunque riconoscibili, con un certo scadimento qualitativo rispetto agli stampaggi inglesi.). Le stampe italiane erano indicate generalmente in questa maniera: SXLI, SXDLI, PFSI, SDDI, SPAI, ECSI, GOSI, JBI, seguite dal consueto numero a 4 cifre; oppure, per i cofanetti multipli D000DI00, SET000-00I; per le selezioni operistiche e i dischi di musica sinfonico-corale, SET000I. Sulle etichette del disco, si poteva leggere in piccolo la scritta "Made in Italy". Mi è capitato però una volta di imbattermi in un cofanetto Decca della "Fedora" di Umberto Giordano, nell'edizione diretta da Lamberto Gardelli, in cui era assente la I dagli estremi di etichetta, tanto da farmi supporre di essere al cospetto di una stampa originale d'epoca. Per fortuna, un rapido esame interno del cofanetto rivelò l'inganno, poichè le etichette dei dischi non solo recavano iscrizioni interamente in italiano, ma persino un riquadro con la sigla SIAE in bella evidenza, per cui fate molta attenzione! Il problema ovviamente non sussiste per i dischi col marchio London (mai regolarmente importati dalle nostre parti), poichè la Decca dovette inventarsi un simile stratagemma per esportare i suoi dischi in America, stante il fatto che l'American Decca, inizialmente nata come costola della casa madre britannica, se ne era svincolata completamente, rendendosi  di fatto indipendente, in tempi successivi. Ma pensate per esempio anche alla Emi, che per gli Stati Uniti aveva dovuto crearsi i marchi Angel, Capitol e Seraphim, non potendo utilizzare nè il marchio His Master's Voice poichè di esclusiva americana della Rca-Victor, nè il marchio Columbia, essendo di esclusiva statunitense della Columbia americana, che a sua volta si era dovuta inventare il marchio Cbs, per poter esportare il suo catalogo nel resto del mondo! (Continua)